Le Sezioni Unite per un panino

Rocco Todero

C'è voluta una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione civile per ribadire che famiglie e studenti sono in balia del capriccio della pubblica amministrazione  

La recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che ha negato il diritto degli alunni all’autorefezione individuale nell’orario della mensa e all’interno dei locali scolastici, potrebbe rappresentare l’occasione per aprire un dibattito sulle modalità attraverso le quali la pubblica amministrazione italiana eroga servizi a milioni di cittadini utenti.

I Giudici di Piazza Cavour hanno sostanzialmente affermato tre principi:

1) le modalità d’organizzazione del servizio scolastico sono decise dall’amministrazione pubblica, la quale non è obbligata a soddisfare le specifiche e diversificate esigenze di tutti coloro che ne  richiedono l’erogazione;
2) i genitori che vogliono influire sulle scelte relative alle modalità d’organizzazione della mensa scolastica possono farlo nei limiti loro concessi dalla partecipazione al procedimento amministrativo volto all’adozione dei provvedimenti che istituiscono il servizio. Dopo che l’amministrazione pubblica ha deciso le modalità d'erogazione uniforme per tutti gli utenti non sarà più possibile soddisfare richieste di servizi diversi e individualizzati;
3) il servizio di mensa scolastica deve essere erogato in maniera omogenea a tutti gli alunni/utenti, in ragione dei canoni d’uguaglianza e solidarietà economica e sociale.
Sulla base delle regole che disciplinano i rapporti fra i poteri dello Stato, le Sezioni Unite hanno avuto buon gioco a sottolineare l’impossibilità d’imporre alle istituzioni scolastiche specifiche modalità d’organizzazione del servizio pubblico anche per coloro che pretendono di consumare il pasto preparato a casa all’interno dei locali della scuola. 

Gli Ermellini, infatti, hanno osservato come la pretesa di consentire l’atuorefezione all’interno dei locali della scuola debba necessariamente passare dalla predisposizione di un servizio che inglobi anche la vigilanza (su) e l’assistenza di coloro che non usufruiscono del pasto preparato dall’azienda che gestisce la  mensa, oltre che la disciplina dell’utilizzo degli alimenti portati da casa, al fine di rendere compatibile l’attività del pranzo in comune di decine di ragazzi.

Questi obblighi e la specifica modalità della loro esecuzione non possono essere impartiti dai Giudici alla pubblica amministrazione.

Sotto questo particolare angolo visuale e partendo dal presupposto che la giurisdizione non possa imporre particolari modalità d’erogazione di un servizio all’amministrazione pubblica, la sentenza appare formalmente coerente, anche se gli esiti cui essa conduce appaiono difficilmente accettabili. 

La Cassazione ha ribaltato il ragionamento che qualche tempo fa era stato fatto dal Consiglio di Stato, secondo il quale la consumazione di un panino a scuola in orario mensa rappresenterebbe semplicemente l'esercizio di una libertà fondamentale e non necessiterebbe d'alcuna predisposizione di mezzi e personale per consentirne lo svolgimento. Qualificando, invece, la consumazione del pasto portato da casa alla stregua d'una pretesa per soddisfare la quale la pubblica amministrazione deve compiere un'attività specifica, le Sezioni Unite hanno trasformato quella che secondo la giustizia amministrava sarebbe una libertà (negativa) in un servizio pubblico, per la cui erogazione non si può vantare alcun diritto soggettivo perfetto.

Le conclusioni della sentenza, tuttavia, sebbene coerenti rispetto alle premesse, non sembrano, come detto, soddisfacenti. 

Sarebbe sufficiente che la pubblica amministrazione, ad esempio, partisse dalla considerazione d'organizzare un servizio in grado di soddisfare, a parità di costi, le esigenze della maggiora parte dei potenziali utenti, per tutelare le variegate esigenze dei singoli e delle relative famiglie.

Nel caso che riguarda la consumazione del panino all’interno dei locali della scuola, appare davvero sbalorditiva e pretestuosa la giustificazione del divieto sulla base della considerazione che occorrerebbe personale aggiuntivo per la vigilanza di chi non usufruisce del pasto preparato dall’azienda appaltatrice del servizio.

Allo stesso modo risulta priva di rilievo l’osservazione secondo la quale l’introduzione all’interno dei locali scolastici di cibo preparato al suo esterno arrecherebbe rischi alla salute degli utenti.

In disparte la riflessione sul fatto che milioni di bambini e ragazzi consumano giornalmente le più diverse varietà di cibo durante la cosiddetta “ricreazione”, senza che si registrino gravi e frequenti problematiche, basterebbe predisporre una disciplina al riguardo che fornisse sufficienti standard di sicurezza per tutti.

L’idea, poi, che il servizio di mensa scolastica debba caratterizzarsi per la rigorosa uniformità del cibo consumato da tutti gli utenti, in ossequio ai principi di solidarietà e uguaglianza, richiama un’impostazione tipica delle istituzioni che irreggimentano gli utenti in un appiattimento "falso egualitario" che mortifica la ricchezza delle individualità.

Resta il fatto che le Sezioni Unite hanno omesso d'ammonire il legislatore e la pubblica amministrazione sulla necessità di prodigarsi per la soddisfazione del maggior numero possibile di utenti, le cui famiglie, pur pagando le tasse che servono a costruire i locali mensa, a corrispondere gli stipendi agli insegnanti, a fornire gratuitamente (e giustamente) il servizio a chi non è in condizione di pagarlo, non possono permettersi il lusso di lasciarli a scuola per mangiare un panino.