Cattivi Scienziati

La scuola del futuro deve proteggere dalla post-verità

Enrico Bucci

All'idea che il principale obiettivo dell'istruzione obbligatoria sia imparare un mestiere come in tempi passati, si contrappone il fine ultimo di saper notare e discernere ciò che è vero da ciò che non lo è, sarebbe stato utile durante la pandemia

Di recente, mi è capitato di commentare i dati discussi in un interessante articolo su La Stampa, dati il cui succo è il seguente: la scuola odierna non solo non sembra più in grado di colmare il divario iniziale fra gli studenti, ma addirittura cristallizza le disparità iniziali associate sia al maggior reddito che al più elevato livello di istruzione delle famiglie di provenienza.
Fra i commenti più interessanti e infervorati che ho ricevuto, vi sono quelli di coloro i quali pretendono di ricondurre la fine della funzione di “ascensore sociale” della scuola ad una sua odierna incapacità di formare al lavoro, cioè sostanzialmente alla non corrispondenza fra la domanda di lavoro specializzato e la formazione offerta dal nostro sistema educativo.

 

Sono radicalmente in disaccordo non tanto con l’affermazione di questo disallineamento, quanto piuttosto sulla funzione che si sottintende la scuola debba avere come sua missione principale, ovvero la formazione (e per alcuni addirittura l’avviamento) al lavoro. Attenzione: non sto dicendo che questo non sia fra le funzioni di una buona scuola, ma semplicemente che non può essere questo l’obiettivo principale.
Per secoli, anzi probabilmente per millenni, l’avviamento al lavoro dei giovani ha funzionato benissimo, ed è cominciato precocissimamente, ovvero fin dalla più tenera infanzia. Nelle botteghe e negli altri luoghi di lavoro, per la maggior parte della storia dell’umanità e ancora oggi in molti luoghi del nostro pianeta, si sono insegnati alle nuove generazioni, spesso ai bambini, ogni sorta di mestieri, con un tasso di apprendimento più che soddisfacente dal punto di vista della formazione dei futuri lavoratori al mestiere che avevano la ventura di apprendere.

 

Se davvero volessimo che le nuove generazioni avessero da apprendere solamente un mestiere, non sarebbe difficile, con le opportune tutele in termini di salute e sicurezza, ripristinare le “scuole” di un tempo, intese come l’apprendistato necessario e sufficiente a padroneggiare un lavoro, imparando dalla pratica.
Questa visione, io credo, è istintivamente invisa alla maggioranza dei lettori, e considerata naturalmente come retrograda, così come io stesso la definirei. Dunque in cosa la scuola fornisce qualcosa di meglio, rispetto alla bottega, all’officina, al negozio dei genitori?

 

Ciò che realmente è prezioso, quello che ogni sistema educativo deve essere in grado di fornire non è, o meglio non è solo, la capacità necessaria a lavorare: è invece la capacità di imparare a riconoscere ciò che è certamente falso, o da un punto di vista logico, o fattuale, o per combinazione.
Cercherò di spiegarmi meglio con un esempio: tutti abbiamo visto, non appena il numero dei vaccinati è diventato molto maggiore di quello dei non vaccinati, come chi si oppone alle vaccinazioni abbia provato a vendere l’idea che i vaccini provochino Covid-19, visto che i casi di malati vaccinati sono ben presto diventati di più di quelli dei non vaccinati. Si tratta di un fulgido esempio di come una manipolazione informativa può indurre in errore chi non abbia ben saldo, almeno dalle scuole primarie, il concetto che in casi come questo occorre paragonare l’incidenza percentuale, e non assoluta, di una data condizione; eppure questa manipolazione, come a suo tempo previsto, è stata ampiamente utilizzata in danno di chi non è in grado di difendersene, o di chi non vede l’ora di trovare “prove” contro l’utilità dei vaccini.

 

La scuola deve aiutarci a riconoscere immediatamente una fallacia come questa; a partire dagli strumenti di base necessari, diciamo quel po’ di aritmetica, logica, grammatica e nozioni di base, deve costruire la capacità di ogni cittadino di argomentare, di riconoscere le argomentazioni sbagliate, di abituarsi all’analisi fattuale delle affermazioni altrui, di valutare le fonti e di saperle incrociare nella maniera opportuna. Se poi, nel processo di raggiungere questa padronanza minima, gli studenti sono educati anche al gusto del bello, della cultura, della storia del pensiero razionale e di quanto altro si cerca di trasmettere, è naturalmente un gran bene aggiuntivo; perché gli infiniti esempi riscontrabili in ogni materia di insegnamento sono altrettanti strumenti che possono tornare utili, quando qualcuno cercherà di venderci una proposta politica sballata per essere eletto, come un farmaco che non è tale o una qualunque bugia ammantata di belle parole.

 

Tutti dovrebbero essere posti nelle condizioni di imparare un mestiere corrispondente alla richiesta del mercato, è vero; ma, prima ancora, tutti devono essere formati per difendersi dalla post-verità che minaccia, più di ogni altro veleno, la democrazia in cui viviamo, oltre che il benessere e la vita dei singoli individui. Perché formare masse di operai specializzati, di tecnici informatici o di altra manodopera è e sarà sempre possibile; recuperare invece la capacità di discernimento, una volta perduta, potrebbe essere difficile o forse impossibile per generazioni.

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