(foto EPA)

cattivi scienziati

Una mappa per capire Omicron

Enrico Bucci

Qual è la patogenicità della nuova variante? Dati danesi e un confronto con Delta

Si continua a voler cercare evidenza di quale sia la patogenicità di Omicron attraverso dati di popolazione, senza tenere in conto i bias di selezione del campione osservato e gli effetti apparenti dovuti alla differente capacità di immunoevasione delle varianti paragonate. Cercherò di spiegare quanto questo sia sbagliato con un disegnino. Guardate la figura acclusa: rappresenta una popolazione con una immunità totale (da vaccino o infezione) pari al 70 per cento, con poi un 10 per cento di soggetti immunocompromessi e un 20 per cento di soggetti non vaccinati e mai infettati. Immaginiamo adesso che la variante delta e la variante omicron arrivino in questa popolazione: la prima tenderà ad infettare soprattutto soggetti non immuni, mentre la seconda, più immunoevasiva, infetterà anche moltissimi vaccinati. 

Omicron, una mappa per capire la patogenicità della nuova variante

 

 

Se il vaccino e l’immunità naturale mantengono una capacità protettiva nei confronti degli effetti clinici (e questo sembra il caso anche per la variante omicron), allora la omicron, infettando molti soggetti vaccinati e immunizzati, in una popolazione fortemente immunizzata manderà in ospedale una frazione minore di contagiati, semplicemente perché fra i contagiati vi saranno più soggetti con maggiore protezione clinica. La suscettibilità clinica media dei gruppi infettati da delta e da omicron è diversa, senza che sia necessariamente il virus ad essere meno pericoloso; il tasso di ospedalizzazione ci parlerà della differenza di propensione a subire effetti severi fra gli individui infettati, molto di più che di eventuali differenze di patogenicità, che, ove esistano, saranno mascherate da questo fattore confondente. Prendiamo per esempio la Danimarca. Nell’ultimo rapporto del sistema sanitario nazionale, i dati di ospedalizzazione per variante nel periodo dal 22 novembre al 16 dicembre sono i seguenti: su 138.149 contagiati da varianti diverse da omicron, 1,5 per cento sono finiti in ospedale, mentre su 18.450 casi confermati di omicron questo numero è pari a 0,6 per cento.

La Omicron si è davvero "rabbonita"?

Se non si tenesse presente la possibilità illustrata in apertura, si sarebbe tentati di concludere che, visto che la differenza fra le due frazioni è statisticamente significativa (test Chi quadro) e il campione sufficientemente ampio, allora la omicron potrebbe davvero essersi “rabbonita”. In realtà, al netto delle diverse capacità di contagio dei vaccinati delle varianti, della alta frequenza di vaccinati in Danimarca e dei primi dati che indicano come la vaccinazione protegga almeno in parte dagli effetti clinici peggiori, non possiamo trarre la conclusione che vorremmo, per le ragioni che abbiamo appena descritto.

  

Abbiamo bisogno di dati puliti; per evitare il problema illustrato, dobbiamo sapere quanti, fra i non vaccinati infetti, finiscono in ospedale con l’una o l’altra variante, controllando per variabili come età e comorbidità.

  
Ed è meglio, nel frattempo, fare una semplice considerazione: se anche la differenza osservata in Danimarca fosse dovuta davvero ad un virus meno aggressivo dal punto di vista della patologia, assumendo i tassi di ospedalizzazione osservati è sufficiente un numero di contagiati da omicron tre volte superiore a quello delle altre varianti, per riempire allo stesso modo gli ospedali; se poi questo numero si raggiunge a velocità prodigiose, come pare certo, allora è chiaro che dobbiamo, anche nella migliore delle ipotesi, continuare ad applicare misure di contenimento non farmacologico in accompagnamento ai vaccini. Lascio come utile esercizio al lettore considerare cosa accadrebbe, se poi non avessimo nemmeno i vaccini.

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