cattivi scienziati

Perché il numero dei decessi nel Regno Unito è “basso” rispetto a quello dei contagi

Enrico Bucci

In Inghilterra il rapporto tra morti e positivi è circa tre volte inferiore a quanto si osserva in Italia. Ma ci sono dei motivi per spiegare questo paradosso 

Invitato a un tg nazionale ho dovuto confrontarmi con una nuova scoperta – il cosiddetto “paradosso inglese”, riportato anche sui quotidiani nazionali. La Stampa ha scritto, per esempio, quanto segue: 
“Il Regno Unito ha sette volte i contagi dell’Italia ma in proporzione meno morti. Confrontata con il Regno Unito l’Italia ha il 200 per cento in più di vittime per il Covid rispetto ai positivi. Tre volte tanto”. Ora io non voglio tornare a ripetere sempre le stesse cose, ma purtroppo vi sono costretto. Parliamo di un bias, il bias di campionamento.


Nello specifico, si raffrontano i morti nei due paesi rispetto ai soggetti positivi al virus. Dobbiamo quindi innanzitutto chiederci se i soggetti positivi, in Inghilterra e in Italia, siano popolazioni confrontabili, per evitare di mettere al denominatore del rapporto fra morti e positivi due grandezze non commensurabili.


Come sono individuati i soggetti positivi in Italia e in Inghilterra? Attraverso il test per il virus, naturalmente. Ma le persone da testare, e quindi i positivi che si individuano, dipendono dalla strategia con cui tali test sono effettuati. Possiamo innanzitutto riscontrare come in Inghilterra si effettuino molti più test per abitante che in Italia: il 15 dicembre, ad esempio, nel Regno Unito sono stati effettuati quasi 1.636.000 test, contro circa 635.000 in Italia nello stesso giorno.


La popolazione britannica, cioè, è molto più testata di quella italiana; come sappiamo, questo significa che conseguentemente si troveranno molti più positivi in quel paese – se volessimo immaginare una proporzione lineare, circa tre volte di più. Questi positivi in più, naturalmente, visto che le due popolazioni sono circa della stessa grandezza, saranno prevalentemente soggetti paucisintomatici o asintomatici, cioè soggetti che non moriranno se non in pochissimi e rari casi.


Guarda caso, in Inghilterra il rapporto tra morti e positivi riportato nel famoso “paradosso” è circa tre volte inferiore a quanto si osserva in Italia; ora, per quello che abbiamo detto, è possibilissimo che questo sia dovuto semplicemente al fatto che nel denominatore italiano mancano due terzi di positivi, asintomatici o paucisintomatici e non intercettati.


Non pretendo che questa sia la spiegazione di quanto si osserva, ma faccio osservare semplicemente come il bias dovuto a strategie di campionamento diverse nei due paesi è solo uno dei mille fattori confondenti che, se non presi in considerazione, rendono qualunque analisi grossolana semplicemente fuorviante a un punto tale da essere inutile. Vi sono, per esempio, altre considerazioni che riguardano la differente distribuzione di età nella popolazione  – con una mediana di 40,5 anni nel Regno Unito e di 47,3 in Italia – che sono parimenti fattori importanti da valutare e su cui correggere simili analisi, prima di pronunciarsi.


Cercare di dire invece che il Regno Unito avrebbe fatto meglio dell’Italia, perché con misure meno restrittive otterrebbe una letalità più bassa, è non solo insostenibile in base all’analisi presentata, per le ragioni che abbiamo detto, ma soprattutto, se proprio si volesse tagliare con l’accetta e in modo improprio la discussione sull’efficacia delle misure, allora dovremmo guardare non alla letalità del virus, ma alla mortalità. Nonostante il dato citato della popolazione più anziana, nonostante il fatto che abbiamo cominciato la vaccinazione molto più tardi, nonostante da noi il virus sia arrivato prima, alla fine abbiamo avuto la stessa mortalità inglese – circa 2,2 per mille abitanti – invece che, come ci si attenderebbe, una peggiore. 


Smettiamola di guardare a paradossi su campioni mal scelti, paradossi poi usati per rinforzare idee non troppo distanti da quelle della famigerata Great Barrington Declaration, cercando malamente di volta in volta nei dati inglesi, in quelli svedesi, giapponesi o altrove. Certo, molte misure dovranno essere riviste e riesaminate man mano che si dispone di dati; di sicuro alcune scelte risulteranno eccessive, non necessarie, o al contrario troppo deboli; ma il metro per decidere è ben altro che il rozzo rapporto tra morti e positivi all’infezione.

 

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