E tu di che Dna sei?
Il caro vecchio albero genealogico non basta più. Ora con un clic si scopre la propria storia genetica. Tante percentuali, parecchie sorprese e qualche delusione
E mio figlio ha scoperto di essere ebreo. No: non è stata un’esperienza mistica come quella di Donato Manduzio, il contadino pugliese che costretto in ospedale durante la Grande Guerra per una ferita ricevuta in una trincea del Carso imparò a leggere su una Bibbia, si appassionò all’Antico Testamento, si convertì alla fede di Mosè e si mise a predicarla tra i suoi compaesani di San Nicandro Garganico. Neanche si è convertito per ragioni familiari come Ivanka Trump: figlia del presbiteriano Donald, e sposata all’ebreo Jared Kushner. Anzi, a essere precisi il mio primogenito non si è convertito. Più precisi ancora: non ha neanche scoperto di essere ebreo al 100 per cento. La proporzione sarebbe invece tra il 4,9 e l’11. Ma sarebbe pure al 12 per cento greco, all’1,9 per cento oriundo dell’Asia occidentale e allo 0,9 del Nordafrica. Ah: è anche al 41,6 per cento italiano, al 16,4 per cento centroamericano, al 10,8 dell’Africa occidentale, al 9,1 nigeriano e al 2,4 dell’Europa occidentale e settentrionale. Ma questi ingredienti della miscela più o meno li immaginavamo già – anche se non sapevamo le dosi. Sono ebrei askenaziti, greci, nordafricani e anatolici, che non riusciamo proprio a capire da dove saltino fuori. Eppure, nel passato della famiglia ci sono stati!
Nel 1953 Francis Crick propose quel “dogma centrale della biologia molecolare” che assieme a Watson gli valse il Nobel nel 1962
A attestarlo è MyHeritage: una piattaforma genealogica online con sedi in Israele, Utah e California, che nacque nel 2003 per aggiornare il vecchio hobby del ricostruire alberi genealogici alla luce delle più recenti tecnologie, e che ha oggi circa 80 milioni di utenti, serviti in 42 lingue. Già semplicemente con il sistema tradizionale del ricercare tra archivi e documenti è riuscita a ricostruire sul suo sito 35 milioni di alberi genealogici, ma dal novembre del 2016 ha pure lanciato il servizio MyHeritage Dna, che permette appunto di combinare alla ricerca documentaria le più recenti scoperte della genetica. Ormai “è nel nostro Dna” è diventato un modo di dire popolare. Eppure solo nell’aprile del 1953 Francis Crick propose quel “dogma centrale della biologia molecolare” oggi al centro della biologia moderna, e per cui assieme a James Watson ottenne il Nobel per la Medicina del 1962.
Nel 1984 si comprende come la possibilità di individuare una persona a partire dalle caratteristiche irripetibili dei suoi geni lasciati da campioni come pelle, sangue, saliva o capelli può servire a incastrare il colpevole di un delitto: evento che avverrà per la prima volta nel 1988. Nel 1993 “Jurassic Park” emoziona il mondo con la fantasia dei dinosauri clonati a partire dal Dna del loro sangue ritrovato in zanzare preistoriche imprigionate nell’ambra. Nel 1996 la fantasia si fa in parte realtà con la pecora Dolly. In realtà, il materiale genetico dei dinosauri sarebbe troppo antico per essere utilizzato. Ma la clonazione di specie estinte più di recente come il mammut è assolutamente possibile, anche se per ora è rimasta solo allo stadio di progetto.
La ricerca di etnie via Dna non è ancora una scienza del tutto esatta, ma una base di fondo ce l’ha. Ecco qualche prova
L’acido desossiribonucleico ha pure permesso di far saltare quasi definitivamente l’antico assioma mater semper certa est, pater numquam: quasi, perché resta un margine di ambiguità se la madre in tempi ravvicinati ha avuto rapporti sessuali con due fratelli. Il Dna è servito poi a studiare le malattie genetiche, e anche a risolvere qualche antico giallo storico. Confrontando il suo Dna con quello di alcuni suoi discendenti, ad esempio, è stato possibile identificare con certezza nello shakesperiano Riccardo III uno scheletro trovato nel 2012 sotto un parcheggio a Leicester. Grazie al dna nel 2000 è stato dimostrato come il cuore attribuito a Luigi XVII di Francia fosse effettivamente il suo, smentendo definitivamente la pletora di “falsi Delfini” che per tutto l’800 avevano preteso di essere il figlio di Luigi XVI sopravvissuto. Pure il dna ha accertato che i discendenti maschili di Sally Hemings hanno effettivamente il Dna di Thomas Jefferson, e che dunque è probabile che il terzo presidente degli Stati Uniti abbia effettivamente fatto figli con la sua schiava. Appunto su questi gialli storici si basa il programma della tv britannica Channel 4 “Dead Famous Dna”. Una puntata ha ad esempio scoperto che Elvis Presley morì giovane per una malattia genetica. Un’altra che anche Charles Darwin aveva problemi di salute. Un’altra ancora che in una spazzola appartenuta alla compagna di Hitler Eva Braun c’è una sequenza specifica di Dna “fortemente associata” agli ebrei askenaziti tedeschi.
Col Dna, nel 2016, uno studio dell’Università di Lovanio ha stimato che almeno il 2 per cento dei padri alleva un figlio non proprio, e nel 2011 il 20 per cento dei test di paternità eseguiti nei laboratori italiani ha rivelato un genitore diverso da quello ufficiale. Ma ancora più sorprese l’analisi del Dna le ha fatte ai paleontologi. I Cro Magnon facevano sesso con i Neanderthal? Negli anni 90 la scienza aveva concluso di no. Se pure fosse stato così, sentenziavano dotti studi, l’eventuale prole sarebbe stata sterile come i muli. E invece, sorpresa: l’analisi del Dna ha accertato che tutti gli esseri umani non africani hanno un po’ di Neanderthal. Addirittura, un frammento di mignolo trovato in Siberia ha mostrato che esisteva anche una terza specie di cui non si era mai sospettata l’esistenza, e che è stata ribattezzata Uomo di Denisova. Talmente è limitato quel resto che non possiamo neanche ricostruire che volto avesse, ma grazie al Dna sappiamo che i denisovani si mescolarono con molti popoli di Asia e Oceania, dando ad esempio agli eschimesi la resistenza al freddo e ai tibetani quella all’altezza. Dulcis in fundo: alcuni popoli dell’Asia si sono incrociati anche con una quarta specie. Non sappiamo chi erano, non sappiamo come erano fatti, non sappiamo dove vivevano, non sappiamo quando o dove avvenne la fecondazione, non abbiamo il minimo reperto su questi “quarti uomini”, ma sappiamo che ci sono stati ed hanno copulato con nostri simili. Il Dna li inchioda!
Il corredo MyHeritage Dna ti consente di analizzare il tuo Dna e di rivelare informazioni sulla tua storia familiare e sulle tue origini etniche
Ed è appunto quello che il mio primogenito ha fatto. Costo: 80 euro spedizione inclusa. Qua va ricordato che da un lato io ho una passione per la storia, l’etnologia e il folklore che in qualche modo alla fine ha contagiato i pargoli: anche se magari per tanti anni mi avevano preso in giro per queste manie. Dall’altra che la nostra è una famiglia multietnica dalla caratteristiche particolari. Mia moglie è infatti afro-colombiana, di madre venezuelana. Ma i due ragazzi sono venuti entrambi con la pelle bianca e i capelli molto chiari. Quando da piccoli li portava in giro le capitava spesso di essere presa per la bambinaia. Dunque, qualche curiosità sulla miscela etnica che aveva prodotto un tale risultato c’era sempre stata.
Cos’è che sapevamo? Primo: mio padre viene da una famiglia contadina della Sabina Tiberina, là dove la provincia di Rieti si incunea tra quelle di Terni, Viterbo e Roma. Il cognome Stefanini è lì attestato fin dal 1300: forma latina “Stephani”, in un documento su un gruppo di contadini che si erano ribellati a un feudatario. Al confine tra Ducato di Spoleto e dominio bizantino, lì fu zona di insediamento longobardo, come attestato da vari toponimi: Fara Sabina, da quella “Fara” che era l’unità sociale di base di quel popolo; Palombara Sabina, da quel tipico cimitero longobardo che contrassegnava le tombe con una specie di colombaie. Un’eredità longobarda potrebbe esserci negli occhi azzurri e capelli biondi di mio padre e di vari miei cugini.
Secondo: mia madre è della Valle dell’Aniene, dell’ultimo paese della provincia di Roma prima di quella di Frosinone. Anche quella famiglia contadina. Lì vicino è Anticoli Corrado, paese le cui donne erano modelle ricercatissime dai pittori ottocenteschi. Quei volti femminili mi hanno sempre ricordato mia nonna, mia madre e tante mie cugine, a suggerire anche lì una presenza radicata nei millenni.
Terzo: mia moglie è di Cartagena. Una “Venezia dei Caraibi” le cui danze tradizionali hanno una chiara parentela con quelle del Senegal, e il cui tipo fisico dominante è a sua volta abbastanza simile a quello senegalese. Così era mio suocero: un capitano di marina, che tra l’altro assomigliava in maniera impressionante a Harry Belafonte.
Quarto: però mia suocera è una meticcia venezuelana, e sia mia moglie che mio cognato hanno la forma del volto caratteristica di Arhuaco, Wiwa, Kogi e Kankuamo. Sono le quattro etnie indigene della Sierra Nevada di Santa Marta, che si trova a est di Cartagena. Gruppo linguistico chibcha, eredi di quella cultura precolombiana Tairona che produceva un’oreficeria di altissimo livello.
Quindi, il 41,6 per cento italiano era contemplato. Se è tutto riferito a me, sarebbe un 83,2. Il 16,4 per cento centroamericano corrisponde a un 32,8 per cento di Dna di mia moglie: il volto tairona. Anche il 20,8 per cento africano sarebbe un suo 41,6 per cento, che stando sotto al 50 spiega i figli bianchi. Però, attenzione, Senegal e dintorni lì sono solo il 10,8. C’è pure un 9,1 nigeriano che è un po’ meno scontato, e perfino uno 0,9 nordafricano che a questo punto potrebbe essere mio. Per lo meno, è roba più vicina all’Italia che non alle rotte della tratta degli schiavi atlantica.
Anche quel 2,4 di Europa occidentale e Settentrionale corrisponderebbe alla teoria longobarda. Però è un po’ meno di quanto gli occhi azzurri di mio padre mi facevano fantasticare. Ma, si diceva, My Heritage col suo sito ti segnala pure altra gente che ha fatto il test è che ha tratti di Dna identici ai tuoi: “0,2 per cento di Dna in comune, lontano cugino”. Ti dice nome, cognome, dove stanno e proporzione: in realtà tutti quelli che abbiamo trovato erano 0,2, salvo una signora degli Stati Uniti dal nome ispanico che stava allo 0,4. La forte presenza di indirizzi americani ci rende evidente lo sbilanciamento dei dati disponibili, ma c’è comunque anche un signore in Senegal, che attorno al 1766 ebbe un antenato in comune con mio figlio. Poiché ogni essere umano ha 2 genitori, quattro nonni, otto bisnonni, sedici trisavoli e così via, lo 0,2 per cento in comune corrisponde infatti più o meno ai 512 avi di nove generazioni, e il mio primogenito è del 1996. Sul pur esile versante Europa occidentale abbiamo però rilevato due lontani cugini in Olanda, uno in Belgio, uno in Germania, uno in Irlanda (ma con un cognome dal sapore polacco) e uno in Sudafrica. E a questo punto, viene il dubbio che più che Dna longobardo nel Lazio medioevale, possa essere Dna olandese finito nei Caraibi.
Manca in compenso qualunque traccia iberica. E questa è una sorpresa. E, ripeto, ci sono questo 12 per cento greco, questo 4,9 di ebreo askenazita, e questo 1,9 dell’Asia occidentale. Il grido di mia moglie quando mio figlio lesse il responso sul pc: “vieni qua subito!”. “Ehi, me lo dici dopo! Ho due articoli da fare entro le 19, che poi devo andare in palestra”. “No, viene subito a vedere cosa hai combinato! Chi era greco? Chi era ebreo?”. “Ho fatto il Liceo classico e ho lavorato due mesi in un kibbutz, ma non credo che influenzi il dna…”. Oltretutto, la somma italiano-greco oltrepassa il 50 per cento. Dunque, qualcosa di italiano e/o di greco ce la deve avere anche lei. Lei peraltro di cognome fa Polo, che un’eco di Italia lo evoca. I ragazzi cercando affannosamente sul web: “Marco Polo, Venezia. Qua dice che a Venezia c’era una forte comunità askenazita. Qua dice che molto Dna askenazita si trova in Colombia”. Mia moglie: “Adesso ripenso che mio padre lo chiamavano ‘Onassis’ perché aveva una faccia da greco”. Io: “sì, un greco giamaicano! Piuttosto, qual era quel parente di mia madre che diceva di aver ritrovato lo scudo araldico di un avo capitano di ventura albanese?” “Albanese è una cosa, greco un’altra!”.
A quel punto il primogenito ha trovato un altro sito che faceva la stessa analisi: la sequenza già c’era, è la sola individuazione dell’etnia di provenienza veniva solo 15 euro. Ci sono molte conferme e qualche variazione: a riprova forse che la ricerca di etnie via Dna non è ancora una scienza del tutto esatta, ma una base di fondo ce l’ha. La situazione, però, si è confusa ancora di più. Da una parte, infatti, familytreedna.com conferma quasi al millimetro il 20 per cento di Dna dell’Africa occidentale. Dall’altra, però, il 16,4 centroamericano si ridimensiona all’8, mentre appare un 11 per cento iberico. Questa ricomparsa di Spagna e Portogallo è all’interno di un complessivo europeo 49 per cento, di cui un 27 del sud Europa e un 11 dell’est Europa. Ma l’apporto “diaspora ebraica” sale all’11: 7 askenazita, 4 sefardita. Accompagnato da un altro 7 per cento di Medio oriente: 5 dal “Medio oriente occidentale” e 2 dal Nordafrica. Ci sarebbe anche una componente sotto al 2 per cento di Asia centrale, un componente sotto all’1 per cento di eud-est asiatico, una componente sotto all’1 per cento di Africa centro-meridionale. Ormai ci manca solo l’Oceania a completare la globalizzazione familiare, ma avverte questa seconda stima che le cifre sotto al 2 per cento sono troppo basse per essere del tutto affidabili.
Una volta in un articolo l’avevo pure scritto che “per lo meno il 95 per cento dei discendenti di coloro che erano ebrei come religione al tempo dell’Impero romano hanno cessato di esserlo nel corso dei 2000 anni successivi e spesso neanche sanno di questa origine”. Appunto… In effetti la Technology Review del Mit ha appena avvertito che fino al 40 per cento dell’esito “etnico” di questi test potrebbe essere sbagliato. Però, significa che almeno il 60 per cento è giusto. Visto che ai parenti di chi ha già fatto il test offrono uno sconto, mia moglie ha comunque detto che vuole ora farselo lei, per capire a chi appartengono precisamente queste eredità misteriose.
cattivi scienziati
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