Il numero uno del New York City Ballet, Peter Martins, con la figlia e la moglie (foto LaPresse)

Ballando sul patriarcato

Giuliano Ferrara

La caduta di Peter Martins del New York City Ballet per body shaming. Ora chi balla lo decide un comitato

Il caso di Peter Martins è diverso dai vari casi Weinstein esplosi con fragore mondiale lo scorso ottobre. L’attacco questa volta colpisce il patriarcato magisteriale, il direttore artistico e caposcuola, e riguarda il famoso “corpo delle donne” (e di rari maschi coinvolti) come oggetto di disciplinamento e governo tutoriale, più che di desiderio invasivo o abusivo. La partita, abbondantemente ideologica o culturale, si gioca stavolta intorno alla nozione di autorità, al ruolo del Maestro e dell’accademia, uno showbusiness di alta cultura che si presenta significativamente come “corpo di ballo”. Fino a lunedì scorso Martins era l’erede di George Balanchine, leggendario fondatore del New York City Ballet e suo augusto predecessore. Da lunedì, dopo le sue dimissioni in mezzo ad accuse di “comportamento inappropriato”, a quasi trent’anni dalla successione al mitico Balanchine, Martins è fuori, out, zero.

 

Che cosa ha scatenato tutto? Non si parla di stupro, di abusi sessuali gravi, a stento si accenna a rapsodico sesso condiviso in un quadro di seduzione e carriera. La vera imputazione, a forte impatto emozionale, è il body shaming, il deprezzamento di un corpo giudicato senz’appello troppo grasso per la performance, la brutale selettività nei casi di disordini alimentari, fratture o malfunzionamento del delicato strumento di ogni coreografia on stage, in scena (con conseguenti sostituzioni). Chi abbia visto sette anni fa il film di Darren Aronofsky, Black Swan, o abbia letto le demenziali memorie del Dio degli anni Venti ai Russian Ballet, Nijinsky, sa che il balletto spesso impasta talento, creatività, dramma e melodramma, nevrosi e delirio in dosi massicce. Natalie Portman impersonò nel 2010 in Black Swan la follia autolesionista e neuroticamente omicida della prima ballerina, e fu allenata alla parte, circostanza a suo modo fatale, da Mary Helen Bowers, una ballerina teenager che qualche anno prima era fuggita dal New York City Ballet, con compenso extra per garanzia antiscandalo, in seguito a un episodio di body shaming da parte di Martins, che lei oggi accusa in mezzo ad altre venti testimonianze analoghe o giù di lí.

 

Oggi la Bowers gestisce una compagnia sua, Ballet Beautiful, che secondo Robin Pogrebin del Nyt “rende accessibile il balletto a ogni tipo di corpo”. Magistero contro magistero, con ogni evidenza, conflitti di scuola tra il mito identitario della “diversity” (ogni tipo di corpo) e il segno stilistico disciplinato e uniforme (fit to perform, potremmo dire). Dall’inferno in cui è precipitato, l’erede di Balanchine può ora vedere a occhio nudo come si decidano, nell’epoca di #metoo, le guerre culturali. La masturbazione di Louis C. K. o molestie e massaggi e forzature oscene di Weinstein hanno aperto la strada, una volta oggetto di denuncia generalizzata o gogna on the record, a nuove varianti della caccia al “comportamento inappropriato”, con risultati anche in questo caso definitivi e violenti.

 

Patriarcato e magistero sono sul banco degli accusati, la prossima coreografia la decide un comitato di quattro persone appena designato in sostituzione di Peter Martins.

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.