Ansa

Cattivi scienziati

Urge aumentare produzione e somministrazione dei vaccini

Enrico Bucci

Nel mondo vengono iniettate circa 2,85 milioni di dosi al giorno: una media tale da coprire circa il 15 per cento della popolazione entro la fine del 2021. Ancora troppo poco

Gli effetti della vaccinazione di massa contro Sars-CoV-2 sono spettacolari almeno nel breve periodo, come ormai sembra essere saldamente stabilito dai dati pubblicati per Israele e dai primi commenti fatti dalle autorità per quel che riguarda la Gran Bretagna. Naturalmente, come abbiamo spesso ricordato, è però necessario accertarsi di quale sia lo stato di vaccinazione del mondo intero, con particolare attenzione alle disparità fra paese e paese, perché il virus, come tutti sanno, muta per adattarsi sia alla nostra risposta immune naturale sia a quella indotta dai vaccini.

 

A che punto è quindi la notte? Guardiamo insieme al complesso dei dati mondiali. Fino a questo momento, sono state somministrate circa 205,3 milioni di dosi nel mondo a partire dal 12 dicembre 2020, il che significa circa 2,85 milioni di dosi in media al giorno (festivi compresi) che hanno raggiunto finora circa 2,7 individui ogni 100 persone

 

Queste dosi corrispondono a 9 vaccini, distribuiti come segue: per quello che si ricava dai dati provenienti dal sito Our world in data di Oxford, il vaccino Pfizer/BioNTech in 65 paesi, quello di Oxford-AstraZeneca in 45, quello di Moderna in 27, quello di Sinopharm-Pechino in 11, lo Sputnik V in 10, il Sinovac in 6, il Sinopharm-Wuhan in 5, il Covaxin indiano e il Johnson&Johnson in un paese ciascuno. A giudicare dai dati forniti dai governi, inoltre, le percentuali di abitanti per ogni paese che hanno ricevuto almeno una dose vanno da circa il 50 per cento in Israele a meno di 1 per mille in paesi come il Giappone o la Nuova Zelanda. Inoltre, anche all’interno dei singoli paesi, la vaccinazione non è omogenea per fascia di età e professione: ovunque si sono privilegiati gli anziani e coloro che lavorano nel Sistema sanitario, per motivi connessi strettamente al rischio clinico ed epidemiologico legato a tali fasce di età.

 


Questa scelta sembra pagare almeno per quel che riguarda la pressione sul sistema ospedaliero: in Israele e Regno Unito, ove si è superata la soglia del 20 per cento della popolazione vaccinata, concentrando le dosi sugli anziani e sui sanitari, sembra che i tassi di ricoveri e di conseguenze gravi della malattia siano in picchiata. Naturalmente, ci sono vari fattori confondenti, a partire dal fatto che stiamo parlando di soli due paesi, per continuare con il naturale andamento delle curve epidemiche e i lockdown anche molto stringenti; tuttavia, almeno in questi due paesi il calo – in particolare quello delle ospedalizzazioni – sembra molto più repentino rispetto a quanto osservato sia negli stessi paesi in casi precedenti, sia in altri stati in cui la vaccinazione procede molto più a rilento.

 

E il problema, alla fine, è proprio questo: se non si aumenterà la produzione e la somministrazione dei vaccini, di questo passo possiamo sperare di coprire circa il 15 per cento della popolazione mondiale entro la fine del 2021. Per la produzione, se la promessa delle aziende di svariati miliardi di dosi verrà mantenuta e se nuovi vaccini arriveranno all’approvazione, sembra che siamo mesi piuttosto bene; ma la logistica, in Italia come nel mondo, richiede uno sforzo titanico che sembra ancora un obiettivo lontano. 

 

Per questo, dovremmo preoccuparci di fare arrivare un vaccino – qualunque vaccino approvato – ovunque nel mondo e di convincere le persone a farselo iniettare; e se è giusto mantenere sotto sorveglianza le nuove varianti, dobbiamo ricordarci che, senza vaccino, qualunque variante – vecchia o nuova che sia – può creare i danni che abbiamo imparato a conoscere.

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