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Basta balle sui vaccini

Sergio Abrignani

Sono uno dei più grossi successi della medicina moderna. In Italia hanno evitato circa 150 mila decessi dal marzo 2021 a oggi. Eppure periodicamente tornano a circolare idee false e velenose sulla lotta al Covid. A che punto è la pandemia e la strategia per contenerla. Un’indagine

Dopo quasi tre anni di pandemia ci siamo scoperti più fragili e quindi molto più umani. Fino al 2019 pensavamo che le malattie infettive fossero ormai un problema solo dei paesi in via di sviluppo e che nel mondo occidentale riguardassero pochi pazienti molto fragili. Da inizio 2020, il Covid (la malattia causata dal virus Sars-Cov2) ha fatto in Italia circa 180.000 vittime ed è diventata la terza causa di morte, dopo malattie cardiovascolari e tumori, causando fra l’8 e l’11 per cento dei decessi. Di conseguenza, nel 2020 l’aspettativa di vita è calata da 83,6 anni a 82,3 anni e anche se nel 2021 è risalita a 82,9 anni è sempre al disotto di quella del 2019.

 

Da inizio 2020, il Covid ha fatto in Italia circa 180.000 vittime. Nel 2020 l’aspettativa di vita è calata da 83,6 anni a 82,3 anni e anche se nel 2021 è risalita a 82,9 anni è sempre al disotto di quella del 2019

 

Questa tragedia, che ha riguardato tutto il mondo, è stata mitigata dai vaccini. Grazie a un enorme sforzo globale senza precedenti di ricerca scientifica, sviluppo clinico e produzione industriale, in meno di un anno, a fine 2020 abbiamo avuto i primi vaccini e nel 2021 si è vaccinata la stragrande maggioranza degli italiani. Ad oggi, vi sono più di 40 milioni di italiani vaccinati con almeno tre o quattro dosi, l’89 per cento dei 18 milioni di ultrasessantenni è vaccinato e questo è importante perché il 96 per cento delle morti da Covid avviene in questa fascia d’età.

 

Intanto il virus è cambiato tanto in questi anni, il ceppo originale Wuhan aveva una infettività medio-bassa con un R0 di 3 (R0 esprime il numero di persone che mediamente sono contagiate da una persona infetta). Con la variante Alfa diffusasi nell’autunno 2020 R0 è salito a 4, con Delta nell’aprile 2021 è arrivato a 6-7, con Omicron 1 a gennaio 2022 è saltato a 12-13 e con Omicron 5 a giugno 2022 probabilmente abbiamo raggiunto un R0 superiore a 18, cioè un infettato può contagiare 18 persone, più di morbillo e rotavirus, i virus umani più infettivi che si conoscano. Ora si sta diffondendo la variante Bq1.1 (Cerberus) parente di Omicron 5 che, dai dati di diffusività in Usa e Francia nell’ultimo mese, sembra sia ancora più contagiosa e possiamo quindi aspettarci che per fine anno diventi la nuova variante dominante. All’apparire di ogni nuova variante è diminuita la capacità dei vaccini di proteggerci dall’infezione (che non significa malattia, tant’è che la maggioranza delle infezioni è oggi asintomatica), l’efficacia è passata dal 95 per cento contro la variante Alfa, al 70 contro Delta, al 20-40 per cento con Omicron. Questi stessi vaccini hanno però mantenuto un’ottima efficacia contro la malattia grave e la morte, infatti dal 90-95 per cento che proteggevano dalla malattia grave da variante Alfa ci proteggono ancora tantissimo (80-85 per cento) dalla malattia grave da Omicron.

 

Nel procedere della pandemia con l’evolversi delle varianti abbiamo osservato non solo un aumento di infettività (documentato da R0 passato da 3 a 18) ma anche una diminuzione notevole della letalità dovuta in parte alla minore aggressività delle varianti Omicron, ma soprattutto alle vaccinazioni perché sappiamo dai dati analizzati su milioni di vaccinati che i vaccinati hanno un rischio di morire da Covid inferiore di sei-sette volte rispetto a chi non è vaccinato. Guardando i numeri, quando abbiamo avuto il picco delle ondate Wuhan, Alfa o Delta, con una popolazione non vaccinata, al picco avevamo 40.000 infezioni e circa 800 morti al giorno, quindi 1 su 50 degli infettati moriva. Con le varianti Omicron, con la popolazione largamente vaccinata, siamo arrivati al picco a 220.000 infezioni e circa 300 morti al giorno, quindi una letalità di circa 1 su 800. A conferma dell’enorme impatto dei vaccini sulla salute, è stato calcolato che negli Stati Uniti d’America i vaccini hanno evitato circa 250.000 decessi in un anno e in Italia l’Iss (Istituto superiore di sanità) ha calcolato che circa 150.000 decessi sono stati evitati da marzo 2021 a oggi. Abbiamo da circa un anno anche farmaci antivirali che se dati nei primi giorni della malattia prevengono più del 50 per cento delle forme gravi di Covid, ma va ribadito che una terapia, per quanto efficace sia, non potrà mai sostituire una vaccinazione che ha l’enorme vantaggio di prevenire la malattia.

   

Nonostante si sappia bene che il 96 per cento delle morti di Covid avviene fra gli ultrasessantenni, fra questi vi sono ancora circa il 6 per cento (un milione di italiani) di ipovaccinati (cioè persone che hanno ricevuto solo una o due dosi da più di sei mesi) e circa il 5 per cento (900 mila persone) di non vaccinati. Queste mancate vaccinazioni che interessano soltanto l’11 per cento della popolazione ultrasessantenne, significano però tanto in termini di vite umane; infatti nei primi dieci mesi del 2022 abbiamo avuto circa 42 mila morti da Covid e i dati dell’Iss mostrano che il 25-30 per cento di questi (10-12 mila morti) erano non-vaccinati o ipovaccinati. 

 

Il vaccino è come il casco per il motociclista, può salvare la vita. Un vaccinato che muore di Covid è come  un motociclista che muore in un incidente pur indossando il casco: può succedere ma ha fatto il possibile per evitarlo. Per le persone con più di 60 anni, morire da non vaccinati significa essere autolesionisti

 

Poiché i vaccini proteggono dalla morte l’80-85 per cento degli infettati con Omicron, se tutti gli ultrasessantenni fossero stati vaccinati con tre dosi o quattro dosi, avremmo probabilmente evitato da inizio 2022 otto-diecimila morti da Covid. Il vaccino è come il casco per il motociclista, può salvare la vita. Se muore di Covid un vaccinato è come quando un motociclista muore in un incidente pur indossando il casco, può succedere ma ha fatto il possibile per evitarlo. Per le persone con più di 60 anni, morire da non vaccinati significa essere autolesionisti, proprio come girare in moto senza casco, si aumenta tanto il rischio in modo stupido.

 

I cambiamenti epocali devono essere seguiti da un’analisi di ciò che è successo. Parlando delle misure adottate per mitigare gli effetti dello tsunami Covid, capita di sentir dire che uno dei problemi maggiori, nei tre anni di pandemia, è stato che si è cambiata idea troppo spesso sui vaccini e sulle strategie per mitigare l’impatto del virus sulle nostre vite. Se fosse così, vorrebbe dire che è stata una tragedia ascrivibile in larga parte a errori umani e quindi sarebbe un problema facilmente risolvibile, se non già risolto. Purtroppo, chi è cambiato è il virus e ricercatori, medici e politici hanno cambiato idee e strategie cercando di inseguirlo. L’esempio esemplare di come in un momento emergenziale si cambino le direttive sulla base delle informazioni che man mano si ottengono, sono state le indicazioni all’uso nelle diverse fasce d’età del vaccino Astrazeneca (quello a base di vettori virali): eravamo nel primo trimestre 2021, la pandemia era in fase esplosiva con 15-18 mila morti al mese solo in Italia, c’erano le chiusure, tutti chiedevano più vaccini ma c’era grande carenza di questi. La prima autorizzazione europea al vaccino Astrazeneca fu data da Ema a fine gennaio sulla base dei dati di efficacia e sicurezza nella popolazione al di sotto di 55 anni e quindi le prime dosi di vaccino che arrivarono in tutta Europa furono usate solo nei giovani adulti. A febbraio arrivarono anche i dati positivi di efficacia negli anziani e quindi il vaccino fu usato in tutte le età. Poi a maggio, solo dopo milioni di iniezioni di vaccino, si iniziarono a vedere i rarissimi effetti trombotici gravi nei giovani e quindi ne fu consigliato l’uso solo negli anziani. Tutte queste scelte sono state fatte sulla base dei pareri e delle indicazioni delle Agenzie regolatorie (Ema in Europa e Aifa in Italia), agenzie indipendenti dalla politica e dalle industrie che da tanti decenni accettiamo che tutelino la salute dei cittadini accertando l’efficacia e la sicurezza di tutti i farmaci e vaccini immessi sul mercato. 

 

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Un altro esempio di come l’emergenza detti l’agenda degli eventi sono le schedule vaccinali, cioè le dosi di vaccino raccomandate. Nel 2020 le vaccinazioni sono state approvate con due dosi ravvicinate. Gli immunologi che avevano esperienza di vaccini, sapevano che non sarebbe stata la vaccinazione definitiva, perché negli ultimi 50 anni le schedule di quasi tutte le vaccinazioni (unica eccezione i vaccini vivi attenuati come vaiolo o morbillo) che abbiamo fatto ai nostri figli si basano su tre dosi. Infatti, per la gran parte dei vaccini antivirali e antibatterici si inizia lo schema vaccinale con due dosi ravvicinate (entro un mese) che servono a stimolare una forte risposta che chiamiamo effettrice, che ha un picco importante ma di breve durata e che mantiene pochissima memoria immunologica (cioè la capacità di proteggerci per anni). La memoria la si ottiene vaccinando dopo cinque-otto mesi con una terza dose che serve a indurre la memoria di lungo termine, infatti con la terza dose si ottiene un secondo picco di risposta effettrice di breve durata (2-3 mesi) ma soprattutto si induce una memoria che dura 5-10 anni.

 

Il quesito allora è perché abbiamo iniziato a vaccinare con due dosi: ricordiamoci che i vaccini sono stati sviluppati nel pieno della pandemia, quando avevamo a livello globale decine di migliaia di morti al giorno e l’obiettivo principale era autorizzare vaccini efficaci e sicuri il più presto possibile per poter iniziare a salvare vite umane. Nel pieno di una pandemia, con una grave emergenza sanitaria in corso, si è accettato il compromesso di un vaccino sicuro che avesse un’alta efficacia (proteggeva al 95 per cento sia da infezione che da malattia da virus Wuhan e variante Alfa) che sarebbe durata pochi mesi. Se avessimo aspettato di registrarli con le tre dosi, i vaccini sarebbero arrivati nel giugno 2021, il tempo richiesto per completare le prove cliniche con la terza dose data a sei mesi di distanza. Vista l’emergenza, per l’autorizzazione all’uso si utilizzarono studi clinici con due dosi a distanza di poche settimane che avrebbero conferito una protezione importante ma di breve durata. Le terze dosi furono autorizzate a fine estate/autunno del 2021 quando si vide, come atteso, che dopo due dosi la risposta immunitaria diminuiva molto rapidamente e non rimaneva memoria.

 

Dopo aver immunizzato con la terza dose, se questo virus si fosse comportato come altri virus che mutano relativamente poco, le tre dosi di vaccino ci avrebbero garantito una lunga memoria come con il vaccino anti epatite B, anti poliomielite e tanti altri vaccini che facciamo in tre dosi. Ricordiamoci che il predecessore Sars-Cov1 era mutato poco nel 2002-2003 e Sars-Cov2 da dicembre 2019 a aprile 2021 aveva mostrato solo una variante importante clinicamente, Alfa, che però era comunque molto simile al virus originario Wuhan. I vaccini in commercio che si basavano sulla Spike del virus Wuhan proteggevano il 95 per cento dei vaccinati anche dall’infezione e dalla malattia grave da variante Alfa. In quel momento ci potevamo aspettare che se il virus non fosse cambiato troppo noi avremmo avuto un vaccino che con tre dosi ci avrebbe garantito per 5-10 anni un buon livello di memoria protettiva, proprio come gli altri vaccini antivirali che facciamo. Quello che ci ha sorpreso invece è stata l’accelerazione nella capacità del virus di cambiare, generando in tempi sempre più ravvicinati una serie di varianti che diventavano più diffusive e che sfuggivano alla risposta immunitaria indotta dal vaccino Wuhan. Quindi è stata questa evoluzione del virus che ha portato a sviluppare i nuovi vaccini basati sulla Spike delle varianti Omicron che sono disponibili da settembre.

   

Da un punto di vista immunologico, è interessante notare che stiamo utilizzando i vaccini in un modo che non è mai stato fatto prima: stiamo vaccinando durante una pandemia. In genere le vaccinazioni vengono fatte con l’aspettativa che la gran parte dei vaccinati sarà esposto al micro-organismo anni dopo e quindi si tende a stimolare una risposta memoria che duri anni. Vaccinare quasi tutta la popolazione durante una pandemia dovuta a un virus estremamente diffusivo come le varianti Omicron che in questi ultimi 10 mesi hanno infettato almeno metà degli italiani, significa invece che la maggior parte dei vaccinati viene esposta al virus pochi mesi o anche poche settimane dopo la vaccinazione.

  

  La letalità, scesa di dieci volte con i vaccini,  è comparabile oggi a quella dell’influenza stagionale. L’accettazione di vivere senza restrizioni. L’esposizione ripetuta molte volte a piccole dosi di falsità velenose su pandemia e vaccini

  

Si sta quindi cercando di indurre una forte risposta effettrice (quella che viene indotta nell’immediatezza da vaccinazione e che dura 2-3 mesi e poi scende), perché questa forte risposta è quella che può salvare più vite umane perché protegge di più dall’infezione e poiché sappiamo che se proteggi dall’infezione ovviamente eviti anche la malattia e sappiamo che anche se proteggiamo da malattia grave l’85 per cento dei vaccinati, rimane un 15 per cento che può ammalarsi molto seriamente anche se vaccinato. Quindi la quarta dose che a marzo era stata raccomandata per gli ultraottantenni e i fragili, con l’arrivo della variante Omicron 5, a settembre è stata raccomandata anche agli ultrasessantenni, per coprire tutta la fascia d’età che rappresenta complessivamente il 96 per cento delle morti da Covid.

   

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Ora ci chiediamo cosa stia succedendo alla pandemia. Ci sono due ordini di considerazioni, una di tipo medico-sanitario e un’altra di tipo sociale. L’aspetto medico-sanitario è abbastanza chiaro perché in tutto il mondo occidentale ciò che sta avvenendo è una pandemia che nel primo anno, in assenza di vaccini, è stata abbastanza letale, una letalità che andava dall’1 al 3 per cento a seconda dei paesi; poi con l’arrivo dei vaccini la letalità è scesa di 10 volte e oggi è comparabile a quella dell’influenza stagionale (circa lo 0.1 per cento, 1 decesso ogni 1.000 infettati). Come detto, il virus è mutato tanto e così facendo è cambiato sia nella sua infettività che nell’aggressività. Generando nuove varianti il virus riduce la protezione dall’infezione indotta dai vaccini, mentre i vaccini proteggono molto bene dalla malattia grave con tutte le varianti. Perché questa dicotomia nella protezione vaccinale da infezione o malattia? Ricordiamo anzitutto che infezione vuol semplicemente dire che il virus è entrato nelle nostre cellule e che lì si sta replicando, mentre malattia è un’alterazione del nostro stato di salute. La maggior parte delle infezioni da virus Sars-Cov2 è asintomatica, cioè non ci accorgiamo che il virus si sta replicando nelle nostre cellule, mentre ci accorgiamo di essere malati di Covid per i segni e i sintomi che questo comporta. Protezione dall’infezione vuol dire prevenire l’ingresso del virus nelle cellule e dipende dagli anticorpi neutralizzanti che devono interagire con la parte della Spike che lega il recettore Ace2; questa è una piccola parte di solo 200 amminoacidi su 1.300, ed è mutata tantissimo da Wuhan a Omicron. Quindi la capacità degli anticorpi neutralizzanti di neutralizzare l’aggancio del virus al suo recettore e quindi l’ingresso nelle cellule, è diminuito moltissimo ed è per questo che il vaccino Wuhan ha diminuito la sua efficacia a ogni nuova variante. Perché allora lo stesso vaccino protegge ancora tantissimo (80-85 per cento) dalla malattia grave da Omicron, quasi come ci proteggeva dalla malattia da variante Alfa? La protezione dalla malattia grave non dipende dagli anticorpi neutralizzanti ma dipende dalla capacità dei nostri linfociti T, che sono un’altra componente fondamentale della risposta immunitaria, di uccidere le cellule già infettate dal virus. Mentre gli anticorpi neutralizzanti possono riconoscere solo la piccola parte della Spike che lega il recettore (parte che è molto mutata), i linfociti T possono riconoscere tutte le ampie parti della Spike del virus che chiamiamo conservate perché sono uguali in tutte le varianti (da Alpha a Delta e Omicron). I linfociti T che riconoscono la Spike sulla superfice delle cellule infettate dal virus uccidono quelle cellule e così facendo riducono il rischio di una malattia grave. Quindi il motivo per cui il vaccino Wuhan ci protegge bene (85 per cento) da una malattia grave e ci protegge poco (20-40 per cento) dall’infezione sta nella differenza fra ciò che riconoscono della Spike gli anticorpi neutralizzanti (che evitano l’infezione) e ciò che riconoscono i linfociti T (che evitano la malattia grave).

 

Da fine settembre si stanno utilizzando per i richiami i nuovi vaccini con la Spike delle varianti Omicron e vedremo fra qualche mese quanto i vaccini Omicron contribuiscono a mitigare la pandemia. Il virus però ha già generato una nuova variante, Bq1.1 (Cerberus), che è parente di Omicron ma che da dati preliminari sembrerebbe non essere ben neutralizzata dagli anticorpi neutralizzanti indotti dal vaccino Omicron. Per fortuna, anche contro la variante Cerberus i vaccini proteggono molto dalla malattia grave e quindi continueremo a essere in una situazione di alta infettività e bassa letalità. In conclusione, l’aspetto medico-sanitario della pandemia è semplicissimo: il virus è cambiato e noi lo stiamo inseguendo adattando le nostre strategie alle nuove varianti ma manteniamo alta la protezione da malattia grave.

 

Oltre l’aspetto medico-sanitario, vi è un altro aspetto importante che è l’accettazione sociale di questa pandemia. Le bare di Bergamo non sono state dimenticate, eppure ormai appartengono a una storia diversa: non c’erano i vaccini, non si sapeva come curare il virus, il 2 per cento dei contagiati moriva. E’ stato giusto fare il lockdown? sicuramente sì. E’ stato giusto insistere sulle vaccinazioni? sicuramente sì. Anche il Green Pass ha dato risultati importanti, infatti è stato calcolato, che soltanto in Italia nel 2021, il Green Pass ha salvato più di 1.300 vite e più di 8.000 ospedalizzazioni. Dopo questi successi, a livello sociale è scattata l’accettazione di vivere senza restrizioni con questo virus che in fondo colpisce duro solo nella parte di popolazione socialmente più debole, anziani e fragili. Nei vaccinati c’è una protezione che fa sì che fra chi si infetta vi sia solo 1 morto su 1.000 e questo morto in media ha 84-85 anni e diverse altre malattie, quindi muoiono di Covid le stesse persone che possono morire di influenza stagionale. Abbiamo accettato che la terza causa di morte nel nostro paese possa essere una malattia infettiva. E’ umano scoprirsi fragili ma è molto più umano elaborare la nostra fragilità e decidere che la vita continua accettando che probabilmente ancora per un bel po’ il Covid ucciderà 1.500-2.000 anziani ogni mese, quando va bene.

 

I vaccini contro Sars-Cov2 sono uno dei più grossi successi della medicina moderna. Eppure osserviamo una sorta di “mitridatizzazione” di idee false e velenose sui vaccini, sembra che si stia provando a indurre una progressiva assuefazione all’idea che i vaccini non servano a nulla e che anzi possano fare molto male, e si fa questo attraverso un processo di esposizione ripetuta molte volte a piccole dosi di falsità velenose su pandemia e vaccini.  Come scriveva Brecht “chi non conosce la verità e ne parla è uno sciocco, ma chi conosce i fatti, i numeri e dice che sono bugie è un delinquente”. Quelle migliaia di italiani che se fossero stati vaccinati non sarebbero morti nel 2022 devono essere un monito per i cattivi maestri, sciocchi o delinquenti che siano, che facendosi alfieri di idee false e velenose sui vaccini giocano con la vita delle persone.

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