(foto Ansa)

I padri dei boh vax

L'incertezza sui vaccini dipende anche dai pasticci del governo

Luciano Capone

Lo stop ad AstraZeneca fu un grave errore di politica sanitaria e di comunicazione. Per completare la campagna vaccinale è bene che non se ne commettano altri

La campagna vaccinale in Italia sta andando bene: oltre 500 mila somministrazioni al giorno, quasi il 60 per cento della popolazione over 12 completamente vaccinata e oltre il 10 per cento che ha ricevuto la prima dose. Tutte le fasce di età stanno rispondendo positivamente, man mano che tocca al loro turno in base all’ordine di priorità, tanto che ormai l’85 per cento degli over 50 ha ricevuto almeno una dose, e i più giovani stanno seguendo. In questo contesto, il green pass ha dato una spinta alle prenotazioni tra i più pigri o riluttanti. I No vax non sono quindi un problema di massa e le piazze semivuote di questi giorni lo dimostrano: sono una quota marginale della popolazione, ancor più piccola rispetto ad altri paesi occidentali, sovrarappresentata da media in cerca di polemica e partiti in cerca di visibilità e voti di nicchia. Esiste però una fetta della popolazione, tra quella minoritaria non ancora vaccinata, che pur non essendo pregiudizialmente No vax teme il vaccino perché confusa da una comunicazione spesso allarmistica e contraddittoria. 

 

AstraZeneca, il pasticcio comunicativo sul mix eterologo

 

In questo senso sarebbe un bene se anche il governo riflettesse sui propri errori per evitarne di analoghi in futuro. Il caso più emblematico è la gestione del vaccino AstraZeneca, le cui indicazioni di utilizzo sono state ripetutamente modificate a prescindere dalle indicazioni dell’Ema e delle evidenze scientifiche. L’ultima modifica, il pasticcio comunicativo più grosso, è stato quello del cosiddetto mix eterologo inizialmente imposto a chi aveva ricevuto la prima dose e poi reso facoltativo. La decisione, adottata sull’onda emotiva di un drammatico caso di cronaca, fu presa in nome della “massima cautela” anche se non era emerso alcun dato scientifico che mostrasse la pericolosità della seconda dose con AstraZeneca e senza che vi fossero dati altrettanto solidi (ma solo preliminari) sulla sicurezza e sull’efficacia del richiamo misto con un vaccino a mRna (Pfizer o Moderna). L’obiettivo di una decisione tutta politica, assunta dal governo ma anche da organi tecnici ed enti regolatori come il Cts e l’Aifa, era tranquillizzare le persone ma il risultato è stato di allarmarle. 

 

Da un lato il vaccino di AstraZeneca, un ottimo prodotto efficace anche contro la variante Delta, è stato ormai marchiato con una lettera scarlatta e reso quasi inutilizzabile. Dall’altro ha alimentato sfiducia e incertezza, tra chi era già predisposto, nei confronti dell’intero iter regolatorio-autorizzativo e di conseguenza anche sugli altri vaccini. Dire: la seconda dose di AstraZeneca è sicura (non c’è mai stato neppure un caso raro di trombosi in Italia) ma per maggiore sicurezza la vietiamo preferendo un protocollo misto non ancora sperimentato ma che dovrebbe funzionare, beh non è stato affatto un messaggio tranquillizzante. Anzi, ha alimentato i retropensieri di chi ritiene che le autorità regolatorie sappiano qualcosa che non vogliono dire oppure che non sappiano bene neppure loro cosa stanno facendo.

 

Nei giorni scorsi, sulla prestigiosa rivista scientifica The Lancet, è stato pubblicato uno studio di AstraZeneca sulle rare trombosi dopo la seconda dose del vaccino. La conclusione è che il tasso di questi eventi rari dopo il richiamo con il vaccino Vaxzevria è di 2,3 casi per milione, un dato quasi quattro volte inferiore a quello rarissimo che si verifica dopo la prima dose, e del tutto paragonabile a quello che si osserva in una popolazione di non vaccinati. Ciò vuol dire che la seconda dose non aumenta affatto il rischio di trombosi e, pertanto, è consigliabile completare il ciclo vaccinale come da protocollo approvato. 

Ciò che, però, è più rilevante è che non si tratta di un dato sconosciuto. Quando il governo ha inizialmente proibito il richiamo con AstraZeneca per gli under 60, nello stesso parere che supportava quella decisione, il Cts stimava le trombosi rare dopo la seconda dose in “1,3 casi per milione”, un dato che era all’epoca circa la metà di quello ora comunicato dallo studio di AstraZeneca. Vuol dire che sulla base dei dati allora disponibili, quella decisione era ancor meno giustificata: si era trattato di una scelta politica più che scientifica. E si è rivelato un grave errore di politica sanitaria e di comunicazione, tanto che dopo pochi giorni il governo ha provato a metterci una pezza con la decisione comunicata da Mario Draghi di far scegliere liberamente tra un protocollo approvato (doppia dose AstraZeneca) e uno sperimentale (mix eterologo). E’ stato un errore grave, per fortuna non tanto nelle conseguenze, ma per il metodo utilizzato. In ogni caso, per portare avanti la campagna vaccinale con successo bisognerà conquistare la fiducia di chi è scettico o intimorito ed evitare di commettere errori analoghi, dettati dalla cronaca e dall’emotività.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali