Asia Argento da Massimo Giletti a "Non è l'arena" (foto LaPresse)

Quello che non si può dire sul caso Asia Argento-Jimmy Bennet

Simonetta Sciandivasci

In un altro tempo e in un altro paese la difesa dell'attrice sarebbe stata liquidata senza tanti fronzoli

"Non è l’Arena", e certo che no: è "Un Giorno in Pretura". Per la seconda domenica di fila, ieri sera, Massimo Giletti ha processato una copula spacciata per violenza sessuale dai due contraenti, Jimmy Bennett, ospite del programma, in esclusiva mondiale, il 23 settembre scorso, e Asia Argento, accorsa a dire la sua, sette giorni dopo. Bennett, per chi fosse tornato ora da tra mesi su Plutone senza wifi, ha accusato Asia Argento di averlo violentato, cinque anni fa, in un albergo della California (dove la legge considera reato il sesso con un minorenne e “il solo progresso culturale è che puoi curvare a destra col semaforo rosso” – Woody Allen in “Io e Annie”, naturalmente). Asia, invece, prima nega che ci sia stato sesso, poi ammette però rigetta l’accusa di stupro e sostiene che sia stato lui a violentare lei. In mezzo scorrono ricatti di lui tramite avvocato (ah, l’America!): pagami 3 milioni di dollari e io non dirò niente a nessuno. Le foto di lei e lui sdraiati insieme nel letto dopo lo stupro. I messaggi di Argento alla fidanzata di Rose McGowan in cui racconta di aver fatto sesso con il ragazzino. Sapete tutto.

  

Argento da Giletti non ha aggiunto molto altro e non era lì per dire niente di inedito, ma solo per difendersi meglio, e difendersi di più, davanti a un paese, il suo, che sta dalla sua parte, anche se lei gli ha dato del troglodita minacciandolo di partire e mai più tornare; anche se s’è piegato a istruire processi alle lenzuola delle persone come fanno gli americani, tuttavia senza credere neanche per mezzo secondo che sia opportuno e sensato farlo per ragioni diverse dall’equilibrio di facciata; anche se Asia Argento ieri ha incollato un buon numero di incongruenze e imprecisioni (poco male, da questa parte dell’oceano il fatto sussiste ma il reato no). Ci facciamo andar bene tutto, perché siamo esausti. Perché le imitazioni mal riuscite, aveva ragione Tommaso Labranca, sono trash e persino alla sopportazione del trash c’è un limite. E chissenefrega di chi, tra Asia e Jimmy, abbia iniziato; se violenza ci sia stata (vedremo cosa appureranno i giudici, per fortuna non in Italia, sennò qualcuna di noi rischia di morire prima che il processo finisca); chi ha abusato di cosa, cosa ha abusato di chi.

 

E’ finita a tarallucci e vino: “Vorrei tornare a X Factor a fare il mio lavoro, perché i miei figli sono fieri di me, l’Italia mi vuole e non ho fatto niente di cui sono accusata”, ha detto Argento. Ha ragione: l’Italia la vuole a X Factor, perché ha dimostrato di essere un ottimo giudice e perché non si toglie il lavoro a una donna accusata di stupro da un attoruncolo che la sola cosa che ha, a dimostrazione della sua tesi d’accusa, è una capigliatura rosa con la quale solo un individuo fortemente traumatizzato può ritenere pensabile di circolare in pubblico. Però, visto che siamo in Italia, visto che siamo a casa, visto che per essere dalla parte delle bambine non si deve per forza averne generate, non potendo contare sull’Agcom, che sbuffa e sanziona solo quando va in onda un uomo adulto che pronuncia la parola cunnilingus, c’è almeno una cosa che non possiamo lasciare lavare via dai tarallucci e dal vino. Argento ha detto che Bennett le si è buttato addosso, le ha levato le mutande (ma guardate come siamo ridotti: a riportare la cronaca di un pomeriggio di sesso tra due colleghi), l’ha penetrata per due minuti, poi ha avuto un orgasmo, poi le ha chiesto di fare una foto e lei ha detto di sì. “Ero congelata”, ha detto. Quando Weinstein ha abusato di lei, aveva poco più di vent’anni, una carriera tutta da decidere, uno smarrimento tutto da comprendere e per questo ha raccontato di non essere riuscita a opporsi, quando lui le ha chiesto un massaggio e tutto il resto.

 

Su questo punto, si sono giocate alcune delle questioni centrali del metoo e della sua discussione sul consenso: assentire non significa volere, acconsentire non significa deliberare, il corpo delle donne deve diventare impraticabile per il ricatto del potere. Chi ha osato problematizzare simili questioni è finito all’inferno. Siccome, però, alle bambine si deve pur ricordare che non siamo – come scrisse Caitlin Flanagan sull’Atlantic a proposito del caso Ansari – una generazione di donne incapaci di chiamare un taxi, è opportuno evidenziare che Jimmy Bennett non era un uomo di potere, non era vecchio, non era mastodontico, non era un maiale, non era nient’altro che un ragazzino che voleva fare sesso: almeno da un ragazzino che vuole fare sesso quando voi non volete, anche perché lui vi chiama “mamma” e voi proprio l’età della mamma sua avete – 37 anni aveva Asia quando lei e Jimmy Bennett finirono a letto –, care bambine, è possibile difendersi. Forse, è perfino facile. Faremo di tutto per costruire un mondo in cui di ragazzini così male intenzionati non ve ne capitino mai e poi mai a tiro, ma intanto attrezzatevi come se dovessimo fallire.

 

Argento ha anche ricordato che Bennett è accusato di altre violenze sessuali: “Io sono incensurata e lui no!”. Lo ha fatto nella stessa intervista nella quale ha esordito dicendo d’essersi decisa a denunciare Weinstein mettendoci nome e cognome, quando ha visto che le sue vittime erano quasi 200. E allora perché non ha mai denunciato anche Bennett? Forse perché, fino a quando lui non l’ha accusata di stupro, era chiaro anche a lei che quel pomeriggio era stato solo un pomeriggio di un giorno da cani, sgradevole e fuori controllo come certi pomeriggi che capitano nella vita di chiunque e che non meritano nient’altro che una birra, per venire archiviati, non un processo. Asia Argento, però, non aveva altra scelta che agire come sta agendo, perché il tempo è quello che è, e il clima pure, senza considerare che ha il suo cavalierato del metoo da difendere. In un altro tempo e in un altro paese, che pure siamo stati, un Bennett avremmo potuto, tutti, lei compresa, liquidarlo con un: “Suvvia, ma quando ti ricapita?”. Scusate la volgare semplificazione.