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Contro lo “stato mamma” che vuole decidere come nutrire i nostri figli a scuola

Carlo Lottieri

Motivi per rivendicare il diritto di mangiarsi un panino

Alcuni anni fa l’economista bengalese Muhammad Yunus, che inventò il microcredito, venne in Italia e fu scandalizzato nel vedere che da noi una donna vedova non può guadagnarsi da vivere vendendo torte all’angolo della strada. E non può farlo perché non garantisce il rispetto delle norme igieniche, non possiede una licenza, non offre ai clienti la corretta etichettatura imposta per legge (e questo anche se ai clienti della cosa non importa nulla!), non paga imposte e via dicendo.

 

E’ impossibile non ricordare questo episodio dinanzi alla recente decisione delle Sezioni unite della Cassazione che ha ribaltato una precedente pronuncia, favorevole al diritto degli studenti di portare da casa un panino per il pranzo. Secondo i giudici, se si lasciasse agli studenti la facoltà di nutrirsi come vogliono – obiettando dinanzi alle (costose) mense di stato – ci si troverebbe di fronte a una “possibile violazione dei princìpi di uguaglianza e di non discriminazione in base alle condizioni economiche”. Lo schema è questo. Lo stato impone alle famiglie quale istruzione gli studenti devono ricevere: la scuola è obbligatoria e i programmi sono predefiniti. A questo punto, si obbligano anche i giovani a nutrirsi di quello che gli apparati pubblici forniscono. I giudici sono chiari quando sottolineano che la scuola “non è un luogo dove si esercitano liberamente i diritti individuali degli alunni né il rapporto con l’utenza è connotato in termini negoziali”. In che senso? In quanto c’è un primato della dimensione collettiva, dato che lo sviluppo dei singoli deve “realizzarsi nei limiti di compatibilità con gli interessi degli altri alunni e della comunità”.

 

A cosa si riferiscono i giudici quando rigettano il diritto degli studenti di nutrirsi come vogliono? L’idea è che non soltanto abbiamo un primato del collettivo (dell’astratto) sull’individuale (il concreto), ma per giunta ci troviamo in un universo dominato da un’ipertrofia legislativa in ragione della quale se uno studente pretendesse di nutrirsi liberamente, questo comporterebbe conseguenze organizzative e responsabilità in capo alla scuola stessa. Il trionfo di quello che in inglese è chiamato il “Nanny State” (lo “stato mamma”) fa sì che – comprensibilmente – i dirigenti scolastici non vogliano “correre rischi” di fronte a un bambino che mangia un pezzo di pane con dentro del salame portato a scuola da un compagno.

 

Sotto certi aspetti, la Cassazione sembra delineare una soluzione “liberale”: l’idea è di lasciare che gli istituti scolastici, nella loro autonomia, organizzino come vogliono la pausa della mensa. In tutto ciò c’è ben poco di liberale, però, poiché siamo in un quadro di obbligo scolastico: il potere pubblico da tempo sottrae i giovani alle famiglie per farne “buoni cittadini”, nutrendo la loro mente e formando la loro personalità secondo i suoi criteri; ora è chiaro che non si limita a versare princìpi, conoscenze e nozioni nella loro testa, ma pretende pure di riempire a suo piacere anche lo stomaco.

 

Tre elementi paiono dominare lo scenario entro cui questa vicenda si colloca. In primo luogo, stiamo assistendo al declino delle più elementari libertà personali: in questo caso, il diritto ad alimentarsi come si vuole, poiché trionfa una visione nei fatti collettivista. In secondo luogo, il moltiplicarsi di una regolazione minuziosa e il trionfo di una visione distorta della responsabilità (spesso basata, sul piano concettuale, sul principio di precauzione e sulla pretesa di anticipare ed evitare ogni possibile effetto negativo delle scelte individuali) fa sì che oggi un istituto potrebbe andare incontro a guai, per esempio, se un bambino porta un panino avariato e un suo compagno ne mangia un pezzo; e questo basta a inibire la libertà di nutrirsi a piacere. In terzo luogo, è chiaro il venir meno di ogni forma di buonsenso: dato che oggi si nega la possibilità di iterare un comportamento che per lunghissimo tempo nessuno ha mai contestato.

 

Come le popolazioni anglosassoni ben sanno, libertà e senso comune spesso crescono assieme; e assieme declinano.

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