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Brevetti o non brevetti? L'ultima frontiera dei vaccini

Redazione

Le cause del sì, quelle del no, le forze in campo e cosa aspettarsi: la questione dei diritti sul siero anti-Covid in cinque domande clou

Brevetti sì, brevetti no. Il prossimo step della campagna di vaccinazione mondiale rischia di sfociare in una questione legale: da una parte big pharma e il libero mercato – più qualche capo di stato controcorrente –, dall’altra i principali governi e l’opinione pubblica mondiale, supportati dalla World trade organization. Un vademecum per fare chiarezza.

 

 

Chi chiede la sospensione?

Oltre 100 paesi – la maggior parte in via di sviluppo – guidati da India e Sud Africa negli ultimi giorni si sono rivolti al Wto per ottenere la sospensione dei diritti di proprietà intellettuale detenuti dalle case farmaceutiche sui vaccini. Sono stati subito sostenuti da Cina e Russia. La svolta però è arrivata giovedì, con gli Stati Uniti di Joe Biden ad appoggiare a loro volta la mozione. E a stretto giro l’Ue ha aperto il dibattito: Macron favorevole, Merkel scettica, Draghi prudente. Ma a livello di opinione pubblica il giudizio è netto: secondo l’ultimo sondaggio People’s vaccine alliance, il 70 per cento dei cittadini del G7 – con un picco dell’82 fra gli italiani – chiede ai governi di muovere contro big pharma sui brevetti dei vaccini.

 

 

Perché sì

Alla base del fronte anti-brevetti la penuria di vaccini in alcune zone del mondo, soprattutto quelle più a basso reddito e densamente popolate – il caso dell’ultima devastante ondata in India ha fornito il ‘casus belli’. L’obiettivo, sospendendo i diritti di proprietà, è quello di aumentare l’approvvigionamento globale e l’accesso ai vaccini attraverso nuovi siti di produzione, senza dipendere dall’esclusiva delle case farmaceutiche. C’è poi un’ulteriore questione etica: da Moderna a Pfizer, la ricerca e lo sviluppo dei vaccini è stata finanziata con 88 miliardi di contributi pubblici. Mentre i guadagni successivamente ottenuti da big pharma riguardano solo gli azionisti privati.

 

 

Perché no

Nobile l’intento, più complicata la realtà dei fatti. Il know-how nella catena di produzione di un vaccino non è un pacchetto di competenze immediatamente trasferibile – con potenziali ripercussioni sulla qualità. E ora le regole del Wto costringono già, in situazioni di emergenza, i produttori di farmaci a concedere in licenza i loro brevetti ai paesi a basso reddito. Inoltre ci sono le leggi di mercato: l’eccesso di domanda globale continua a spingere l’offerta delle aziende, che non hanno alcun interesse a rallentare la produzione. Così la retorica dei brevetti liberi rischia di scadere nel populismo: è stata la ricerca del profitto a spingere le grandi società farmaceutiche a investire miliardi in ricerca e a trovare vaccini efficaci. Interrompere la catena vorrebbe dire togliere incentivi a ulteriori investimenti e innovazione.

 

 

Quanti vaccini ha prodotto il sistema dei brevetti?

In un anno e tre mesi sono stati prodotti e distribuiti 1 miliardo e 300 milioni di dosi in tutto il mondo. Ad oggi sono stati autorizzati 10 vaccini – 280 invece quelli in fase di sviluppo –, con contratti siglati per circa 8 miliardi di dosi entro il solo 2021.

 

 

E adesso?

La sospensione dei brevetti è un processo legale che potrebbe richiedere mesi. Oggi l’India ha superato i 400mila contagi giornalieri sfiorando i 4.000 decessi. A prescindere dai giudizi di merito, è evidente che le tempistiche della pandemia non collimano con quelle della burocrazia. C’è invece il rebus Covax: il programma Oms-Gavi Alliance ha garantito 2 miliardi di dosi per il 2021 destinate ai paesi più vulnerabili in Asia, Africa e Sud America. Finora ha subito ritardi significativi, sia per oggettive difficoltà logistiche sia per la mancata esportazione di dosi da parte dei paesi produttori: la Cina ha devoluto circa il 40 per cento dei suoi vaccini; l’Unione europea il 36; il Regno Unito il 4; gli Stati Uniti l’1 per cento. Si capisce allora che per Biden aprire ai brevetti non sia un’opzione così radicale. Non quanto l’export, almeno. Ma non per questo più efficace.

 

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