Rappresentazione artistica dell'esopianeta K2-18b (University College London)

C'è acqua sull'esopianeta K2-18b, leone d'oro alla carriera per l'abitabilità

Paolo Galati

Non sappiamo quanto, ma siamo certi che ci sia vapore acqueo nell’atmosfera dell'esopianeta, che si trova fuori dal nostro sistema solare, a 110 anni luce dalla Terra. Grande attesa per quel che vedremo con il nuovo James Webb telescope

Nell’anno del Re Leone la notizia di aver trovato l’acqua al di fuori del sistema solare non poteva che giungere proprio dalla costellazione del Leone. Il vapore acqueo è stato osservato nell’atmosfera di una vecchia conoscenza: l’esopianeta K2-18b che si trova a 110 anni luce da noi (per avere un’idea della distanza una tipica sonda spaziale che viaggiasse a 50.000 chilometri all'ora impiegherebbe 2 milioni e mezzo di anni per raggiungerlo!). Due gruppi indipendenti di ricercatori hanno appena pubblicato due studi in cui dimostrano come sia estremamente probabile che l’atmosfera di K2-18b contenga acqua. Non sappiamo quanta acqua ci sia, non ci sono gli oceani di acqua ma siamo certi che nell’atmosfera ci sia vapore acqueo.

  

Gli esopianeti sono pianeti extrasolari, cioè non appartenenti al nostro sistema solare. Questo esopianeta era già stato scoperto nel 2015 ma ci sono voluti quasi 4 anni per studiarne la sua atmosfera. Per identificare un pianeta extrasolare si usa il cosiddetto metodo dei transiti. Il metodo dei transiti si basa sul fenomeno per cui quando un esopianeta passa davanti alla sua stella, la luminosità della stella subisce una piccolissima variazione: questa variazione è misurabile e fornisce una prova del passaggio di un esopianeta. Per spiegare il fenomeno dei transiti si fa di solito il paragone molto affascinante di un moscerino attirato da una sorgente luminosa molto intensa: “Immaginate di voler osservare da New York un faro appena acceso a Londra e di avere in quel momento un moscerino davanti al faro. Quel moscerino è il nostro esopianeta. E non ci accontentiamo di vederlo: noi vorremmo osservarne le ali”, così scrive uno degli autori dello studio pubblicato su Nature.

 

Ad oggi sono molti i moscerini che abbiamo visto passare davanti ai fari stellari e di molti moscerini abbiamo visto le ali. Nel caso degli esopianeti può accadere che una parte della luce che ci giunge dalla stella passi attraverso l’atmosfera dell’esopianeta. Questa piccola frazione di luce che ha interagito con le molecole presenti nell’atmosfera arriverà da noi portando con sé quel che ha “visto”.

  

Calmi. Vi sembra una serie tv vero? Eppure è proprio così.

 

Attenzione, non andate in giro a dire: “Madò, hai sentito? Finalmente è stata scoperta una Terra gemella”. Anzi togliamoci subito il pensiero: l’intensa forza gravitazionale e la radiazione UV rende il pianeta inabitabile per l’uomo. Ma non è questo il punto, come dichiarato da uno degli autori: "K2-18b non è una Terra 2.0, ha massa superiore e composizione chimica dell’atmosfera molto diversa dalla nostra. Tuttavia, è un piccolo passo che avvicina l’uomo a rispondere alla domanda più importante di tutte: è davvero unico il nostro pianeta?”.

 

K2-18b per ora è il primo: leone d’oro alla carriera per l’abitabilità.

 

Come sappiamo i pianeti extrasolari più interessanti sono quelli che sulla carta si trovano nella cosiddetta fascia di abitabilità: fascia di orbite entro la quale le condizioni fisiche di un esopianeta permettano la presenza di acqua allo stato liquido. Per dare un nome a questa fascia negli anni ’70 venne coniato il termine Goldilocks Zone (zona Riccioli d’oro) come geniale metafora della famosa fiaba in cui la bambina sceglie sempre la via di mezzo.

   

C’è grande attesa per quel che vedremo in futuro grazie al lancio del nuovo James Webb telescope previsto per il 2022 perché sono molti gli esopianeti che attendono di essere scoperti: per la nostra galassia si calcola che debba esistere almeno un pianeta per stella e che ogni cinque stelle come il Sole ci sia almeno un esopianeta con caratteristiche molto simili a quelle terrestri. Per ora non possiamo raggiungere posti così lontani e non possiamo farci un giro nelle galassie per cui puntare telescopi sempre più potenti e usare algoritmi di machine learnings sembrano essere la strada vincente.

  

Certo guardare a distanze di anni luce da noi significa guardare indietro nel tempo. Fermi tutti: possiamo dire di aver visto un’acqua di 110 anni fa certo, però chi lo sa con certezza, magari qualcuno nel frattempo se l’è già bevuta tutta.

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