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Grazie al glifosato oggi si inquina molto meno di 30 anni fa

Redazione

Genetic Literacy Project ha pubblicato un nuovo studio che spiega come l'erbicida abbia eliminato altre sostanze chimiche più dannose, ridotto i rischi e l'emissione di gas serra. Ma il killeraggio mediatico continua

La battaglia sul glifosato ha ormai una storia lunga e travagliata. L'erbicida fu introdotto nel 1974 dalla multinazionale americana Monsanto – acquistata quest'anno dal colosso tedesco Bayer – con il nome commerciale Roundup. Dal 2001 il brevetto è scaduto e il glifosato viene utilizzato da molte aziende nella formulazione di diserbanti non solo per l'agricoltura, ma anche per il giardinaggio e soprattutto per la manutenzione del verde. Lo scorso anno l’Unione europea ne ha autorizzato nuovamente l’uso per altri cinque anni e ha permesso agli stati membri di imporre restrizioni alla sostanza a livello locale. Eppure il 10 agosto il gigante agrochimico è stato condannato da un tribunale americano a pagare un risarcimento milionario a un giardiniere. La giuria ha ritenuto che l’uso quotidiano di erbicida che DeWayne Lee Johnson era tenuto a fare nell'esercizio delle sue mansioni ha contribuito al linfoma non Hodgkins che ha contratto.

   

La sentenza ha avuto un peso enorme perché rappresenta la prima causa passata in giudicato sugli effetti cancerogeni del Roundup. Le azioni Bayer hanno perso oltre il 10 per cento dopo la condanna a pagare 289 milioni di dollari a Lee Johnson. Rimane però la sentenza di un tribunale, mentre la ricerca scientifica è – per essere cauti – perlomeno dubbiosa sui reali rischi del prodotto. La Iarc lo ha classificato tra le sostanze “probabilmente cancerogene” e lo ha inserito nel gruppo 2A, lo stesso nel quale è stata inserita la carne rossa. Insomma, lo studio serio più “allarmista” dice che il glifosato ha la stessa pericolosità degli insaccati e della fiorentina alla brace. Al contempo Efsa, Oms e Fao hanno sostenuto che è improbabile che sia cancerogeno “come conseguenza dell’esposizione attraverso l’alimentazione”. Un recente studio americano del National Institutes of Health sostiene di “non aver osservato alcuna associazione tra l’uso del glifosato e il rischio complessivo di cancro”.

  

Occorre notare che la Iarc ha raggiunto conclusioni differenti da ogni altra agenzia scientifica perché ha valutato il pericolo piuttosto che il rischio: "Significa che hanno cercato di capire se è possibile che il glifosato possa causare l’insorgenza di forme tumorali a qualche potenziale livello di esposizione piuttosto che ai livelli di esposizione raggiungibili nel mondo reale", spiega Daniele Chignoli in un informato articolo su BiopillsAd esempio due anni fa, la rivista Il Test (ex Salvagente) rilevava come, in base ai livelli di contaminazione da glifosato nella pasta italiana, per assumere quantità capaci di costituire un rischio per la salute si dovrebbero mangiare più di 200 chilogrammi di pasta al giorno per tutti i 365 giorni dell’anno. Diversi studi di comparazione, tra cui i test condotti dall’associazione GranoSalus, hanno dimostrato la presenza della sostanza, ma in tenori molto contenuti e, nei casi peggiori, comunque molto inferiori ai limiti previsti per legge.

    

   

Proprio per evitare questa distorsione, ora Genetic Literacy Project (che fa parte del Science Literacy Project, una non-profit finanziata da enti e fondazioni di beneficenza indipendenti, che non accetta donazioni da società e non ha legami finanziari con aziende legate alla genetica umana o agricola) ha pubblicato un nuovo studio che affronta la questione da un punto di vista molto interessante e decisamente poco trattato: Glp ha scelto di considerare la quantità di agrofarmaci utilizzati per unità di cibo prodotto. Poiché gli agrofarmaci hanno nel tempo fatto aumentare le rese, gli usi relativi calano. In altre parole, per un chilo di cereali prodotti oggi si inquina molto meno di quanto si faceva per produrre un chilo di cereali 30 anni fa, "in gran parte perché il glifosato ha eliminato altre sostanze chimiche più dannose", tra cui atrazina e metolaclor/s-metolaclor. Lo studio si basa su un set di dati che traccia le tendenze nell'uso dei pesticidi e i loro rischi, raccolti negli anni dal ministero dell'Agricoltura, dell'Alimentazione e degli Affari rurali dell'Ontario (OMAFRA).

  

Nella provincia canadese, tra il 1983 e il 2013, la quantità totale di erbicidi sul mais è diminuita del 39 per cento perché il glifosato ha sostituito altri prodotti, anche molto più dannosi. La superficie coltivata a granturco è aumentata dell'11 per cento. Dato che anche la produzione è aumentata, la diminuzione delle quantità di erbicidi riferiti al bushel (la misura della capacità comune negli Stati Uniti e in Canada, che corrisponde a 25,4 chilogrammi di mais) è diminuita del 70 per cento. Per quanto riguarda la soia, la cui superficie coltivata è aumentata del 188 per cento, la quantità totale di erbicidi applicata è aumentata del 47 per cento, ma dato che la resa della soia è aumentata del 53 per cento la quantità in chili di diserbanti per bushel (27,216 chili di soia) è diminuita del 67 per cento. Ma un tasso di applicazione più basso significa anche un rischio ridotto? I ricercatori del Glp hanno calcolato il rischio di impatto ambientale e hanno scoperto che quello del glifosato è circa il 60 per cento in meno rispetto ai principali erbicidi che sostituisce. Oltre tutto viene applicato a una velocità inferiore, riducendo ulteriormente il rischio.

    

Inoltre, la sua adozione diffusa, ricorda lo studio, "ha anche comportato una riduzione della lavorazione del terreno", e di conseguenza minori emissioni di gas serra "derivanti dalla combustione e dalla ridotta decomposizione di materia organica nel suolo". Alcuni economisti hanno stimato che se il mondo cessasse di usare glifosato, la perdita annuale di reddito agricolo sarebbe di 6,76 miliardi di dollari e ci sarebbero riduzioni sostanziali nella produzione di soia, mais e colza.

 

Ma intanto la campagna di demonizzazione e di killeraggio mediatico del Roundup continua, foraggiata da lobby piccole ma politicamente potenti. In Germania le vendite sono crollate: 3.800 tonnellate nel 2016 rispetto alle 5.000 tonnellate del 2010 e alle quasi 6.000 del 2012, calcola un recente articolo dello Spiegel. L’isteria ha contagiato anche la Francia, dove il presidente Emmanuel Macron ha annunciato una Frexit dall’Ue pro erbicida. “Ho chiesto al governo di prendere le disposizioni necessarie affinché l’utilizzazione del glifosato sia vietata in Francia non appena delle alternative saranno trovate, e al più tardi in tre anni”, ha twittato Macron. E in questi giorni anche la Repubblica Ceca ha dichiarato che limiterà l’uso di sostanze contenenti glifosato a partire dal prossimo anno.

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