Un screenshot del profilo boyswithplants via Instagram

Vegetare bene

Michele Masneri

Le piante su Instagram sono il nuovo cibo: le abbiamo snobbate per millenni, ma ora le rivalutiamo

Roma. Non ci sono solo gli insospettabili maschi alfa che dedicano al loro nuovo ficus attenzioni che un tempo riservavano allo scooterone o alla playstation: non vanno nemmeno sottovalutate le varie shazam in grado di riconoscere e distinguere il bosso dal lauro ceraso. La mania delle piante sta esondando: mentre si attende la mostra “fine di mondo” di Rem Koolhaas al Guggenheim di New York che aprirà nella data simbolica 20-2-2020, dedicata alla campagna, già si rimpiange la Manifesta di Palermo dell’estate scorsa consacrata al giardino e all’orto botanico. E’ tutto chiaro: le piante sono il nuovo cibo.

 

Sull’Instagram, e talvolta anche nella vita reale, negli appartamenti giusti la pianta ha sostituito la lampada di design (la piantana). La specie più instagrammabile pare appunto il ficus, ma non quello fantozziano da ufficio a foglia liscia, bensì il più tropicale lyrata, quello con le foglie tutte accartocciate, che fa un po’ modernismo brasiliano. E se un tempo ad abbonarsi a “Gardenia” erano vecchie zie nubili, oggi bisogna compulsare la letteratura del settore. Appena uscito dal Mulino il saggio La vita delle piante. Metafisica della mescolanza del giovane filosofo Emanuele Coccia, secondo cui l’uomo “ha adorato per millenni dèi antropomorfi o animali, eppure la forza cosmogonica più importante sul nostro pianeta sono le piante: sono loro le nostre ultime divinità”. A Milano, mentre impazza il Salone del mobile, il comune annuncia ogni giorno nuovi parchi, parchetti, giardini, biblioteche arboree verticali e orizzontali – ultimo in ordine di tempo, il progetto “Scali Farini”, per ricoprir di verde antichi tragitti ferroviari; e alla Triennale, epicentro culturale milanese guidato da Stefano Boeri, inventore del bosco verticale, ecco la super mostra “Broken Nature”, che tra i vari padiglioni nazionali ha pure quello di una immaginaria nazione delle piante.

  

Si apre con un video dell’americano Bernie Krause, che ha passato la vita a registrare il suono della foresta (già in mostra alla Fondation Cartier), prosegue con varie stanze studiate dal plantologo Stefano Mancuso, fondatore dell’International society for plant signaling and behavior. “Le piante esistono sulla terra da più tempo di noi, si sono meglio adattate, con soluzioni non predatorie”, sostiene Mancuso, e il fatto che non siano predatorie avrebbe portato noi umani a sottovalutarle (perché non ci fanno paura, insomma. Che mostri che siamo).

  

 

Ciechi alle piante, abbiamo contratto la “plant blindness”, disfunzione cognitiva che ci impedisce di notare il rododendro e la forsythia. Un malanno antico: da Aristotele in poi si pensa che le piante abbiano un’anima di basso livello (da cui “vegetare”, “essere un vegetale”). “In quanto animali, ci identifichiamo molto più facilmente con altri animali”, scrive Coccia. Nella piramide dei viventi del libro della sapienza di Charles de Bovelles del 1509, l’albero viene tra la pietra e il cavallo, al penultimo stadio dell’intelligenza. Adesso però non possiamo più far finta di non sapere. È il momento di togliersi la benda, intima la mostra milanese, e di chiedere scusa. Perdonaci albero: ti abbiamo sempre sottovalutato.

  

Meglio comunque portar rispetto: le piante sono la vera superpotenza mondiale, sono 3.000 miliardi contro i 7 miseri miliardi di umani (altro che i cinesi); e occupano il 30 per cento delle terre emerse, contro il 2,7 dell’uomo, che vive anche meno. Nel padiglione, anche, bandiere di questo stato delle piante, un discorso delle piante alle Nazioni Unite, con richieste precise al segretario generale António Guterres. Non si sa chi ne sia il presidente (potrebbero mettere Gilles Clément, teorico del mondo come orto botanico. La capitale invece potrebbe essere posta a Roma con la sua wilderness). In mostra, anche, foto di vari leader in momenti decisivi con sfondi vegetali, come dire: nei momenti storici, noi ci siamo (Che Guevara con dei banani, Churchill a Yalta con dietro degli arbusti non identificati; Nixon in un ristorante cinese ai tempi della storica visita del 1972, con dietro delle piante molto lucide: forse però finte).

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