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Cattivi scienziati

Non ci sono prove scientifiche che il Covid sia stato originato in un laboratorio di Wuhan

Enrico Bucci

Il dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti ora si unisce al Federal Bureau of Investigation nel dire che il virus probabilmente si è diffuso a causa di un incidente in un laboratorio cinese. da un punto di vista scientifico non è cambiato assolutamente nulla

Di nuovo, come in un minuetto, si torna a parlare dell’origine del virus Sars-Cov-2 in un laboratorio di Wuhan, da cui sarebbe accidentalmente stato rilasciato. E’ infatti accaduto che il Wall Street Journal ha svelato un nuovo rapporto di intelligence con un articolo dal seguente titolo: “Una perdita accidentale da un laboratorio è l'origine più probabile della pandemia di Covid-19, afferma ora il dipartimento dell'energia”.

   

All’interno dell’articolo, troviamo che, dopo una posizione di indecisione, in un nuovo documento di intelligence, ancora classificato, il dipartimento dell'Energia degli Stati Uniti ora si unisce al Federal Bureau of Investigation nel dire che il virus probabilmente si è diffuso a causa di un incidente in un laboratorio cinese.

  

Ora, io capisco bene l’effetto che un simile titolo su un giornale di primissimo piano possa fare: è esplosa letteralmente un bomba mediatica, con tutte le conseguenze del caso e per questo motivo anche il sottoscritto è sotto assedio da un montante quantità di richieste di chiarimento. Tuttavia, da un punto di vista scientifico non è cambiato assolutamente nulla. In questo momento, cioè, uno scienziato – o per meglio dire la comunità scientifica nel suo insieme – non ha davanti nessun nuovo fatto, nessun nuovo dato o nuova analisi di dati pregressi da poter valutare. Quel che sappiamo è che una certa agenzia americana, in un momento di forti tensioni geopolitiche fra Cina e Stati Uniti, ha cambiato la sua opinione da non determinata a favorevole all’ipotesi della dispersione accidentale del virus in Cina; ma siccome i lettori non sono avvezzi alla terminologia e alla procedura utilizzata in questi casi dalle agenzie, bisogna innanzitutto fare alcune precisazioni.

  

Innanzitutto, il titolo del Wall Street Journal dichiara questo tipo di origine “più probabile”, ma, nel sistema legale americano da cui proviene il rapporto, questo indica solo che vi è (al momento) una maggiore preponderanza delle prove in un verso, invece che nell’altro; nulla però è detto sulla forza di queste prove, e dunque sulla forza delle conclusioni. Potremmo avere cioè prove debolissime, contro assenza di prove per l’altra ipotesi; il bilancio in questione è legato all’uso di un diverso aggettivo, che infatti troviamo ben in chiaro tanto nel rapporto originale che nel corpo dell’articolo citato. Su una scala prestabilita per le agenzie in cui esprimere la convinzione circa la giustezza dei risultati ottenuti, scala che si basa su tre livelli – debole, moderata o forte – la solidità delle conclusioni raggiunte, cioè il peso delle prove, viene definito debole. Questo livello, nel sistema americano, indica che le fonti sono poco affidabili, che le prove sono troppo frammentarie o una combinazione di questi fattori.

  

Non a caso, a fronte dell’accordo con i risultati di un’indagine condotta dal Fbi, altre quattro agenzie di intelligence, oltre al National Intelligence Council Usa, sono di avviso opposto, mentre due, fra cui la Cia, non propendono per nessuna delle due teorie alternative sull’origine del virus.

  

Detto questo – cioè una volta che si sia coscienti del sostanziale disaccordo anche fra le fonti di intelligence, e del fatto che anche chi ha stilato questo ultimo rapporto definisce deboli le prove – resta il fatto principale, l’elefante nella stanza che chi ha a cuore il dibattito non vuole considerare: per ora, stiamo discutendo del nulla. Non abbiamo infatti accesso a fatti nuovi che possano farci propendere per la fuga del virus da un laboratorio, né a nuove analisi; niente di niente, ma solo la notizia che qualcuno ha emesso un ceto giudizio – qualcosa che può servire in politica e a riempire i giornali, ma non ad ottenere un giudizio da parte della comunità scientifica.

 

Intendiamoci bene: qualunque nuovo, se documentato, fatto potrebbe spostare il giudizio attuale della larga preponderanza degli scienziati, che è quello di un’origine naturale della pandemia, verso l’ipotesi di un incidente; ed è bene mantenersi aperti a questa possibilità, perché non vi è ragione di principio per accantonarla, ma solo probabilistica, sulla base di ciò che conosciamo. Tuttavia, non si può nemmeno assumere una posizione sulla base di quel che non conosciamo, perché l’accesso ai documenti è precluso; tanto più che esistono pareri discordi da parte di chi ha condotto indipendentemente indagini diverse.

 

Pretendere, come si vorrebbe oggi, di cambiare opinione perché un documento americano afferma qualcosa (peraltro, ricordiamolo ancora, con scarsa convinzione), è posizione speculare a chi vorrebbe lasciar correre la scarsa trasparenza cinese: abbiamo due opache versioni dei fatti, entrambe non verificabili, e la pretesa che ci si schieri di qua o di là.

 

La selezione naturale è perfettamente in grado di produrre un virus come quello identificato per la prima volta a Wuhan: finchè non si produrranno prove solide, e non dichiarazioni o deboli evidenze circostanziali, la comunità scientifica non può spostarsi da quanto sa, e sarebbe bene che pubblico e giornalisti facessero lo stesso. Esistono nuovi dati o nuove analisi? Si pubblichino, e solo dopo potrà parlarsene.

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