Foto tratta dal sito della Nasa

Un anno con gli occhi al cielo

Paolo Galati

Tra annunci roboanti e importanti scoperte, nel 2017 la Nasa e il cosmo sono tornati al centro dell’immaginario risvegliando l’antica domanda: “Siamo soli nell’Universo?”

La davano per spacciata, condannata a una fine inesorabile e ingloriosa. Tra continui tagli di budget, costi lievitati e missioni posticipate, in pochi avrebbero scommesso un dollaro sulla Nasa a inizio 2017. Il cosmo ha visto le difficoltà dell’agenzia spaziale americana e ha deciso di farle un regalo dietro l’altro. Un crescendo di incredibili eventi tanto da superare la fantasia di registi spaziali del calibro di Ridley Scott, James Cameron o Steven Spielberg. Anzi, il 2017 (inclusa la nomination all’Oscar per il film “Il diritto di contare”, storia della fisica afroamericana Katherine Johnson che collaborò con la Nasa ai programmi spaziali negli anni Sessanta) sarà ricordato come uno degli anni più prolifici di sempre per le scoperte sull’universo. E come se non bastasse a fine anno è arrivato anche l’ospite inatteso, quello che non si fa mai sentire e te lo ritrovi in casa il giorno di Natale. Un oggetto proveniente al di fuori del nostro sistema solare piomba sulla scena a 25 km/s con una traiettoria iperbolica: “1I/’Oumuamua” questo è il suo nome, espressione hawaiana che significa “messaggero che arriva da lontano”. Se ne è parlato ovunque, dalle riviste di giardinaggio ai post dell’ultima fashion blogger. Congetture e ipotesi aliene a parte, il sasso gigante di circa 200 metri di lunghezza è a tutti gli effetti un asteroide. Asteroide che non sappiamo da dove arrivi di preciso. Gli astronomi hanno ipotizzato diverse soluzioni ma su una cosa dovrebbero esserci pochi dubbi: l’asteroide ha un’età di qualche milione di anni, è diretto verso la costellazione di Pegaso e alla velocità attuale uscirà dal nostro sistema solare in circa 20.000 anni.

 


Foto tratta dal sito della Nasa


  

Procediamo con ordine. L’anno si è aperto nel più impensabile dei modi. Il 22 Febbraio del 2017, durante una conferenza stampa straordinaria, la Nasa ha annunciato di aver individuato un sistema planetario a circa 40 anni luce da noi. Il sistema planetario – composto da sette esopianeti (esopianeti perché al di fuori del nostro sistema solare) – ruota attorno alla stella Trappist-1. In quella stessa conferenza è stato detto che addirittura tre di loro sarebbero posizionati nella “fascia di abitabilità”, la distanza da una stella per cui le condizioni climatiche del pianeta permettono la presenza di acqua allo stato liquido. Il concetto di abitabilità è molto più vasto, ma tra i fattori principali pensate alla temperatura, la presenza di vegetazione, l’atmosfera, la forza di gravità sul pianeta, eccetera.

 

Considerata superata un anno fa, l'agenzia spaziale americana ha inanellato scoperte che superano la fantasia di un regista sci-fi

Scoprire un pianeta extrasolare non è semplice data la distanza e data la luminosità al confronto con le stelle: un pianeta è un pianeta. Sono le stelle che brillano di più. Ma dal 2009 stiamo vivendo una nuova fase dell’esplorazione spaziale. Dal lancio della sonda Kepler – costata circa mezzo miliardo di dollari – stanno arrivando le primissime risposte alla domanda: “Quante stelle della nostra Galassia hanno pianeti simili a quelli del nostro sistema solare?”. Che è poi molto simile alla famosa domanda “siamo soli nell’Universo”. Per la nostra Galassia, statisticamente, si calcola che debba esistere almeno un pianeta per stella, e che in media ogni cinque stelle come il Sole ci sia almeno un esopianeta con caratteristiche molto simili a quelle terrestri. La ricerca continua, ed è proprio di dicembre la notizia di un nuovo esopianeta scoperto, anche se con un trucco: Kepler-90i. Fa parte del mini sistema formato dalla stella Kepler-90 e si trova a 2.545 anni luce da noi. Il trucco si chiama intelligenza artificiale, il “machine learning” in collaborazione con Google, così chiamato perché letteralmente i computer imparano dai passi precedenti. Con una battuta si può dire che anche la Nasa è caduta nella trappola del “dai, cercalo su Google!”. Un tipo di “nuova frontiera” a cui dovremo abituarci sempre più spesso.

 

Certo, se l’anno si è aperto con una fibrillazione crescente sulla scia mediatica lasciata da Trappist-1 lo stesso non si può dire per Kepler-90i. A forza di annunci eclatanti, gli esopianeti non fanno quasi più notizia, o perlomeno ci stiamo facendo l’abitudine.

 

Ricorderemo il 2017 anche per i pennacchi di Encelado. Infatti, non passano due mesi da Trappist-1 che viene annunciata la seconda conferenza stampa straordinaria della Nasa: su Encelado – satellite di Saturno – ci sarebbe un’altissima probabilità di trovare organismi viventi. Sotto il suo spesso strato di ghiaccio c’è acqua allo stato liquido; acqua che viene espulsa sotto forma di vapore acqueo: ottima location per una Spa con vista sugli anelli di Saturno. Addirittura dentro un pennacchio di gas fuoriuscito da un geyser viene rivelata la presenza di acqua al 98 per cento, di idrogeno all’1 per cento e di un restante 1 per cento fatto di un mix di anidride carbonica, metano e ammoniaca. “La presenza di idrogeno ci spinge a pensare che eventuali microbi – qualora esistessero – potrebbero ottenere energia dalla combinazione dell’idrogeno con l’anidride carbonica dissolta nell’acqua: reazione chimica nota sotto il nome di metanogenesi, cruciale per lo sviluppo della vita sulla terra”, annuncia la Nasa. La metanogenesi avviene sulla Terra sotto la superficie terrestre, e attraverso di essa i rifiuti organici si trasformano nel famoso biogas. Durante la stessa conferenza stampa venne annunciata la presenza di pennacchi di vapor acqueo anche su Europa, uno dei satelliti di Giove. A quel punto molti pensarono che fosse l’anno dei pennacchi.

 

A febbraio l'annuncio degli esopianeti "abitabili", poi il pennacchio di Encelado, la luna di Saturno. Ora l'asteroide misterioso

Aggiungiamo al menu l’eclissi totale di sole del 21 agosto 2017, eclissi che ha avuto un crescendo di risonanza mediatica soprattutto perché l’ultima di quel tipo negli Stati Uniti è avvenuta nel lontano 1979. In Italia per vedere dal vivo un’eclissi totale di sole dovremmo aspettare il 2 agosto 2027.

 

Come dimenticare il 2017 per l’altra grande notizia che ha scosso la comunità scientifica internazionale: la conferma di aver rilevato onde gravitazionali generate dal collasso di stelle di neutroni. Manca ancora poco ma ci arriveremo: la frittura di onde gravitazionali per il pranzo di Natale. Per la prima volta è stato visto lo stesso evento in contemporanea con una settantina di osservatori, inclusi Ligo e Virgo (ricordate? Se ne parlò in lungo e in largo: era il febbraio del 2016 quando fu annunciata la rilevazione di onde gravitazionali prodotte dalla fusione di due buchi neri). Ma quello fu solo l’inizio: il 17 agosto 2017 sono state “viste e rivelate” onde gravitazionali generate da due stelle di neutroni in fase di collasso gravitazionale. L’evento – rarissimo – ha avuto origine 130 milioni di anni fa ed è giunto sulla Terra trovando migliaia di scienziati pronti ad analizzare ogni minimo dettaglio. Le onde gravitazionali vengono generate ogniqualvolta lo spazio-tempo si “deforma”. Non sarà un caso se il premio Nobel per la Fisica del 2017 è stato assegnato a tre fisici americani per la scoperta delle onde gravitazionali; lo strumento per “sentire” l’eco di ciò che è successo nel passato. E abbiamo usato tanto il termine inglese ripple, le famose increspature del tessuto spazio temporale: queste interessanti deformazioni vengono prodotte quando buchi neri si fondono, oppure stelle di neutroni collassano, ma non solo. Si ipotizza che una grande quantità di onde gravitazionali sia stata generata nei primi istanti dopo il Big Bang.

 

Kip Thorne, uno dei tre premiati con il Nobel, fa un’analogia: “Un individuo che avesse visto l’oceano solo in una calma giornata di sole non saprebbe nulla del mare in burrasca e delle onde oceaniche generate da una tempesta”. Non esageriamo con le onde gravitazionali, però, in fondo non è stato anche l’anno della sonda Cassini? Sì, la sonda del Gran Finale, del tuffo nell’atmosfera, del suicidio programmato su Saturno. La sonda Cassini-Huygens (il modulo Huygens si è schiantato nel 2005 su Titano) dal 2004 ha alimentato la fame e la sete della Nasa. Ha studiato Saturno e i suoi satelliti più di chiunque altro. L’aspetto più entusiasmante è stata la sua lenta fine programmata. Prima del gran botto ha avuto la possibilità di effettuare orbite via via più ravvicinate che hanno permesso di ottenere dati preziosi sulla composizione dell’atmosfera interna e l’origine degli anelli. La ricorderemo anche per le instagrammate veloci che hanno riempito i siti web di tutto il mondo. Cassini ci ha salutato in diretta mondiale con il famoso “Goodbye Kiss”, evento conclusivo con cui la Nasa (e non solo, perché nella missione hanno preso parte 27 nazioni) ha deciso di dire addio alla sonda campione di incassi.

 

Con le foto scattate dalla sonda Cassini prima del "botto" abbiamo riempito i siti web. L'asso nella manica è stato il ritorno di Voyager

L’asso nella manica della Nasa è arrivato – quasi gratis – a fine novembre, quando i propulsori secondari della sonda Voyager 1 sono stati riaccesi dopo 37 anni di inattività. La sonda Voyager 1 è l’oggetto più lontano in assoluto che sia mai stato costruito dall’uomo: attualmente si trova a circa 21 miliardi di km di distanza dalla Terra. Lanciata il 5 settembre 1977 da Cape Canaveral, ha visitato i pianeti giganti del nostro sistema solare – come la sua gemella Voyager 2, altra grande sonda del passato. Voyager 1 per la prima volta ha permesso di ottenere foto ad alta risoluzione di Saturno, di Giove, di Urano e di Nettuno: un’intera generazione di fisici ha studiato dati provenienti da questi instancabili esploratori muniti di antenne gigantesche. Ma le antenne devono essere allineate con la Terra per stabilire un contatto e i propulsori sono necessari per le manovre di allineamento. I propulsori primari erano fuori uso da tempo, ma ogni missione ha il suo piano B e agli scienziati della Nasa è venuto in mente di utilizzare i propulsori secondari, quelli per correggere la manovra, spenti dal 1980. Numerosi tecnici della Nasa, con l’aiuto di ex colleghi in pensione, hanno dovuto riscrivere buona parte del software di bordo – come in un film – cercando di ripristinare i segnali di accensione: hanno tentato l’improbabile. Il 28 novembre scorso hanno spedito il segnale e la risposta è arrivata dopo 38 ore. I propulsori secondari sono stati attivati correttamente. Con questa mossa la Nasa – oltre ai propulsori – ha riattivato gli animi vintage degli anni Ottanta. La conclusione potrebbe sembrare scontata ma non lo è affatto: non è l’anno di “Star Wars”, è l’anno della Nasa.

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