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l'intervista

Un antidoto all'ecoansia. Chiacchierata con Hannah Ritchie

Claudio Cerasa

Tra allarmisti e negazionisti, c’è una  terza via: non negare il problema, ma neanche negare che si sta provando a risolverlo. Intervista alla ricercatrice a Oxford e autrice di “Not the End of the World”, un libro da sballo che non piacerà ai cultori dell’apocalisse climatica. “Questo è il momento migliore per essere vivi”

Ha scritto Bill Gates, fondatore di Microsoft, oggi filantropo e imprenditore, che il libro più importante, più sorprendente e più interessante da tenere d’occhio nel nuovo anno, nel 2024, è quello che ha scritto Hannah Ritchie, famosa ricercatrice all’Università di Oxford, responsabile della ricerca presso il sito “Our World in Data”. E’ un libro da sballo, pragmatico, ottimista, che ha un titolo che andrebbe urgentemente raccomandato ai professionisti dell’ecoansia: “Not the End of the World”. Il libro uscirà negli Stati Uniti il 9 gennaio, arriverà nel Regno Unito l’11 e proverà a compiere un atto rivoluzionario in un mondo che quando discute di cambiamento climatico è spesso dominato solo dall’isteria. Dopo averlo letto in anteprima, Bill Gates lo ha presentato sul suo blog, ai suoi lettori, con una definizione eccitante: “E’ un antidoto essenziale contro l’apocalisse ambientalista”. Abbiamo cercato un contatto con Hannah Ritchie. L’abbiamo invitata al nostro festival dell’innovazione (sarà a Venezia, 8 giugno 2024: astenersi ecoansiosi). Hannah ci ha detto gentilmente che al festival non avrebbe avuto modo di venire ma ci ha concesso una chiacchierata illuminante sui temi del suo libro. Proveremo a insistere, per Venezia, ma intanto ci accontentiamo.

   

Hannah Ritchie, ricercatrice all'Università di Oxford, ha scritto “Not the End of the World”. Il libro uscirà negli Usa il 9 gennaio e nel Regno Unito l’11
     

Gentile Hannah, ci sembra di capire che nel suo libro lei spiega per quale motivo il mondo segue una traiettoria diversa rispetto a quella delineata dai campioni del pessimismo universale. Ci potrebbe spiegare quali sono i dati che illuminano la direzione positiva del mondo quando si parla di ambiente? “Nel libro – ci dice – mi sono concentrata prevalentemente sul cambiamento di alcuni parametri ambientali: emissioni di carbonio, uso di combustibili fossili, deforestazione, inquinamento da plastica, perdita di biodiversità. La maggior parte di queste tendenze sta andando rapidamente nella direzione sbagliata: le cose in effetti stanno peggiorando. Ma la parte che mi è sfuggita in passato – e che penso non sia scontata – è il modo in cui il progresso umano si è evoluto negli ultimi secoli. E dunque non c’è dubbio: è senza dubbio il momento migliore per essere vivi. In passato, circa la metà dei bambini moriva prima di raggiungere la pubertà. Oggi questo dato drammatico è inferiore al 4 per cento. La maggior parte delle persone viveva in condizioni di estrema povertà – vivendo con meno di pochi dollari al giorno – oggi questo capita in meno di 1 caso su 10. Le madri hanno molte meno probabilità di morire di parto, viviamo più a lungo, abbiamo l’opportunità di andare a scuola, siamo protette dalle malattie mortali e siamo ben nutrite. Anche i decessi dovuti a disastri naturali sono diminuiti nell’ultimo secolo. La maggior parte dei parametri del progresso umano sta andando nella giusta direzione. Il mondo è ancora terribilmente disuguale, sì, e abbiamo molto altro da migliorare. Ma le cose stanno migliorando per la maggior parte delle persone nel mondo”. 

Nel suo libro, Hannah Ritchie analizza sette grandi problemi ambientali che il mondo affronta oggi: inquinamento atmosferico, cambiamento climatico, deforestazione, cibo, perdita di biodiversità, plastica negli oceani e pesca eccessiva. E’ troppo chiedere una pillola di ottimismo per ciascuno di questi temi? “Certo, ci provo!”. Proviamo!

Inquinamento atmosferico: “In passato abbiamo risolto importanti problemi internazionali come il cosiddetto buco dell’ozono e le piogge acide. Nei paesi ricchi, il livello di inquinamento atmosferico è una frazione di quello del passato anche se sappiamo che possiamo fare molto di più”.

Cambiamento climatico: “Ora disponiamo della maggior parte delle soluzioni di cui abbiamo bisogno per risolvere il cambiamento climatico. E’ importante sottolineare che queste soluzioni sono ora accessibili, a differenza di dieci anni fa. Il solare e l’eolico erano le tecnologie energetiche più costose. Ma i loro prezzi sono crollati, e ora sono tra i più economici”.

Deforestazione: “I paesi temperati stanno ora facendo ricrescere le foreste. Il mondo ha superato il picco della deforestazione decenni fa. Sebbene i tassi di deforestazione tropicale siano ancora molto elevati, abbiamo l’opportunità di ridurli. Secondo alcune stime, nel 2023 i tassi di deforestazione nell’Amazzonia brasiliana sono diminuiti di circa il 50 per cento rispetto agli anni più drammatici”.

Cibo: “Oggi possiamo produrre cibo più che sufficiente per tutti grazie ai massicci aumenti della produttività agricola. I raccolti sono raddoppiati, triplicati o quadruplicati in gran parte del mondo. Se a questo aggiungiamo cambiamenti nella dieta e innovazioni biotecnologiche, potremmo nutrire 10 miliardi di persone con una frazione della terra che utilizziamo oggi”.

Perdita di biodiversità: “Molte tendenze sulla biodiversità sono estremamente desolanti. Ma ci sono alcuni segnali di luce: molti mammiferi che erano vicini all’estinzione stanno tornando in auge in Europa e Nord America. Anche la protezione di alcuni mammiferi nell’Asia meridionale e in Africa sta portando a una lenta ripresa. Inquinamento da plastica: circa lo 0,5 per cento dei nostri rifiuti di plastica finisce nell’oceano. Ma questo è un problema risolvibile: con gli investimenti nella gestione dei rifiuti, questi possono essere ridotti quasi a zero”.

Pesca eccessiva: “I tassi di pesca eccessiva a livello globale stanno ancora lentamente aumentando, ma hanno rallentato. Molti stock ittici a rischio di estinzione sono riusciti a riprendersi grazie al miglioramento della gestione e delle quote di pesca”.

Sul clima, lo sappiamo, il mondo si divide tra allarmisti e negazionisti. Il suo libro spiega che esiste però una terza via: non negare un problema, certo, ma non negare neppure che si stia facendo qualcosa per risolvere quel problema. Sull’ambiente, sul clima, quali sono i principali risultati raggiunti negli ultimi anni, che danno speranza per il futuro? “Sì, è importante trovare un equilibrio tra il riconoscimento che il cambiamento climatico è un problema estremamente serio e urgente che dobbiamo affrontare e l’avere spazio per l’azione e l’ottimismo sul fatto che c’è qualcosa che possiamo fare al riguardo. Ciò che mi rende ottimista è che le soluzioni sono diventate sempre più convenienti. Quindi non si tratta più di un netto compromesso tra la riduzione della povertà e lo sviluppo economico, o la riduzione delle emissioni. Le tecnologie a basse emissioni di carbonio saranno semplicemente le più economiche da implementare e accelereranno l’azione. Stiamo iniziando a vedere tutti questi fenomeni accadere in tutto il mondo, ma è necessario accelerare rapidamente se vogliamo avere la possibilità di raggiungere i nostri obiettivi”.

Quando si parla di clima, spesso si individua come responsabile di ogni male del mondo il sistema capitalistico. E invece l’esperienza insegna che è grazie al capitalismo, e all’innovazione, se il mondo riesce a essere più efficiente nella lotta contro i cambiamenti climatici. Ci sono esempi specifici che si possono fare per spiegare in che modo il capitalismo è la fonte delle soluzioni e non la fonte dei problemi anche quando si parla di ambiente? “Ci sono certamente fattori all’interno del nostro sistema economico che rendono più difficile affrontare il cambiamento climatico. Il prodotto interno lordo non tiene conto del costo reale dei beni: il prezzo di mercato non include i danni ambientali e sociali. Ciò rende i combustibili fossili più economici di quanto dovrebbero essere. Penso che la realtà sia che dobbiamo trovare un modo per accelerare l’azione climatica all’interno del nostro sistema capitalista. Non realizzeremo su questo fronte cambiamenti rivoluzionari nei prossimi cinque-dieci anni. Ma nel frattempo possiamo apportare modifiche all’interno del sistema per sostenerlo: tasse sul carbonio, tasse più alte per beni molto inquinanti come i suv e sostegno normativo ed economico per le tecnologie a basse emissioni di carbonio. Ma come si diceva il capitalismo non è solo questo: è un motore di soluzioni”. Per esempio? “Promuove l’innovazione e la concorrenza, ed è qui che le tecnologie innovative emergono e diventano economicamente vantaggiose. Spesso queste innovazioni necessitano di sostegno politico e pubblico per essere avviate – il solare fotovoltaico è un buon esempio – ma poi i mercati tendono a spingerle avanti”.

E’ corretto dire che per poter affrontare i grandi temi posti dalla lotta contro il cambiamento climatico sia necessario essere neutrali, e non ideologici, rispetto alle tecnologie? E non pensa che negli ultimi anni vi sia stata invece una qualche forma di ideologia che ha guidato le politiche sulla transizione energetica? “Penso che ora siamo nella fase in cui dobbiamo abbracciare tutte le grandi tecnologie che possono fare la differenza. Se fossero efficaci nel ridurre le emissioni, dovremmo prenderle in seria considerazione. Un buon esempio di ciò è la lotta tra energie rinnovabili ed energia nucleare. Per me non è l’uno o l’altro. Dovremmo schierarli entrambi perché presentano vantaggi e svantaggi in contesti e situazioni geografiche diverse. Non esiste una soluzione ‘piglia tutto’ per ogni paese. Dipenderà dalle loro risorse, competenze ingegneristiche, latitudine e altri fattori. Nessuna soluzione dovrebbe essere completamente fuori discussione. E’ controproducente avere una continua lotta interna tra gli ambientalisti su queste tecnologie. Mentre combattiamo tra di noi, i combustibili fossili continuano a dominare il sistema energetico globale. Dobbiamo riconoscere che stiamo cercando di muoverci nella stessa direzione e che queste soluzioni possono essere complementari”.

La sostenibilità, ha scritto Bill Gates, richiede di garantire che tutti oggi possano vivere una vita buona e sana e che non si degradi l’ambiente in modo tale da togliere opportunità alle persone di domani. Come fanno a coesistere questi due elementi? “Sì, la premessa principale del mio libro è che oggi possiamo garantire una buona vita a tutti riducendo al contempo il nostro impatto ambientale per le generazioni future. Penso che questi due obiettivi fossero incompatibili in passato. Se i nostri antenati volevano produrre più cibo, dovevano cacciare più animali o utilizzare più terra per l’agricoltura (a scapito delle foreste e della biodiversità). Ora possiamo produrre molto cibo su molta meno terra e persino utilizzare tecnologie per produrre cibo senza utilizzare alcuna terra. Se i nostri antenati volevano energia, dovevano utilizzare il legno e non i combustibili fossili. Possiamo essere la prima generazione che non ha bisogno di bruciare cose per produrre energia. Questa è sostenibilità per me. Assicurarsi che tutti siano ben nutriti, abbiano energia per alimentare la propria vita, una buona assistenza sanitaria e standard di vita elevati con un basso impatto ambientale. Penso che potremo raggiungere questo obiettivo nei prossimi 50 anni se prenderemo le giuste decisioni”.

Perché secondo lei i media fanno fatica a dare buone notizie quando si parla di clima? Hanno forse paura che dare buone notizie significhi negare che esista un problema? “Potrebbe essere perché la maggior parte delle ‘cattive’ notizie relative al clima si concentrano su un evento: un incendio, un’alluvione, un uragano. Queste sono storie tradizionalmente riportate nelle notizie, quindi attirano sempre la nostra attenzione. Ma gli sviluppi tecnologici e politici positivi tendono ad agire più lentamente. Non si tratta sempre di grandi ‘scoperte’ appariscenti, ma di miglioramenti graduali che si verificano anno dopo anno finché le cose non progrediscono in modo significativo. Prendiamo l’esempio del crollo dei costi dell’energia solare: i prezzi sono scesi di circa il 90 per cento in un decennio, ma il calo in un singolo giorno, mese o anno non è stato drammatico o degno di notizia. O se le emissioni di CO2 di un paese diminuiscono di circa il 2 per cento all’anno. Sembra piccolo. Ma se ciò dovesse continuare per 10-20 anni, la riduzione sarebbe piuttosto drammatica”.

Non sarebbe corretto ricordare, ogni volta che si parla di clima, che il mondo occidentale sta facendo molto per essere all’altezza della sfida, e che per questo non deve portare avanti politiche traumatiche, ma graduali, per evitare di trasformare la difesa dell’ambiente in una minaccia contro il benessere dei cittadini? “In realtà non sono d’accordo con questo. Penso che alcuni paesi ricchi abbiano fatto un buon lavoro nel ridurre le emissioni, ma dovrebbero fare molto di più. Devono muoversi più velocemente, soprattutto perché devono assumere un ruolo guida rispetto ai paesi più poveri. Ma ciò che penso sia corretto è che possiamo ottenere riduzioni piuttosto drastiche delle emissioni senza mettere a repentaglio il benessere dei cittadini. Penso che possiamo decarbonizzare le nostre reti elettriche, passare a trasporti a basse emissioni di carbonio, isolare le nostre case, installare dossi di calore e promuovere altri cambiamenti in modo economicamente vantaggioso. In effetti, potrebbe ridurre le bollette dei consumatori e migliorare il loro tenore di vita. Penso che sia sbagliato considerare queste due cose come incompatibili. O spingendo per un’azione forzata che al pubblico non piace. L’azione per il clima non deve essere un sacrificio”.

In una parte del suo libro, si spiega in che modo i paesi ricchi potrebbero fare qualcosa per aiutare i paesi poveri a non restare indietro nella lotta contro il cambiamento climatico. Potrebbe farci un esempio? “E’ importante che i paesi ricchi assumano un ruolo guida in questo senso, perché hanno la ricchezza e il capitale di cui abbiamo bisogno per costruire e promuovere soluzioni. E’ importante che le tecnologie a basse emissioni di carbonio siano economiche se devono essere implementate in tutto il mondo. I paesi più poveri non possono trovarsi di fronte al dilemma se alleviare la povertà o mantenere basse le proprie emissioni di carbonio. Ciò significa che il solare, l’eolico e il nucleare devono essere l’opzione più economica. O che le bici, gli scooter o le auto elettriche costano meno della benzina. Il ruolo che i paesi ricchi possono svolgere è quello di ridurre i costi di queste tecnologie attraverso l’innovazione e la diffusione. E fornire finanziamenti ai paesi più poveri in modo che abbiano capitali aggiuntivi da investire in essi”.

Essere ottimisti sul futuro dell’ambiente è possibile. Basta mettere da parte le emozioni, e le ansie, e concentrarsi per un istante sui dati. Ambientalismo apocalittico no, grazie. Viva Hannah Ritchie.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.