L'ultima boiata accademica: “Palla avvelenata alimenta l'oppressione”

Giulio Meotti

La teoria dei ricercatori in Canada, paradiso del pol. corr.

Roma. Un anno fa, Peter Boghossian e James Lindsay – il primo docente di Filosofia all’Università di Portland e il secondo titolare di un dottorato in Matematica – spedirono alla rivista Cogent Social Sciences un loro “studio” che intendeva dimostrare che il pene non avrebbe dovuto essere considerato come un organo maschile della riproduzione, ma come una “costruzione sociale”. La beffa riesce. A Boghossian e Lindsay si aggiunge Helen Pluckrose, caporedattrice della rivista Areo. Arrivano a “piazzare” venti bidoni in alcune delle riviste accademiche più importanti. Uno di questi tratta della “cultura dello stupro tra i cani”. Poi i tre svelano al mondo che si trattava di uno scherzo, inteso a dimostrare lo stato pietoso della ricerca universitaria nordamericana.

 

A giudicare da quello che è appena uscito dal Congress of the Humanities and Social Sciences a Vancouver, in Canada, tanto beffa non era. Palla avvelenata, uno dei giochi più amati dai bambini di tutto il mondo, non sarebbe altro che uno strumento di “oppressione” e per questo dovrebbe essere bandito a scuola. Racconta il Washington Post che Joy Butler, docente di Pedagogia all’Università della British Columbia, ha studiato il gioco e concluso che palla avvelenata veicola “sfruttamento”, “marginalizzazione”, “impotenza”, “imperialismo culturale” e “violenza”. “Il messaggio è che va bene ferire o disumanizzare l’altro”, ha detto Butler. “La competizione riguarda l’annientamento del proprio avversario”. I risultati della ricerca saranno pubblicati nientemeno che nel prossimo numero della European Physical Education Review. Forse neanche Boghossian, Lindsay e Pluckrose sarebbero arrivati a tanto. E la proposta è arrivata in Germania, dove sui quotidiani da giorni si discute dell’idea canadese di interdire l’uso di palla avvelenata, la Völkerball. Ma siamo in Canada, patria e paradiso del politicamente corretto, e tutto può succedere. Anzi, succede. Succede ad esempio che all’Università di Regina sia stata ospitata una “confessione della mascolinità” e altri workshop che mirano a ritrarre i maschi come predatori di donne e distruttori della società. “Vieni e condividi i tuoi peccati per cominciare a discutere come identificare e cambiare i nostri modi!”, recita il seminario.

 

Non è un caso che sia un intellettuale canadese, Mathieu Bock-Côté, firma di punta del Figaro, a pubblicare un libro dal titolo L’empire du politiquement correct (edizioni Le Cerf). Bock-Côté vi spiega che si tratta di “una campagna di salute pubblica per riformare la mentalità”. E che ha nei bambini gli obiettivi prediletti. Non bastava il lavaggio del cervello con l’ideologia gender fin dalle scuole elementari. Non bastava neppure la messa al bando delle fiabe “sessiste”, come “Cappuccetto rosso”, eliminata di recente dai banchi di una scuola a Barcellona. No, non bastava. Ora vogliono interdire anche certi giochi.

 

Sulla National Review è stato fatto però presente ai ricercatori canadesi che, per ritenere valida la loro teoria, devono prima trovare (e dimostrare) che qualcuno sia diventato uno sporco sciovinista violento a causa di palla avvelenata. Intanto i ricercatori sono riusciti nuovamente a dimostrare che molti dipartimenti accademici occidentali sono diventati delle barzellette. E che avrebbe avuto ragione Mao Zedong a chiuderli, come fece con le università cinesi durante la Rivoluzione culturale.

Di più su questi argomenti:
  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.