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Rapporti alla mano /9

In Italia, la scuola è in un cono d'ombra

Sabino Cassese

Meno laureati rispetto agli altri paesi europei. Neet al di sopra della media Ocse. Ancora pochi insegnanti qualificati. Tanti i sintomi di una crisi di cui opinione pubblica e governi non si preoccupano abbastanza. I numeri e i dati del monitoraggio della Commissione europea

Secondo la “Relazione di monitoraggio del settore dell’istruzione e della formazione 2023”, analisi per Paese, del novembre 2023, opera della Commissione europea, nel 2022 la percentuale di bambini di età compresa tra zero e tre anni iscritti ai servizi per la prima infanzia era del 30,9 per cento inferiore alla media dell’Unione europea, pari al 35,7. La percentuale di giovani che hanno abbandonato precocemente l’istruzione e la formazione nella fascia d’età tra i 18 e i 24 anni era pari all’11,5 per cento nel 2022, ma è in diminuzione. Nel 2022, il 29,2 per cento dei giovani di età compresa tra i 25 e i 34 anni possedeva un diploma di istruzione terziaria rispetto alla media dell’Unione europea del 42 per cento, con un tasso di completamento dell’istruzione terziaria particolarmente basso tra i residenti non nati in Italia. Nel 2022, il tasso di partecipazione all’istruzione e alla formazione per le persone di età compresa tra i 25 e i 64 anni è stato del 9,6 per cento, con un aumento significativo rispetto al 2017.
 

Sul lato dell’offerta, secondo la Commissione europea la scuola italiana registra una carenza di insegnanti qualificati, specialmente nelle scienze, in matematica, nelle lingue straniere e nel sostegno all’apprendimento, in particolare nel Nord. Le procedure di selezione, ripetutamente modificate, producono lunghi tempi di attesa, spingendo le persone verso altre professioni. La progressione salariale degli insegnanti è lenta, con aumenti modesti e per anzianità, mentre lo stipendio massimo è di circa il 50 per cento in più rispetto a quello iniziale, e viene raggiunto in 35 anni. Tuttavia, la percentuale degli insegnanti soddisfatti del proprio lavoro è la seconda più alta dell’Unione europea, probabilmente in considerazione della sicurezza del lavoro e della possibilità di conciliare la vita privata e quella professionale

L’Istituto nazionale di statistica - Istat, a sua volta, nel “Report” dell’8 aprile 2024 intitolato “La formazione degli adulti  - Anno 2022”,  ha rilevato che, nel 2022, poco più di un terzo delle persone tra i 25 e i 64 anni ha partecipato ad attività di istruzione e formazione. Il tasso di partecipazione italiano è più basso di quello medio europeo di quasi 11 punti percentuali. Sono il 31 per cento i 18-24enni che non partecipano ad alcun percorso di istruzione o formazione, contro il 20,2 per cento della media europea.
Nel rapporto della Fondazione Agnelli “ITS Academy: una scommessa vincente? L’istruzione terziaria professionalizzante in Italia e in Europa”, a cura di Matteo Turri, dell’ottobre 2023, si può leggere che “la difficoltà che in Italia ha incontrato la costruzione di un robusto ed efficace sistema di istruzione terziaria professionalizzante è forse la principale spiegazione del numero così basso di laureati nel nostro Paese (poco meno del 27 per cento fra i 30-34enni, contro una media Ue di quasi il 42)”.
 


Secondo il rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico - Ocse intitolato “Uno sguardo sull’istruzione in Italia, 2023” (“Education at a glance, Italia, 2023) dedicato in particolare all’istruzione professionale, “in Italia il 40 per cento dei giovani di 15-19 anni è iscritto a percorsi di istruzione secondaria superiore a indirizzo tecnico professionale, rispetto al 23 per cento dell’area dell’Ocse”. Nonostante che i percorsi di istruzione formazione professionale siano ampiamente diffusi, tuttavia, i risultati ottenuti dagli studenti sono inferiori rispetto alla media dell’Ocse. I tassi di occupazione dei diplomati della formazione professionale, dopo uno o due anni dal conseguimento del titolo, sono i più bassi in tutto l’Ocse, con una percentuale pari al 55 per cento. Analogamente, il tasso di giovani che non hanno un lavoro né seguono un percorso scolastico o formativo (i cosiddetti Neet), di età compresa tra il 15 e i 34 anni con un diploma tecnico professionale è pari al 28,1 per cento, ben al di sopra del 15,2 dell’Ocse.

Un problema sociale

Quelli elencati sono solo alcuni segnali della scarsa sintonia della scuola con la società. La scuola è indietro rispetto ai bisogni sociali. E’ sorda alla domanda di molti insegnamenti: ricordo soltanto quanto poco viene insegnato a conoscere le istituzioni e a vivere nella società, e la scarsa presenza dell’insegnamento della musica, che pure faceva parte del famoso “quadrivium” (le quattro arti liberali del Medioevo). E’ poco rispondente al ruolo di “legamento sociale”: essendo il primo e il più efficace strumento di socializzazione, ve ne sarebbe particolare bisogno in una società sempre più dominata dall’individuo. Tutto questo è confermato dallo scarso interesse dell’opinione pubblica per i problemi dell’istruzione e della scuola; nei giornali, nella radio, nella televisione sono più presenti i problemi dell’Ita, o dell’Ilva, di quelli della scuola, nonostante il fatto che essa sia la più grande azienda del Paese, se si considera il numero degli addetti (quasi un milione e 300 mila per istruzione e ricerca) e l’organismo di gran lunga più in contatto con l’intera comunità nazionale, se si considera l’enorme numero degli utenti (circa 8 milioni e mezzo di studenti, per non parlare delle loro famiglie).

L’istruzione elemento essenziale della cittadinanza

Per rendersi conto dell’importanza della scuola, basta volgere lo sguardo alla storia e vedere come istruzione e cittadinanza siano andate di pari passo. Nel primo quarantennio di storia unitaria italiana, fino alla fine dell’Ottocento, sulle orme del dibattito che si era svolto in Francia mezzo secolo prima, diritto di voto e adempimento dell’obbligo scolastico furono considerati l’uno condizione dell’altro. Si pensava che, introducendo l’obbligo di frequentare le scuole fino alla licenza elementare e assegnando il diritto di voto a tutti quelli che avessero tale titolo, istruzione e cittadinanza potessero procedere di pari passo, giungendo così al suffragio universale. Nei vent’anni successivi, l’età giolittiana, seguirono le due fondamentali leggi Orlando del 1904 e Daneo-Credaro del 1911. Agli inizi del fascismo, Gentile, ministro della Pubblica istruzione, nel 1923 realizzò la radicale riforma che va sotto il suo nome. Nel 1962, l’ultima svolta, quella della scuola media unificata. Queste tappe segnalano progressi della scuola come luogo nel quale si insegna a vivere nella comunità, un aspetto di cui dovrebbero preoccuparsi opinione pubblica e governi, considerata la continua diminuzione dell’affluenza alle urne, che non è soltanto il segnale di un distacco tra classe politica e società, ma anche l’indicatore di una scarsa coscienza civica dei cittadini, derivante dal basso livello di istruzione, che oggi non è certamente più soddisfatto dalla licenza elementare.


La scuola: ricchezza della nazione

L’importanza dell’istruzione è dimostrata dagli studi che spiegano quanto la salute, la longevità, la struttura familiare, la partecipazione politica, la ricchezza, dipendano oggi dal livello di istruzione, che ha preso il posto di quello che una volta era il censo, la ricchezza derivante da patrimoni ed eredità. Nel 1964, Gary Becker un’economista della Università di Chicago, in un libro intitolato “Il capitale umano”, per cui ebbe il premio Nobel, spiegò che la decisione di andare all’università è essenzialmente identica a qualsiasi altra decisione che riguarda un investimento e che, se decide di andare all’università, un diciassettenne può aspettarsi di guadagnare nell’arco della vita oltre un milione di dollari, mentre se non lo fa guadagnerà meno della metà.
 

I benefici della formazione universitaria non si limitano alla dimensione economica, riguardano anche la salute, il matrimonio e molti altri aspetti della vita privata. L’economista italiano Enrico Moretti, che insegna all’Università della California a Berkeley, nel suo libro su “La nuova geografia del lavoro”, ha scritto che “i figli di genitori con istruzione universitaria non solo nascono più sani, ma in genere conseguono anch’essi una formazione scolastica di qualità, incrementando così il proprio potenziale di benessere fisico ed economico” e ha aggiunto che “l’inarrestabile evoluzione degli Stati Uniti da rozzo presidio della periferia del mondo a superpotenza economica globale deve moltissimo alla qualità superiore della forza lavoro americana”, per molti versi frutto della supremazia nella formazione scolastica dell’America, che divenne all’inizio del ’900 da Paese in via di sviluppo il leader indiscusso nel campo dell’istruzione, unico tra i paesi industrializzati.

Ci sono rimedi?

I rimedi per sollevare la scuola italiana dalla sua condizione critica ci sono, ma sono molti. In primo luogo, bisogna definire chiaramente e in maniera condivisa gli obiettivi, ma senza cambiarli di continuo. In secondo luogo, non bisogna pretendere palingenesi, ma non bisogna neanche perdere tempo nell’ampliare e rafforzare il sistema scolastico. In terzo luogo, occorre incentivare le sperimentazioni locali, perché, se non si può fare tutto, per adoperare una metafora, bisogna ricordare che molti piccoli fuochi possono produrre grandi incendi. E’ quello, ad esempio, che fanno la Fondazione Agnelli e “Save the Children” con il programma intitolato “Arcipelago educativo” per contrastare la perdita di apprendimento che si verifica durante il periodo di chiusura estiva delle scuole. In quarto luogo, occorre introdurre un sistema di incentivi per gli addetti alla scuola, incentivi anche non salariali, ma ideali e motivazionali, mentre si programma un maggiore investimento finanziario per la scuola. In quinto luogo, occorre avviare la trasformazione del ministero dell’Istruzione in una centrale di valutazione e monitoraggio, perché di un centro che conosca, studi, diffonda innovazione e faccia conoscere le “best practices” c’è bisogno. In sesto luogo, occorre un continuo monitoraggio dello stato dell’istruzione sotto il profilo della domanda e dell’offerta, con una raccolta più sollecita di dati statistici. Infine, organi pubblici e opinione pubblica dovrebbero porre la scuola al centro della loro attività.

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