Elaborazione grafica Enrico Cicchetti

L'incontro maledetto tra Facebook e il populismo

Daniele Pirozzi

Il social network è ormai lo strumento perfetto per i politici che giocano con le nostre emozioni. Dati e numeri

Politicamente parlando, il decennio in corso verrà ricordato per due motivi: l’arena del dibattito politico che si è spostata in gran parte sui social network e la concomitante ondata di consensi, dentro e fuori l’Europa, ai movimenti populisti. Non è chiaro, però, se vi sia un legame tra i due fenomeni. Esistono delle differenze nello stile di comunicazione social tra leader populisti e non populisti, tali da motivare l’attuale panorama politico, in particolare in Italia? Pochi studi hanno esaminato le caratteristiche della comunicazione populista online e affrontato la questione di come valutare il successo di un post sui social network.

  

Se diamo uno sguardo ai profili Facebook dei leader populisti e non populisti, il divario di consensi sembra incolmabile. Salvini ha tre milioni di follower e con un solo post può raggiungere un milione di visualizzazioni, 25 mila condivisioni e oltre 47 mila Mi piace. Di Maio è seguito da oltre due milioni di persone e ogni giorno riceve decine di migliaia di condivisioni e like. Al contrario, non sarebbe un’esagerazione se dicessimo che i post di Grasso ricevono in media lo stesso feedback di una rock band di provincia. Lui e Martina, insieme, non raggiungono i 500 mila follower. Solo Renzi, che in realtà sembra stare nel mezzo tra populismo e non populismo, supera il milione di follower e ottiene risultati simili ai due vice premier. Per quanto scientificamente ignobile, questo semplice test mostra non solo che la politica di oggi si fa a suon di post su Facebook ma anche che avere un profilo social non è sufficiente. Bisogna trovare la chiave comunicativa giusta. Il leader che meglio capisce come entrare in rapporto diretto con il suo pubblico ottiene più visibilità.

  

L’atteggiamento populista fa perno su tre elementi chiave: il richiamo alla gente (il popolo sovrano) e l’attacco all’élite (banche, media, Ue, poteri economici) e/o agli altri (minoranze etniche, ecc.). Così come nelle addizioni cambiando l’ordine degli addendi il risultato non cambia, allo stesso modo in un discorso populista questi elementi possono essere combinati in modi differenti e dare sempre lo stesso risultato: una realtà polarizzata nella quale c’è un “noi” – gli italiani, onesti lavoratori – e c’è un “loro”, i nemici del popolo. Il dibattito politico si gioca tutto sulla divisione tra giusto e sbagliato, onesto e corrotto.

 

Facebook e populismo sono l’emblema di un incastro perfetto: il primo enfatizza le emozioni e la soggettività a discapito dell’obiettività, il secondo addossa le colpe per ciò che non va in un paese, con un linguaggio che suscita reazioni viscerali tra gli elettori. Salvini e la Lega sono un esempio di come i messaggi di rabbia, odio e disgusto ottengano più like. Come dimostra un esperimento olandese, inoltre, l’esposizione al linguaggio populista può influenzare anche la nostra percezione della realtà: un testo manipolato per accusare o il governo o l’Unione Europea per le difficili condizioni del mondo del lavoro, spingeva i partecipanti ad allineare più facilmente le proprie opinioni alla versione letta.

 

Uno studio dell’Università di Torino ha esaminato i profili Facebook ufficiali dei leader populisti – Di Maio, Salvini, Berlusconi, Meloni – e non populisti – Renzi e Grasso – nelle quattro settimane precedenti le ultime elezioni, analizzando le differenze nel linguaggio e codificando come populisti i post contenenti almeno uno dei tre elementi indicati sopra. Ne deriva, dunque, che un messaggio populista può fare appello alla sovranità del popolo (empty populism), contenere un attacco all’élite e agli immigrati (contentious populism), attaccare solo l’élite (anti-elitist populism) o solo “gli altri” (excluding populism), o contenere tutti e tre i riferimenti (complete populism). I risultati mostrano che i messaggi populisti – in particolare i complete e gli excluding – ricevono molti più Mi Piace rispetto a quelli non populisti. Ad essere più attivi e a ricevere più feedback positivi, inoltre, sono i leader del primo gruppo, che in media pubblicano 4,5 messaggi in più, ognuno dei quali riceve circa mille Mi piace in più.

 

Via The likeability of populism on social media in the 2018 Italian general election


  

Non sorprende vedere che Salvini è il re di Facebook (usando le parole del Guardian) con 108 post populisti (su 482) e ottomila mi piace, per una media di 15 messaggi al giorno, mentre Di Maio è il politico che riceve più consensi con 329 post (di cui 66 populisti) e quasi diecimila like. Tra i non populisti, invece, il meno attivo è Grasso, mentre Renzi, presente più su Twitter, tiene testa ai due attuali vice premier con settemila like per soli novantacinque post (di cui 11 populisti).

 

La diffusione e il successo dello stile populista sono confermati anche da Mazzoleni e Bracciale, che hanno analizzato i post pubblicati dall’ottobre del 2016 all’ottobre successivo dagli stessi politici dello studio precedente (escluso Grasso). Ben il 67 per cento dei messaggi conteneva richiami al populismo, a dimostrazione di come quest’ultimo sia una realtà frammentata, le cui schegge possono ritrovarsi in partiti agli antipodi, come la Lega e il Pd. Tant’è che i due ricercatori parlano di un populismo endemico in Italia, che sale di intensità e frequenza a mano a mano che ci si sposta dall’ala sinistra all’estrema destra.

 

Via Socially mediated populism: the communicative strategies of political leaders on Facebook


Questo perché nel calderone populista rientrano stili comunicativi ben diversi, che attribuiscono significati non sovrapponibili ai concetti “noi” e “loro”: Renzi, ad esempio, definito come soft populist, nel periodo esaminato identificava come avversari i rappresentanti della vecchia establishment politica, i sindacati e i “grandi professori”, presentandosi agli elettori come il rottamatore dei nemici del cambiamento. Salvini, invece, con il suo hard populism, crea un’identità di gruppo basata sulla distinzione etnica e nazionale del popolo (i nativi italiani), identificando il pericolo negli immigrati e nelle scellerate politiche europee. Meloni, seppur vicina a Salvini nell’identificare “la gente” su base etnica/nazionale, focalizza lo scontro con il governo e l’élite in generale, e in misura minore con gli stranieri. Infine Berlusconi, il meno social dei populisti, enfatizza la “sovranità del popolo”, mentre Di Maio è il leader che più di tutti si scaglia contro l'élite.

  

Via Socially mediated populism: the communicative strategies of political leaders on Facebook


 

Sembra esserci dunque un legame tra l’uso di Facebook da parte dei leader populisti e l’attuale panorama politico. Tuttavia non è ancora possibile parlare di rapporto causa-effetto. Del resto, il fatto di avere milioni di follower non si traduce automaticamente in altrettanti voti nella realtà. E’ più corretto, allora, dire che i social fungono da cassa di risonanza per la retorica populista. In un clima di diffidenza verso i media tradizionali e le istituzioni, Facebook ha offerto ai politici anti-élite uno strumento per avvicinarsi agli elettori con contenuti emotivi e immediati, e ai cittadini uno strumento che, almeno simbolicamente, consente loro di riconquistare la sovranità attraverso forme di democrazia diretta. Rispolverando l’espressione di Cedroni, il linguaggio populista si appiattisce sul “linguaggio della gente comune che non ha il tempo di pensare, che non elabora, ma ripete (...) le parole dell’emergenza, dei bisogni impellenti”.

  

Via Social networks and populism in the eu: four things you should know


 

Il populismo, allora, assomiglia più a una “sindrome” pronta a riemergere nei periodi di crisi e di forte destabilizzazione economica, politica e sociale. In ciò viene favorito da piazze virtuali come Facebook, nelle quali si può comunicare senza alcun filtro, incuranti se, magari, qualche tempo prima, si era presa una posizione diametralmente opposta. Dopotutto il valore della coerenza è saltato già da un po’. Ormai un politico può pubblicare un video nel quale grida al complotto nei confronti dei “veri difensori del popolo”e ricevere migliaia di condivisioni e Mi piace. Il fatto, poi, che tutto il suo discorso si basi su una bufala non ha alcuna importanza. L’emozione è stata trasmessa, anche oggi il confine tra onesti e disonesti è stato tracciato.