foto LaPresse

Ma benedetta primavera! Nella fase 1 siamo stati bravi (ma i bambini di più)

Marianna Rizzini

Una settimana di lockdown ad aprile vista dall’Istat

Roma. Com’eravamo nei giorni in cui, a inizio primavera – la più strana di tutte le “maledette primavere” che le canzoni abbiano mai esaltato – la vita improvvisamente è cambiata, diventando una vita tra quattro mura? A livello epidermico, nei mesi di lockdown totale, si aveva l’impressione che una forza di resistenza sotterranea avesse trasformato lo sgomento iniziale in strana “abilità”. E non soltanto per la riorganizzazione della vita di relazione sul piano filtrato del web, ma anche per il non cedimento alla tristezza, all’ansia, alla depressione. C’era chi cantava dalla finestra, chi si metteva a lavorare o studiare con autodisciplina mai mostrata prima (come la maggior parte dei bambini e adolescenti – pilastri di calma inattesa), chi riprendeva un contatto reale con parenti e amici dimenticati tra un impegno e l’altro, anche se a distanza: paradosso, questo, che si poteva percepire, empiricamente, senza averne la prova, e che alleviava un minimo la sofferenza da confinamento. E oggi uno studio Istat (“Fase 1- le giornate in casa durante il lockdown: 5-21 aprile 2020”) restituisce una fotografia di quel periodo confermando l’idea di un’inattesa capacità di reazione.

 

Dice Linda Laura Sabbadini, direttore centrale Istat per gli studi e la valorizzazione tematica nell’area delle statistiche sociali e demografiche che, nel periodo preso in esame, le ultime tre settimane di aprile, “è emersa una tendenza a cercare di compensare la chiusura e la distanza sociale con un’intensa attività di contatto seppure telematico: le relazioni sociali si sono intensificate, anche se in modalità diverse da quelle abituali, sia rispetto ai parenti sia rispetto agli amici e soprattutto nei confronti degli anziani lontani. Il paese non si è chiuso nell’isolamento”.

 

Guardando i dati (che registrano un 62,9 per cento di persone che hanno tenuto i contatti con videochiamate o telefono), è la cura dei figli, dice il rapporto, “l’attività che più frequentemente delle altre ha fatto registrare un incremento del tempo dedicato abitualmente, in particolare per il 67,2 per cento di coloro che l’hanno svolta” (con maggior bilanciamento del coinvolgimento nella cura dei figli, rispetto al passato, tra donne e uomini, dice Sabbadini).

 

L’adattamento alla giornata tra quattro mura ha mostrato anche l’inatteso “fare buon viso” di fronte all’obbligo di “stare a casa”. Com’è stato impiegato il tempo? Tra le attività di lavoro familiare la preparazione dei pasti ha coinvolto il 63,6 per cento dei cittadini, dato empiricamente registrabile, nei mesi di lockdown, quando, vista l’improvvisa passione collettiva per il pane e la pizza fatti in casa, i supermercati hanno registrato il tutto esaurito della farina: “L’incremento, per quando riguarda l’attività culinaria, è stato trasversale in varie zone dei paese, e riguarda sia gli uomini sia le donne, giovani compresi”, dice Sabbadini. Che fa notare poi il dato che più crea ottimismo presso chi dava per morta la cultura: il 62,6 per cento della popolazione ha trascorso parte della giornata leggendo libri, riviste, quotidiani o altro (non c’era solo la tv). E inaspettatamente, per un paese sempre descritto come pigro e indolente, un quarto della popolazione, cioè il 22,7 per cento, ha praticato attività fisica o sportiva tra quattro mura. Chi l’avrebbe mai detto, sorride Sabbadini, “che le case si sarebbero trasformate in piccole palestre?”. Completa il quadro il dato sul lavoro: in una giornata della fase 1 hanno lavorato circa 8 milioni e quattrocentomila persone, secondo Istat, cioè meno di due su dieci. Il tempo di lavoro è rimasto invariato rispetto a una giornata simile del periodo pre-Covid per il 60,2 per cento del totale di chi ha lavorato, è diminuito per il 26 per cento ed è cresciuto per il 13,7 per cento. C’è qualcosa del periodo di lockdown che resterà? Questa esperienza lascerà un segno profondo. E’ stato un momento di grande coesione familiare e del paese a fronte di tanta paura. Ora la crisi sarà durissima. Manteniamo la coesione”.

Di più su questi argomenti:
  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.