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diario di scuola

La sfilata di fine anno di una scuola di moda. Forti emozioni per la vita che sarà

Marco Lodoli

Musica, trucchi, acconciature e gli abiti indossati dalle studentesse, modelle per un giorno. Tra loro alcune diversamente abili, protette, aiutate, coinvolte. Attimi carichi di un senso che non si lascia tradurre in una semplice spiegazione

Ci sono immagini che hanno una potenza simbolica irresistibile, come se fossero capaci di mostrare e svelare il tempo che viviamo o addirittura quello che ancora non è arrivato, ma che preme dal futuro. Penso a Marcello e Anita nella fontana di Trevi, apoteosi eppure già declino di un mondo che sembrava per sempre felice, oppure ovviamente la città di “Blade Runner”, altissima tecnologia e spazzatura, incroci di popolazioni reali e fantastiche, uomini e replicanti persi tra i fumi delle bancarelle cinesi: abbiamo tutti visto quel film e in un attimo abbiamo capito come si sarebbe sviluppato il tempo a venire, come si sarebbe consumato. E qualcosa del genere ho provato pochi giorni fa, assistendo alla sfilata di fine anno della scuola professionale di moda dove insegno da più lustri, il Pertini Falcone, dislocato in più sedi tra Torre Spaccata, Torre Maura e la Borghesiana, profondo sud-est di Roma.

E’ consuetudine della scuola mostrare a un pubblico di genitori, parenti e amici il lavoro svolto durante l’anno: per parecchi giorni ferve la preparazione, c’è che si occupa della musica, chi dei trucchi e delle acconciature, chi della pedana, e professori e allievi rifiniscono gli abiti che saranno indossati dalle studentesse, modelle per un giorno. Quest’anno la location (ormai si dice così, c’è poco da fare) della sfilata non è stata la scuola. Stefania, bravissima e ingegnosa professoressa, ha preso contatti con il Maam e lì è avvenuto “l’evento” (altro termine da cui ormai non si può prescindere). Ma che cos’è il Maam? E’ il Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz, e già questo nome incuriosisce, produce belle aspettative. In definitiva è una sorta di rudere di archeologia industriale, un ex mattatoio per maiali, da molti anni trasformato in una sorta di centro d’accoglienza per sfollati, immigrati, famiglie in difficoltà, che hanno occupato e vivono in quegli spazi inverosimili.

La cosa sorprendente è che questo immenso e diroccato edificio è diventato anche un museo metropolitano, grazie all’intuizione di Giorgio De Finis, antropologo e regista, che ha aperto le porte di questo luogo a tantissimi artisti. E così i grandi saloni, i cortili smisurati, i corridoi infiniti di questo slabbrato labirinto metropolitano si sono riempiti di murales, di sculture d’ogni tipo, di pianeti sospesi, di sculture indecifrabili e opere misteriose, di ogni sorta di allestimento sperimentale. E così disagio sociale e ricerca della bellezza, accoglienza e creatività, ruderi periferici e fantasie cosmiche convivono in una fratellanza stupefacente. Mi sembra che non ci sia un gran lavoro di mantenimento, e tutto, vita e arte, degrada confusamente, e però l’insieme è affascinante, una simbiosi di realtà dolorosa e immaginazione totale, un matrimonio impossibile eppure consacrato dalla volontà di chi ci ha creduto fino in fondo. E in questo teatro assurdo e vivo si è svolta la sfilata di fine anno della mia scuola.

E’ stata un’esperienza emozionante, unica, che a modo suo sembrava quasi una profezia. Noi spettatori ci siamo sistemati sui bordi, sotto un cielo torrido e scrostato, nei cortili e nei saloni del Maam, e a un certo punto è partita la musica tecno, studiata da Simone, il dj della scuola, e come per miracolo sono apparse, una dopo l’altra, le ragazze del Pertini Falcone, vestite delle loro creazioni, sicure o dondolanti nei passi da improvvisate modelle. E tra loro anche qualche ragazza “diversamente abile”, la mia scuola ne accoglie molte, le protegge, le aiuta, le coinvolge in tutte le iniziative. Mi sono tremendamente emozionato, ho sentito un groppo alla gola, niente mi ha toccato con tanta forza in questi anni, né la letteratura più premiata né il cinema d’autore, né il teatro d’avanguardia. Qui eravamo oltre, nella verità e nel simbolo, nel presente e già nel futuro. Attimi carichi di una commozione e di un senso che non si lasciano tradurre in una semplice spiegazione: è stata una visione che senza parlare diceva moltissimo. Rovine, arte, giovinezza, desolazione, speranza, emarginazione, solidarietà, fine e inizio, tutto stretto in un’immagine, in un nodo inestricabile che somiglia alla vita che batte, alla vita che sarà.

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