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Ragioni scespiriane per piantarla con la lagna sui vecchi

Giuliano Ferrara

Sono tanti, che disgrazia!, dicono. Ma bisogna ribellarsi in fretta alla statistica dei nullatenenti

Bisogna piantarla con questa lagna sui vecchi, che sono troppi, una disgrazia, e sui giovani che sono pochi, una minoranza statistica ormai, e per di più se ne vanno dall’Italia. Ultimo arrivato un pregevole articolo del Financial Times, giornale di un’isola fatale, sogno d’approdo dei giovanissimi, che per il voto dei vecchi delle Midlands se ne va addirittura dall’Europa. A ciascuno il suo, questa è la giustizia, anche nei sentimenti e nei giudizi morali. Ai vecchi tocca il privilegio di aver vissuto, che nei giovani è solo una speranza. Hanno già per loro quello cui i loro figli e nipoti aspirano. Perché qui non si discute del contributo delle classi recenti di età ai consumi, o del peso sul Servizio sanitario nazionale delle classi che stanno nella scala discendente o superiore della vita (dipende dal punto di vista). Qui non si fa statistica, e la statistica, si sa, è una scienza per nullatenenti.

 

Chi scrive si è ritirato dagli aspetti più impegnativi faticosi e responsabili della vita pubblica a 63 anni, prima della soglia statistica di vecchiaia infame decretata dai demografi e dai loro scrittorelli, e lo ha fatto in favore di un trentaduenne, già un mezzo vecchietto per gli algoritmo-dipendenti, ma comunque abbastanza gagliardo. Ha quindi l’autorità allegra per perorare la causa di quella porzione degli ultrasessantacinquenni che alcuni vorrebbero tagliata, come si fa con il novero dei parlamentari o con i fiori freschi, per incentivare il segmento dei 18-24enni o cose simili. E non uso l’argomento più stupido, che ci si sente giovani o vecchi dentro, l’età anagrafica non conta, sì, ma solo per gli imbecilli. E nemmeno quello forse ancora più stupido, se si possa, per cui ci sono tanti vecchi belli e interessanti e tanti giovanotti dallo sguardo bieco o non limpido e dalla pelle orrendamente butterata di foruncoli. Cerco di non superare in bassezza e banalità le mie notevoli potenzialità in materia.

 

I vecchi sono di pasta varia, ovvio, come coloro che non lo sono. Ma fuori della dimensione statistica, i vecchi hanno il loro charme. Non mi dispiace nella sua silhouette il profeta della juventud internazionale, Steve Jobs, con tutti quei discorsi sulla fame – stay hungry – a me particolarmente affini, ma anche il ritratto profetico e barbuto di Galileo Galilei, con quella storia della lettura matematica dell’universo, mica male. Ulisse non era propriamente un vecchio, Nestore lo era, ma i giovani Proci che gli insidiavano la moglie e la roba erano stupidi e insolenti, e quando volle liquidarli Odisseo da vecchio era travestito. E’ vero, non di tutti, ma in genere i vecchi hanno il passo pesante e lento, ma lo sguardo tende di più alla profondità, e non manca loro la sornioneria dell’esperienza, il rispetto della tradizione, una visione delle cose robusta, meno spicciativa e facile di quella dei concorrenti, quel tanto di ironia che fa a pugni spesso con il fanatismo d’impulso legato alla continua scoperta del mondo. Perché dunque deprezzarli? Perché indulgere a un linguaggio un po’ triviale che li consegna ai loro acciacchi e ne fa una categoria abusabile di cittadini disutili?

 

I vecchi hanno chiuso, certo, ma non fino in fondo, riservano sorprese anche a sociologi e demoscopi come in un oroscopo magico. Sembra fatta, ma loro sanno che c’è ancora da fare. Ormai io sono preda ogni giorno dell’antologia scespiriana di Allie Esiri, tradotta da Neri Pozza per la comune elevazione (e compratela, cazzo!). E nel monologo di Giulietta, al 19 di gennaio, ho trovato il prolungamento di quell’idea fantastica che era di Porzia, nel Mercante, al 18 gennaio: “parlo troppo, ma è per metter pesi al tempo/aumentarlo, tirarlo in lungo…”. Perché di questo tempo pesante, aumentato, tirato in lungo i vecchi sono testimoni inappuntabili e necessari. Tanto che Giulietta, il giorno dopo, ha, lei teen-ager, una metafora del vecchio incomparabile, e per sua natura antistatistica: “… e sebbene venduta, non sono ancora stata goduta”.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.