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Come nasce e come si combatte il grande odio contro le professionalità

Massimo Piattelli Palmarini

Abbasso le statistiche, i fatti e la verità. Il rispetto della professionalità si erode anche all’università. Bocciare uno studente è diventata un’eresia

Nel suo classico saggio del 1976 “The Culture of Professionalism”, lo storico ed economista americano Burton J. Bledstein (Università dell’Illinois a Chicago) ricostruiva le origini e la ragion d’essere di un tratto caratteristico della società americana: la deferenza alla professionalità, l’expertise, la correttezza e la diligenza di una classe dirigente basata sul merito. Per lunghi decenni, dall’inizio del Novecento, infatti, a differenza delle élite europee ancora basate sull’aristocrazia ereditaria, sul censo e sulle relazioni personali, la classe media americana si identificava con i propri professionisti, qualificatisi in un tipo assai particolare di università. In primis, naturalmente, si trattava di ingegneri, medici, avvocati, diplomatici, professori, ma la cultura della professionalità, come illustrato da Bledstein, percolava anche in basso, nei tecnici, nel terziario e in molti mestieri. Illustrative sono, per esempio, le sue pagine dedicate alle imprese di pompe funebri. Dal decesso fino alla cura permanente della tomba, i professionisti, i “mortician” (nome che fa eco a physician, cioè i medici dei vivi) avevano sviluppato e codificato come avvicinare la famiglia, come comportarsi, cosa dire e cosa non dire, abbinando compassione ed efficienza. Ancora nei primi decenni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, un europeo rimaneva colpito, in America, dalla professionalità degli addetti ai servizi, dei riparatori, dei poliziotti, degli agenti di viaggio e perfino degli attori e dei cantanti, questi ultimi magari un po’ avvinazzati o un po’ drogati, ma poi rigorosi sul set e sul palcoscenico.

 

Gli eccessi non tardarono a manifestarsi, come Bledstein sottolinea e lamenta. Eccessiva rigidità di regole e di comportamenti, scarsa elasticità e inventiva per i casi insoliti, insufficiente personalizzazione del singolo cliente, frasi ripetute a pappagallo, inerzia nell’adattamento al mutare dei tempi. Nel complesso, però, la società americana progrediva e il livello medio di istruzione cresceva.

 

Poi, per dirla con Eugenio Montale, su quel mare dové mettersi un vento. Il rispetto per la professionalità è attualmente in diminuzione. Si rivendica la saggezza delle intuizioni di senso comune, l’istinto personale, l’immediatezza del sentimento. Forza particolare quel vento la sta derivando dall’internet. Navigando da casa propria si trovano informazioni su qualsiasi soggetto. Un’ora o meno di lettura sul proprio personal dà l’impressione di saperne quanto qualsiasi professionista. Si moltiplicano proposte di diete, erbe e intrugli che scongiurano il cancro, ovvero rafforzano il corpo e la mente, ovvero aumentano l’efficienza erotica, o prolungano la vita.

 

Ciascuna si accompagna alla frase “questo ha lasciato sbigottita la classe medica”, il vostro medico mai ve lo rivelerà e simili. I suggerimenti su come migliorare le relazioni sociali, armonizzare le relazioni di coppia, potenziare la mente e irrobustire la memoria si abbinano a inviti a lasciar perdere lo psicologo, il farmacologo. Diffidare dei professionisti, insomma. Siti web su come costruire, riparare, potenziare ogni sorta di congegni sembrano rendere inutili i servizi dei tecnici.

 

Le ricadute della diffidenza per la professionalità sono particolarmente evidenti nella politica. Si applaude l’allontanamento degli esperti e l’incuria per le loro raccomandazioni. Poco importa che un giorno il presidente dica A e due giorni dopo lo neghi. Poco importa che asserisca qualcosa che le statistiche smentiscono clamorosamente. Abbasso le statistiche, abbasso i fatti, abbasso la verità. Scordiamoci la professionalità, laceriamo il tessuto della diplomazia, ignoriamo le prevedibili conseguenze delle decisioni, tanto altre decisioni, magari costosissime, potranno portar riparo.

 

Sul fronte dell’istruzione, anche universitaria, il rispetto della professionalità si erode e un certo populismo si e’ infiltrato. Mai bocciare uno studente o dare brutti (ma meritati) voti. Sospendere, dilazionale, dare ulteriori possibilità, incoraggiare un recupero. Un tempo, l’elaborato scritto per l’esame finale veniva consegnato e valutato. Non più. Una prima versione viene consegnata in anticipo. Il professore suggerisce modifiche. Una seconda versione segue e infine segue la versione finale. In realtà si tratta di una co-produzione di insegnante e studente. Perché mai dare un brutto voto?

 

Alcuni nuovi miliardari americani, alle vette del commercio e dell’industria, si fanno vanto di non aver mai frequentato un college. Un industriale italiano e’ andato a trovare una professoressa di filosofia del liceo, che aveva dato un (meritato) votaccio al figlio di questi. Con il libro di testo in mano, aperto a una pagina (credo di Immanuel Kant), legge con disgusto alcune frasi, sbatte il libro sul tavolo e dice “io sono il numero due al mondo del mio settore e non ho mai avuto a che fare con queste scempiaggini”. L’incontro non fini’ bene.

 

Difficile prevedere quanto ancora possa continuare o intensificarsi il discredito della professionalità. Forse vi sarà un punto di arresto. Per le malattie gravi, occorre sempre più l’aiuto dei professionisti, decotti ed erbe poco possono contrastare i progressi continui della medicina. Nel mondo delle tecnologie, sempre più raffinate, l’istinto di “panza” non serve a niente. Quanto alla politica, forse anche lì ci sarà un nadir dell’improvvisazione e un ritorno possibile alla professionalità. Speriamolo.

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