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Cattivi Scienziati

Ecco la principale variabile che controlla l'esito dell'epidemia di Omicron

Enrico Bucci

Da un paese all'altro, come si mantiene favorevole il rapporto casi-ospedalizzati. Due studi 

Ieri ho riferito dell’ultimo studio dell’Imperial College di Londra, che mostrava come, una volta trattati convenientemente gli effetti confondenti dovuti a età, sesso, immunizzazione preesistente e altre variabili, la probabilità di ospedalizzazione che al momento si stima dopo infezione con Omicron non sia significativamente diversa da quella dopo infezione con altre varianti. E’ arrivato il momento di trattare un secondo caso.


Parliamo del Sudafrica, e anche qui dobbiamo partire dai dati e dalle analisi rese disponibili almeno sotto forma di preprint.


Un primo studio, che valuta il tasso di ospedalizzazione e il tasso di malattia severa durante l’ondata causata da Omicron rispetto alla precedente ondata causata da Delta, è citato spesso nella parte in cui dice che, nell’ultima ondata, si dimostra un “disaccoppiamento dei tassi di ospedalizzazione e morte da quelli di infezione durante la circolazione di Omicron”. I tassi di morte e di ospedalizzazione sono molto più bassi rispetto all’ondata Delta, osservano gli autori dello studio; tuttavia, come sappiamo, senza analizzare l’effetto di variabili nascoste nello studio, quali il tasso di immunizzazione preesistente a ciascuna delle due ondate epidemiche paragonate, non si può distinguere se Omicron sia più benigna, o se invece una immunità preesistente e, nel caso del Sudafrica, recente non sia il fattore protettivo. Difatti, gli autori dello studio, troppe volte mal citato, scrivono in realtà quanto segue: “La virulenza della variante Omicron rispetto ad altre varianti resta da determinare, e non è epidemiologicamente possibile trarre conclusioni sulla base dei nostri dati a causa della diversa prevalenza dell’immunità di popolazione rispetto a quanto esisteva in passato. La base biologica per il disaccoppiamento dei tassi di infezione e dei tassi di malattia grave con Omicron dominante rispetto alla precedente onda Delta potrebbe essere dovuta all’ampia immunità cellulo-mediata nella popolazione, indotta da precedente infezione naturale e vaccinazioni”.
A risolvere la questione ci pensa un secondo studio, anche questo ancora da revisionare, frutto di un’ampia collaborazione guidata dai ricercatori del Gauteng, che considera le infezioni occorse fra il 1° ottobre e il 6 dicembre. In questo caso, si paragona l’esito di infezione non-Omicron con quello di Omicron nello stesso periodo, e si va poi anche a vedere il rischio di aggravamento severo negli ospedalizzati, controllando per i vari fattori confondenti (malattie preesistenti, età, sesso eccetera). Nelle parole degli autori: “La nostra scoperta di nessuna differenza di gravità in SGTF [Omicron, ndr] rispetto a individui non infetti da SGTF [non-Omicron, ndr] nello stesso periodo di tempo e il minor rischio di gravità in SGTF rispetto alle precedenti infezioni da Delta, suggerisce che questa gravità ridotta potrebbe essere in parte il risultato di alti livelli di immunità della popolazione (dovuti a infezione naturale e/o vaccinazione)”. Tradotto: si osserva sì una diminuzione di severità rispetto alla precedente ondata Delta, ma non fra Omicron e le altre varianti durante l’ondata attuale; la diminuzione di severità tra la precedente ondata e questa è quindi osservata in tutte le varianti, e dipende probabilmente almeno in parte dalla preesistente e fresca immunità di popolazione.


Come si vede, i dati riportati per il Sudafrica in questi due lavori indipendenti non solo non contraddicono, ma addirittura confermano le analoghe osservazioni fatte per l’Inghilterra dall’Imperial College: il rapporto fra ospedalizzazioni o malattia severa o morti e casi di infezione non può essere assunto come indicazione di alcunché, e una volta che si controlli per le variabili confondenti appropriate, ogni differenza fra Omicron e Delta, anche in Sudafrica, non appare significativa.


La buona notizia è che la principale variabile che controlla l’esito dell’epidemia di Omicron sembra essere una (fresca) immunità di popolazione, naturale o da vaccino; questo è peraltro in linea con uno studio di modellistica ungherese che arriva appunto alla stessa conclusione tratta dai dati epidemiologici sudafricani e inglesi.


L’analisi dei dati correttamente stratificati per fattori di rischio, invece di rozzi paragoni fra paesi molto diversi, consente di riconciliare evidenze molto diverse, in Inghilterra, Sudafrica e forse anche in Danimarca; un fattore importantissimo che continua a emergere è una immunizzazione recente, senza la quale il favorevole rapporto casi-ospedalizzati non sarebbe tale, e si sommerebbe all’effetto negativo e comunque deleterio che avrà l’alta propagazione di questa nuova variante.

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