diario di un prof

Le riunioni della didattica, in cui l'insegnamento sparisce dentro una nuvola di fumo

Marco Lodoli

Seconda settimana di scuola in presenza per i licei. Di chat in chat, le riunioni tra i prof. si impoveriscono di contenuti e si riempiono di futilità

Seconda settimana di scuola, si comincia a fare sul serio, ad esempio si riuniscono i dipartimenti di ogni materia, i prof. di Lettere tra loro e quelli di Matematica tra loro e così via, per confrontarsi sulle scelte, sui programmi, sugli argomenti da studiare e su quelli che forse è meglio scartare. Potrebbe e dovrebbe essere una riunione interessante, in cui si entra nel vivo della didattica, si ascoltano le opinioni di tutti, si pianifica l’anno scolastico. Eppure accade altro, inspiegabilmente. La prima mezz’ora passa cercando un presidente e un vicepresidente per il dipartimento. E’ la solita mania italiana di moltiplicare gli incarichi, di dare un tono di altisonante ufficialità a ogni cosa, fumo che avvolge le fette d’arrosto fino a farle svanire. Bisogna trovare anche un segretario che scriva il verbale, con l’elenco dei presenti, l’ordine del giorno, il riassunto di ogni vago intervento. Passa il tempo e ancora non si è parlato di nulla di concreto. E poi si affronta il primo punto all’ordine del giorno: i curricula digitali.

A me inizia a venire l’orticaria, perché non capisco quasi niente di queste modernissime e astruse chiacchiere. Si parla di problem solving, di firme elettroniche certificate, di moduli e modelli, di griglie e di interdisciplinarietà delle materie, e il fumo cresce, mi sembra che mi manchi un po’ il respiro. Allora mi faccio coraggio e reagisco, cerco di riportare il nostro incontro su un piano più semplice e operativo, dico: “Ma quest’anno cosa vogliamo far leggere ai nostri studenti, cosa potrebbe interessarli, vista la situazione che stiamo vivendo da due anni?”. L’anno passato, proprio perché soffiava forte il vento gelido del Covid, ho letto in classe insieme ai ragazzi cinque racconti sul senso della vita e della morte, e subito parto con l’elenco: “Garden party” della Mansfield, “I killer” di Hemingway, “L’uomo dal fiore in bocca” di Pirandello, “La morte di Ivan Il’ic” di Tolstoj, e anche “Il diavolo nella bottiglia” di Stevenson, forse meno aderente al tema, ma tanto avvincente e bello. Testi che catturano l’attenzione, che “funzionano”, ma sono solo le mie proposte, perché siamo qui, alla riunione di dipartimento degli insegnanti di Lettere, e vorrei sentire altre proposte: ma mi sembra che il mio invito rimanga sospeso nell’aria irreale di questi incontri “da remoto”. Mi sembra che i professori più giovani siano più preoccupati delle modalità dei curricula digitali che non di condividere letture e proposte. L’altro professore “anziano”, attestato su posizioni marxiste con cui raramente mi sono trovato d’accordo, stavolta si schiera dalla mia parte, sostenendo che ormai la scuola vuole trasformarsi in un’azienda, interessata solo a produrre manodopera per il sistema capitalista, rinnegando ogni sua vocazione umanista, ogni tentativo di formare individui capaci di spirito critico. Insomma, la discussione un po’ deraglia dalla concretezza di cui ci sarebbe tanto bisogno, si inerpica e cade dai ponteggi ideologici, si frantuma in mille parole inutili.  


Vorrei suggerire anche la lettura di un paio di romanzi di Murakami, “Kafka sulla spiaggia” e “Norwegian wood”, che sono piaciuti a mio figlio e forse anche ai suoi amici, diciassettenni solitamente presi da altri interessi, ma taccio per non ingombrare la conversazione online con le mie proposte. Aspetto quelle degli altri prof. “Ho letto una bella storia romanzata dei Longobardi”, dice una giovane insegnante, e a me resta qualche dubbio, non sono proprio convinto che degli adolescenti di periferia del 2021 possano appassionarsi di Alboino ed Ermengarda, ma chiudo nel silenzio ogni perplessità. Alla fine si decide di aprire una chat dove ognuno potrà scrivere i libri – brevi, succosi, emozionanti – da presentare ai nostri studenti. Tutto rimane dentro al computer, e da lì temo che farà fatica a uscire. Mi rendo conto che sono vecchio e che probabilmente annaspo là dove gli altri corrono, che mi perdo nei labirinti della nuova pedagogia, tesa a sfruttare al meglio le possibilità dei computer. E allora, per non sembrare troppo antico, rilancio: “Grazie alle Lim, le lavagne elettroniche che abbiamo in tutte le classi, possiamo anche far vedere dei film inerenti ai nostri programmi… La figura dell’artista nel Barocco, nel Settecento, nel Romanticismo, tre film bellissimi, ‘Shakespeare in love’, ‘Amadeus’, ‘Il giovane favoloso’, sulla vita di Leopardi… Che ne pensate?”. Poco o niente. Silenzio. Forse bisogna definire ancora meglio i curricula digitali…

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