L'agiografia di Rocco Siffredi, quando i dettagli interessanti sono quelli sfuggiti alle intenzioni

Mariarosa Mancuso
Primo piano con pisellone sotto la doccia, con poca luce. Serve per non turbare con un full frontal chi teme il confronto. Serve per allontanare gli spettatori che non gradiscono: ma allora cosa ci fanno tra il pubblico di un film che racconta la vita e le opere di Rocco Siffredi?

Primo piano con pisellone sotto la doccia, con poca luce. Serve per non turbare con un full frontal chi teme il confronto. Serve per allontanare gli spettatori che non gradiscono: ma allora cosa ci fanno tra il pubblico di un film che racconta la vita e le opere di Rocco Siffredi? Serve per confrontare l’inquadratura con il servizio “come mamma mi ha fatto” apparso qualche mese fa sul magazine del Monde: in copertina le fotografie erano censurate con la pecetta, all’interno no; qualche lettera di protesta è arrivata. Anche se l’intervista era del genere “finora ho messo a nudo il mio corpo ma non la mia anima”. E anche se in Francia il pornoattore è stato applaudito nei film della regista-artista-pornofemminista Catherine Breillat (una verbosa noia con pretese: a voi magari “Romance” è sfuggito, ai programmatori del Festival di Cannes certamente no).

 

“Rocco” è il titolo del documentario diretto da Thierry Demaizière e Alban Teurlai, francesi pure loro (nelle sale da lunedì scorso). Tecnicamente, una biografia autorizzata, quindi girata con il consenso dell’attore, produttore, e ora anche felice e devoto padre di famiglia. Lanciata con il solito tormentone “Sapete tutto del mio corpo, nulla della mia anima”, con un sospetto di agiografia: Santa Moana Pozzi ha tracciato la strada. I dettagli interessanti sono quelli sfuggiti alle intenzioni.

 

Per esempio, il cugino Gabriele. Gira i film porno dove Siffredi esibisce le sue grazie – e qualcosa di più, giacché spiegano a un’attrice appena arrivata: “Se fai venti riprese con Rocco alla fine della giornata ti seppelliamo”. Avvertimenti a parte: qualcuno deve pur reggere la telecamera, muoverla, decidere le inquadrature rivelatrici. Compito del cugino Gabriele, appunto. Che si aggira sul set come se fosse in un film di Stanley Kubrick: pretende una trama, anche se sappiamo sempre come va a finire. Vuole piscine con piatti di frutta. “Più melone accanto a quell’ananas”, ordina, mentre il resto della troupe esegue. Finché Rocco Siffredi rompe l’incanto: “Ma quando scopano?”.

 

Visitiamo il set dell’ultimo film. O almeno era tale nelle intenzioni, poi ci fu una crisi esistenzial-pornomane (Rocco Siffredi sostiene che “Shame” di Steve McQueen con Michael Fassbender era perfetto e credibile in tutto). Facciamo conoscenza con una signorina con un serio problema ai denti, sembra non li abbia. E con una ex pornostar che ora sussurra ai cavalli, dopo essersi ritirata in campagna. I retroscena francamente non sono granché, meglio certe confessioni del divo: andato per fare le condoglianze a un’anziana amica della madre ne ricavò una prestazione sessuale pure in quel caso (“non ho più avuto il coraggio di salutarla”, commenta). Il fratello Gabriele, sempre lui, durante un’ammucchiata particolarmente complicata dimentica di accendere la videocamera.

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