Diario di un prof

“Non ci andiamo mai”. Quant'è lontana Roma per gli studenti di borgata

Marco Lodoli

A scuola, spunta un contagio e si ritorna in dad. Ma si procede con il programma: il Seicento e il Barocco, di cui Roma è piena d'esempi. Che i ragazzi, abitanti nelle periferie, non vanno a visitare...

Sembrava che rischi e pericoli fossero ormai alle spalle, che la situazione fosse serenamente sotto controllo, che il morbone girasse poco, pochissimo, e lontano da qui, e invece rieccolo tra noi: una ragazza della seconda è venuta a scuola con la febbre – genitori distratti, disinformati, irresponsabili? – e poi è risultata positiva. La classe è entrata in quarantena cautelativa e le lezioni, aridanghete, sono nuovamente in Dad.

  

Noi insegnanti siamo tutti vaccinati, eppure il giorno dopo questa triste sorpresa sono entrato in una leggera paranoia, mi sentivo la febbre, anche se non l’avevo, sentivo un raschietto in gola, premessa di un’immaginaria tosse devastante, percepivo una imprecisa fiacchezza nelle gambe, anche se salivo le scale senza problemi. Cercavo di ricordarmi se avevo avuto contatti ravvicinati con la studentessa, se avevo sempre tenuto la mascherina ben calata sulla bocca mentre spiegavo, se ero stato sempre prudentissimo. Non c’è niente da fare, l’immaginazione si collega all’ansia e d’improvviso disegna scenari inquietanti. I dati ci rassicurano, le onde statistiche ci confortano, e forse siamo anche un po’ stanchi di temere dopo mesi e mesi di vigilanza estrema, ci ripetiamo che tutto va bene, che la grande minaccia è debellata. Ma non è così, dobbiamo stare ancora in campana, perché il virus striscia, si insinua là dove si abbassano le cautele, scatta e morde. 

  

Naturalmente la studentessa non era vaccinata, porca miseria. Pazienza, aspettiamo che questa situazione si risolva per il meglio e andiamo avanti con le spiegazioni, le letture, le prime interrogazioni. In terza stiamo affrontando il Seicento, la cultura e l’estetica del Barocco: siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, siamo le canne pensanti di Pascal, è del poeta il fin la meraviglia, Shakespeare, Cervantes, il marinismo, le nature morte, l’orologio di Ciro da Pers, la tempesta e la meraviglia, le acrobazie della fantasia sulla fune tesa nel vuoto… Per tanti aspetti il Seicento è un secolo che somiglia al nostro tempo: smarrimento e effetti speciali, paura e invenzioni fantastiche.

  

E allora ho detto ai miei studenti di Torre Maura che siamo fortunati, perché Roma ci offre tanti capolavori barocchi, sono sotto ai nostri occhi, basta muoversi un poco per ammirare queste bellezze così spericolate, così emozionanti. Tanto per cominciare, ho disegnato sulla lavagna un itinerario caravaggesco che parte da Santa Maria del Popolo, dove c’è il martirio di San Pietro e la conversione di San Paolo sulla via di Damasco, e poi si incammina per via Ripetta, via della Scrofa, fino a San Luigi dei Francesi, con le tre grandi tele dedicate a San Matteo, e a Sant’Agostino, con la Madonna dei Pellegrini. In fondo sono luoghi attigui alle strade dello shopping, basta una leggera deviazione per incontrare Caravaggio. E poi ho invitato gli studenti a trovare altri percorsi barocchi nella nostra città, inseguendo Bernini e Borromini, sculture e cupole e chiese e straordinari inganni prospettici, come a palazzo Spada. Piccoli gruppi di ricerca ai quali ho promesso un bell’otto, e un dieci a chi fosse andato a fotografare almeno una di queste opere.

  

“Professò, ma noi a Roma ci andiamo poco, quasi mai”, mi ha detto una ragazza, “Roma è lontana da dove stiamo noi”. Stupore contemporaneo, il mio, fatto di povera concretezza. “Ma perché dici così? Voi siete a Roma, abitate a Roma, è la vostra città ed è tutta qui, centro e periferia, piazza Navona e Grande Raccordo, San Pietro e Tor Bella Monaca, non sono due città diversa, è una sola…”. La ragazza ascolta e scuote piano la testa, non aggiunge altro, non dice niente. Mi sembra comunque di non essere riuscito a convincerla. Lei resta della sua idea, anche se ora non sa spiegarla fino in fondo: sente che Roma è altrove, dove c’è bellezza, incanto, ricchezza, possibilità, occasioni lontane, difficili da raggiungere. In qualche modo mi sembra che per i ragazzi delle periferie, delle borgate oltre il Raccordo, sia più semplice trovare un’intesa ideale con gli abitanti di tutte le periferie delle grandi città del mondo piuttosto che con il centro della loro città. Da qui Roma, con le statue di Bernini e gli uffici, i negozi, le banche, le piazze barocche è un punto lontanissimo, in fondo a un viaggio che per loro ha poco senso. Forse domani, forse un altro giorno, forse.

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