L'impresa di Rocco Siffredi, resistere (e riciclarsi) nell'epoca del #metoo
Le nuove avventure imprenditoriali dell’ultimo samurai
Tempo di crisi. Viviamo un’epoca in cui le fidanzate sovraniste si rivelano domestiche vergini, in cui alcune donne scrivono pubblicamente senza imbarazzo “CR7, stuprami!”, e in cui ex pornostar cercano forme più remunerative come memoir, reality show, progetti musicali perché le vacche son sempre più magre. Oggi che il porno è ovunque e gratis, e tuttavia scopiamo tutti di meno e di sesso se ne parla solo in termini legali, a resistere c’è l’Ultimo Samurai: Rocco Siffredi. Un’icona della golden age del porno che in un ambiente dove si dura in media tre mesi è durato trent’anni. Uno che oggi, a fine carriera, dopo aver annunciato di ritirarsi più volte di quante abbiamo provato noi a smettere di fumare, torna sempre sul luogo del delitto.
Siffredi non lo abbiamo visto solo nudo ma anche in veste di personaggio pubblico mediale (intervistato in radio al mattino, alla prima serata tv, nelle pubblicità delle patatine), in veste di regista e produttore (con la sua Siffredi Hard Academy), e ora in veste di influencer (ma è più simile al banchetto merchandising dei concerti rock). Siffredi è uno che dopo averci venduto i ventiquattro centimetri ci vende la sua faccia stilizzata sulle t-shirt, come Fabrizio Corona con il marchio Adalet, passando a farsi selfie col popolo che comunque oggi preferisce uno scatto con Matteo Salvini. Uno si aspetta dildo, aggeggi fetish, cataloghi fotografici, oggetti di culto, e se non l’Evian a 8 euro di Ferragni almeno una Chiquita a 24 euro brandizzata Siffredi, ma nella galleria del temporary store in via Felice Casati si trovano solo magliette brutte: e non c’è neppure la XXL.
Rocco Siffredi a Torino (foto LaPresse)
I suoi fan sono soprattutto maschi bianchi eterosessuali che sembrano vivere con la madre, tamarri a cui se chiedi “sei fan di Rocco?” ti rispondono “sono fan della figa”, nerd con la maglietta “I love porn”. C’è un professionista del selfie coi vip che ha in portfolio mezza Canale 5: Eva Henger, Barbara D’Urso, Lisa Fusco e… Matteo Salvini. C’è un ventenne che cerca le sue migliori dick pic nella gallery del suo smartphone per mostrarle a Rocco, o forse a me, e purtroppo non le trova. Gli chiedo se usa Tinder, e lui “no, lì le tipe fanno le speciali, tanto vale provarci su Facebook”. Il suo amico dice che gli unici diretti sono i travoni ma “bisogna essere aperti di mente”. “Mi sono sempre chiesto che sarebbe stato della nostra vita se a Rocco non si fosse alzato”. È il dubbio del cugino di Siffredi, il meno famoso Gabriele, nel documentario Rocco dei francesi Thierry Demaizière e Alban Teurlai. Un giorno Gabriele abbandona il posto fisso in banca per imitare la carriera del cugino. Qualcosa però non funziona. “Quando qualcuno ti dice ‘adesso, azione’ è praticamente impossibile”. Gabriele diventa il cameraman, condannato a guardare per anni Rocco fare ciò che a lui non è riuscito. Il suo è lo sguardo inter-passivo dello spettatore. Proprio come i fan cresciuti guardando Rocco e immaginando di essere al suo posto.
Qualcuno dei suoi fan, anche tra i presenti all’incontro con il loro idolo, sogna la Siffredi Hard Academy come altri sognano la partecipazione al “Grande Fratello”. Ci sono aspiranti sceneggiatrici che ci vogliono mettere i sentimenti e ragazzi dotati a cui non tira per l’emozione. Gli aspiranti eredi di Siffredi sono lì per imparare dall’ultimo samurai, come lo definisce Rosa, perché è un lavoro difficile, non è divertimento. Probabilmente l’unico modo per essere efficienti e totalmente performanti è essere irriflessivi, un po’ come l’American Sniper di Clint Eastwood: se vuoi essere un eroe devi agire, premere il grilletto, sparare. Se ti fermi a riflettere su chi hai di fronte, sei perso. O come dice Rocco “Se tu ti scopi una vecchia, puoi diventare pornostar”. E nel caso vada male possono sempre diventare tutti cameraman. Tutti vogliono fare colpo sull’uomo che credono di conoscere. Vogliono esistere anche per lui. Una milf gli dice che è il suo sogno erotico. Un ragazzo si fa autografare l’autobiografia. Una ragazza si fa autografare le clavicole in assenza di tette e la penna non scrive, allora Rocco firma il polso. Poi lei gli consegna un regalo, una propria foto con dedica sul retro, con tanti cuoricini. Lui ringrazia e si ricorda di lei: “Ah, un’altra?!”. Tanto è consapevole lui, tanto sono inconsapevoli loro. Un signore gli si avvicina con un sorriso “ho passato tante notti con te”, che è una frase veramente ambigua, ma questo è forse uno dei pochi contesti in cui è totalmente accettabile. L’eterosessualità è salva.
Riesco a parlare col proprietario del pisello del popolo, il corrispondente mediatico della torre di Pisa, strappandolo a selfie, autografi e sorrisi imbarazzati. Chiedo a Siffredi se in un momento di dubbi sul consenso, e considerato il suo stile, non teme che qualche attrice lo accusi di essere andato oltre com’è successo al tuo collega James Deen. “Non mi sorprenderebbe se succedesse perché cercano notorietà in tutti i modi. In realtà oggi ho il problema contrario, sono le donne che mi chiedono di essere più aggressivo, e io dico loro: ma ragazze, ha rotto il cazzo, non va più ‘sta cosa”. A un certo punto il costruttivismo foucaultiano dell’accademia del sesso (“vi insegno come si fa”) lascia spazio all’essenzialismo freudiano, ed è quando gli chiedo come ha fatto a lavorare in anni in cui non c’era l’aiuto farmacologico. “Ci nasci”. E cosa glielo fa smosciare più di tutto? “La meccanicità”, quindi immagino non proverebbe una bambola, tipo le LumiDolls di Torino… “Ma no. Anche perché se uno ha un po’ di cervello non lo fa. E’ impossibile pulirle come dio comanda”. Pare sia obbligatorio usare il profilattico. “No, senti non lo infilerei mai in una bambola: come faccio a infilarlo in una cosa che guarda il soffitto per sempre, e che continuerà a guardarlo anche fra dieci anni?”. Giusto, a Siffredi non piace che un corpo rimanga inalterato al suo passaggio.