L'editoriale del direttore

Caro Scurati, la rovina della scuola non sono gli influencer ma i genitori 

Claudio Cerasa

Meno sbrocchi su Whatsapp, più delega ai docenti. Meno processi agli insegnanti, più fiducia ai dirigenti. Meno chiacchiericcio sulla didattica, più responsabilità ai figli

Caro Antonio Scurati, scusa se ci permettiamo, ma sulla scuola italiana non hai capito un tubo. Al ministero dell’Istruzione, a Roma, in Viale Trastevere, gira da giorni un file da brividi, finito da poco anche sulla scrivania del ministro Giuseppe Valditara. E’ un file di tredici pagine. E in ogni pagina è segnato un caso di aggressione al personale scolastico registrato tra settembre e febbraio. Sono storie spaventose. Vale la pena raccontarle. Calabria, da settembre quattro casi. Primo caso, in un istituto comprensivo: due genitori sferrano al docente uno schiaffo e un pugno alla mascella, costringendo il professore a fare i conti con sette giorni di prognosi. Secondo caso, in un istituto superiore:   un docente aggredito verbalmente e fisicamente da alcuni alunni, prima in aula e poi nel cortile. Terzo caso, in un altro istituto superiore: il genitore di una studentessa che aggredisce e schiaffeggia il dirigente scolastico in presenza di altre persone a seguito del mancato inserimento della figlia in uno specifico progetto di alternanza scuola-lavoro. Quarto caso, altro istituto comprensivo: un docente, nel tragitto che è solito percorrere con la propria auto per raggiungere il plesso scolastico dove presta servizio, è stato avvicinato da un’auto dentro alla quale viaggiava un parente di un’alunna frequentante il medesimo plesso e, una volta minacciato e insultato, veniva aggredito fisicamente dallo stesso nel luogo considerato. Giorni di prognosi: dieci.

 

C’è un file di tredici pagine che circola al ministero dell’Istruzione con i casi dei docenti aggrediti. Eccoli tutti

 

Campania, cinque casi. Un docente, in un liceo classico, aggredito fisicamente dal genitore di un alunno per divergenze sulla valutazione dello stesso. Un altro docente, in una scuola dell’infanzia, aggredito con schiaffi dai genitori di un bimbo. Un altro docente, in un istituto tecnico superiore, si ritrova di fronte a un alunno che dopo aver portato in classe una pistola a pallini esplode alcuni colpi contro di lui, colpendolo di striscio. Un’altra docente, ancora in una scuola dell’infanzia, è stata aggredita verbalmente dalla mamma e dalla nonna di una bimba e ha accusato un malore. In un asilo nido, al termine dell’orario scolastico, un genitore, fermato all’ingresso dai collaboratori scolastici per l’identificazione, ha aggredito verbalmente e minacciato il responsabile della struttura e gli insegnanti intervenuti per calmarlo. E ancora, Emilia-Romagna: due casi. Primo caso, in una scuola primaria, vittima un docente. Il fatto: aggressioni fisiche, lesioni e minacce da parte della mamma di un alunno di nuovo inserimento. Con conseguente intervento delle forze dell’ordine e ricorso della docente al pronto soccorso. Secondo caso: istituto di istruzione superiore. Episodio di aggressione fisica subita da un docente nel tentativo di sedare una lite tra studenti. Lazio, tre casi. Entrambi in due istituti comprensivi. Primo caso: un dirigente scolastico riceve minacce verbali da parte dei genitori di un alunno. Secondo caso: un altro dirigente riceve minacce verbali, e va dalle forze dell’ordine a denunciare l’accaduto. Terzo caso, istituto di istruzione superiore: tre persone estranee alla scuola entrano in istituto per cercare un docente, arrivano a contatto con lui e il docente viene minacciato verbalmente di morte da uno dei tre estranei (tutti denunciati).


Lombardia, due casi. Primo caso: istituto comprensivo. Un docente riceve gravi e ripetute offese da parte di un genitore di un alunno frequentante l’istituto, in occasione di un Consiglio di classe convocato per l’audizione ed eventuale adozione di sanzioni disciplinari nei confronti del figlio. Secondo caso, in un centro di formazione professionale: uno studente ferisce con un’arma da taglio una docente, coordinatrice scolastica, colpendola alle spalle all’ingresso dei ragazzi a scuola. Non finisce qui. Puglia, quattro casi. Primo caso, istituto di istruzione superiore: durante il cambio dell’ora, appena arrivato il docente, un alunno gli corre incontro puntandogli una pistola giocattolo al petto e sparando un colpo. Secondo caso, ancora in un istituto di istruzione superiore: a seguito di un preteso ingresso in aula non autorizzato, si verifica un alterco tra un docente e un alunno. Quest’ultimo si scontra con il docente verbalmente e fisicamente. Terzo caso: in un istituto comprensivo, alcuni genitori aggrediscono e picchiano il dirigente scolastico e un insegnante all’uscita della scuola. In un altro istituto comprensivo, si verifica un’aggressione verbale con violenza fisica nei confronti del dirigente scolastico da parte di un genitore che ha ritenuto insufficiente la sanzione applicata dal consiglio di classe a un alunno colpevole di aver aggredito e picchiato il proprio figlio. Sardegna, un caso: a seguito della pubblicazione di una nota disciplinare sul registro elettronico nei confronti di un alunno che teneva un comportamento irrispettoso e inadeguato, lo studente, in risposta al provvedimento disciplinare, reagisce animosamente e successivamente, quando i genitori dello studente riescono a confrontarsi con il docente, l’alunno interessato, che presenziava all’incontro, si  scaglia contro l’insegnante, graffiandogli il collo, colpendolo al viso, facendogli cadere gli occhiali. Al docente, mentre raccoglieva gli occhiali, è stata data anche una testata e l’alunno gli ha anche sferrato dei pugni alla spalla e al collo. Non è finita. Sicilia, due casi. Primo: istituto comprensivo. Un’aggressione fisica e verbale da parte della madre e della nonna di un alunno, alla presenza di altri genitori e di personale scolastico. Secondo, ancora un istituto comprensivo: il soggetto coinvolto oggetto dell’episodio di violenza, si legge nella nota del ministero, “fa parte del personale Ata e ha subìto nei locali della scuola un’aggressione fisica, alla presenza di docenti e di altro personale Ata, da parte della madre di una ex alunna che pretendeva il rilascio del diploma di licenza media conseguito dalla figlia anni prima, in assenza di documento di riconoscimento”. Pensate che sia finita? Nemmeno per sogno. In Toscana, uno studente ha aggredito un docente per poter partecipare, in orario scolastico, a una sfida di TikTok. Un’alunna, in un altro istituto, a seguito di un rimprovero, ha aggredito fisicamente un docente provocando una lesione al labbro. In Veneto, in una scuola primaria, è stato denunciato il caso dello strattonamento per il braccio con aggressione verbale nei confronti di un docente di scuola primaria da parte di soggetto parente di alunno minore al momento del prelevamento degli alunni all’uscita dalla scuola. Mentre in una scuola secondaria di secondo grado sono state registrate minacce e spintonamenti ai danni di un educatore da parte di un genitore durante un colloquio.

 

Di fronte a tutto questo, che non è un’emergenza ma è un problema reale, carsico, diffuso, latente, occorrerebbe fare un ragionamento diverso da quello suggerito due giorni fa da Antonio Scurati su Repubblica. Secondo Scurati, oggi l’intera società sembra remare contro la scuola. “A professori malpagati, trascurati, dimenticati – scrive Scurati – viene affidato nominalmente il compito cruciale di educare, istruire, incivilire le nuove generazioni ma la società, appena fuoriesci dal perimetro dell’edificio scolastico, muove in direzione opposta e contraria minando sistematicamente la loro autorità”. Scurati individua come primi responsabili di questo fenomeno, udite udite, “gli influencer”, diventati “enormemente più influenti degli insegnanti”. E, aggiunge lo scrittore, “al populismo estetico si aggiunge, poi, quello sociale: non c’è tema rilevante che non venga, oramai, accaparrato da queste nuove figure il cui scopo prevalente, e spesso unico, è l’autopromozione”. L’analisi di Scurati contiene elementi di interesse ma è un’analisi che sceglie di rimuovere quello che è il vero tema, il vero dramma, che riguarda le scuole. E non è un caso che gli intellettuali immersi nella cultura progressista scelgano spesso di non porsi alcune domande semplici. Per esempio: siamo proprio sicuri che la delegittimazione degli insegnanti sia colpa degli influencer? Per esempio: siamo sicuri che la delegittimazione dei dirigenti scolastici sia colpa della società? Per esempio: siamo sicuri che in questo attacco sistematico all’autonomia dei docenti non ci sia qualcosa che ha a che fare con il modo in cui i genitori si comportano con i figli e con il modo in cui le famiglie hanno accettato in questi anni di sottovalutare il modo in cui l’uno vale uno è entrato a far parte della nostra cultura scolastica? Più che parlare della pericolosa egemonia degli influencer nel mondo della scuola – gli influencer ormai sono come il cacio, quando c’è un problema da affrontare stanno bene ovunque – varrebbe forse la pena guardarsi allo specchio e fare ragionamenti diversi. Più o meno di questo tipo. Siamo pronti a fare tutto il necessario per provare a dire, anche qui, una frase simile a “mai più”? Siamo pronti a fare tutto il necessario per provare ad agire, nella nostra quotidianità, evitando di dare la stura ai nostri più intimi sentimenti anticasta? Siamo pronti a fare tutto il necessario affinché, nella nostra routine, nelle nostre stramaledettissime chat su Whatsapp, negli incontri con i genitori dei nostri figli, si faccia tutto e di più per tenere la barra dritta, come si dice, evitando che il chiacchiericcio diventi un processo, evitando che quello che non capiamo della scuola diventi la prova che tutto va male ed evitando che i mugolii dei nostri figli diventino delle testimonianze inappellabili che qualcosa in quella classe non va, che qualcosa con quella maestra non va, che qualcosa in quella scuola non va, che qualcosa con quella didattica non funziona, che qualcosa i genitori dovrebbero pur fare? Si è sentito spesso negli ultimi mesi un grido d’allarme generale per alcuni gravi episodi che si sono verificati nelle aule scolastiche ma si è sentito poco da parte dei genitori, da parte degli osservatori e anche da parte dei politici un ragionamento diverso da quello che generalmente viene formulato all’indomani di una notizia che riporta il caso, l’ennesimo, di una professoressa picchiata o di una preside insultata. Solitamente, quando succede, ci si concentra sulla forma, ci si concentra sul singolo gesto e ci si limita a condannare l’ondata di violenza nelle scuole scaricando la responsabilità sulla politica e chiedendo ai legislatori, come al solito, di fare qualcosa. Vigilate di più, si dice. Fate leggi più dure, si chiede. Trovate un modo affinché chi compie quei gesti ci pensi due volte prima di lanciare un banco contro una preside. Non notate anche voi che c’è qualcosa che non va? Quel qualcosa che non va riguarda un ragionamento che spesso manca quando le notizie dei maltrattamenti del personale scolastico arrivano sulle nostre timeline. Quel qualcosa riguarda il nostro quotidiano, la nostra routine, il nostro personale contributo a mettere in campo, ogni giorno, un whatever it takes finalizzato a combattere costantemente una forma di populismo molto diffusa in Italia: la volontà, da parte dei genitori, di saperne più dei docenti, quando si parla di didattica, e la necessità, da parte dei genitori, di difendere i propri figli dai soprusi degli esperti. Ci si interroga molto su quello che potrebbero fare le istituzioni per proteggere i docenti ma ci si interroga poco su cosa potrebbero fare i genitori per trasformare la scuola in un laboratorio per insegnare ai propri figli i valori non negoziabili di una democrazia, di una società aperta, dove gli esperti contano più dei non esperti, dove le competenze hanno un peso superiore alle incompetenze, dove chi ha il potere di decidere deve essere messo in condizione di decidere e dove il potere della delega è al centro di un patto non scritto, ma cruciale, quasi dal valore costituzionale, tra chi sceglie di essere rappresentato e chi sceglie di rappresentarci.

 

E’ ora di un what ever it takes finalizzato a combattere  una forma di populismo  diffusa in Italia: l’uno vale uno a scuola

 

Le violenze nelle scuole esistono, sono spaventose, sono in crescita, ma ogni volta che una notizia di un docente aggredito, di un dirigente maltrattato, di un bidello malmenato compare sulla nostra timeline dovremmo avere la forza, la pazienza e il coraggio di non girarci dall’altra parte considerando quel problema come unicamente riguardante dei violenti e di guardarci allo specchio chiedendoci, nel nostro quotidiano, cosa ciascuno di noi fa ogni giorno per spiegare ai nostri figli quanto l’uno vale uno sia un pericoloso bug democratico non solo quando si parla di politica ma anche quando si parla di scuola. Meno sbrocchi su Whatsapp, più delega ai docenti. Meno processi agli insegnanti, più fiducia ai dirigenti. Meno chiacchiericcio sulla didattica, più responsabilità ai nostri figli, meno irresponsabilità dei genitori, più poteri ai docenti, senza fraintendere la possibilità dei dirigenti scolastici di poter decidere in autonomia come una spia di un nuovo fascismo. Il populismo, se si vuole, caro Scurati, lo si combatte anche così. A scuola, come in politica. 

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.