Diplomazia e virus

Perché il disastro indiano è anche un problema di Biden

Il paese si trova nella peggiore crisi di contagi dall'inizio della pandemia. Dalla Cina la battaglia di propaganda sugli "alleati responsabili"

Giulia Pompili

Il piano vaccinale a rilento, le riaperture troppo affrettate. Adesso sono soprattutto le bombole d’ossigeno a mancare: nel giro di pochi giorni si è creato un mercato nero di bombole con prezzi raddoppiati, e le persone le cercano ovunque, soprattutto sui social network. Modi li censura

Trecentocinquantamila nuovi casi, più di duemila morti al giorno. L’India è diventata l’epicentro dei contagi da Covid, ed è forse la situazione più drammatica sin dall’inizio della pandemia un anno e mezzo fa. Le morti quotidiane sarebbero molte di più, nascoste nelle pieghe della burocrazia indiana, lo si capisce dalle migliaia di corpi in attesa di cremazione, dalle persone che vengono mandate via dagli ospedali al collasso, perfino a Delhi, nella capitale. Manca tutto: l’ossigeno, i tamponi, i posti letto. Sono soprattutto le bombole d’ossigeno a mancare: nel giro di pochi giorni si è creato un mercato nero di bombole con prezzi raddoppiati, le persone le cercano ovunque, soprattutto sui social network.

 


Online le notizie della catastrofe circolano, ed è anche per questo che ieri il ministro dell’Elettronica indiano ha fatto sapere di aver chiesto a Twitter, Facebook e Instagram di bloccare un centinaio di post sui contagi. Ufficialmente perché, secondo il governo centrale guidato dall’ultranazionalista indù  Narendra Modi, si tratta di “disinformazione che può creare panico nella società”. Ma alcuni di quei messaggi, pubblicati dai politici dell’opposizione, erano in realtà delle critiche alla gestione della pandemia da parte di Modi. 


Il leader populista, nel gennaio scorso, aveva detto davanti alla platea internazionale di Davos che l’India era “uno di quei pochi paesi che avevano salvato le vite dei propri cittadini”. La prima ondata, in effetti, aveva avuto il suo picco a settembre, con circa quindicimila contagi al giorno, ma l’emergenza era stata superata a fine gennaio. Tre mesi fa “la vita è tornata alla normalità”, ha scritto il Wall Street Journal domenica scorsa, “le mascherine sono state tolte, le regole di distanza sociale pure. Una nuova stagione di elezioni ha fatto partire le manifestazioni politiche in strada. Una enorme festività religiosa chiamata Kumbh Mela è stata autorizzata, portando milioni di pellegrini indù sulle rive del fiume Gange con un messaggio: non c’è bisogno di preoccuparsi del Covid. A metà marzo, i casi sono tornati a risalire”. Secondo gli scienziati i contagi in India in questa ondata sono molto più veloci e il virus più aggressivo, rafforzato dalla capacità di diffondersi. Nel frattempo, soltanto l’1,5 per cento dell’intera popolazione (un miliardo e trecento milioni di persone) è vaccinata. Per mesi la cosiddetta farmacia del mondo – l’India produce la maggior parte dei principi attivi della farmaceutica mondiale, ed è il più grande produttore di vaccini al mondo  – si è concentrata soprattutto nell’esportazione, un metodo per rafforzare la sua diplomazia: finora sono stati esportate 66 milioni di dosi di vaccino prodotte in India. 

 

 

La situazione è fuori controllo da giorni, aiuti all’India sono arrivati dai paesi asiatici più vicini (perfino dal Pakistan) e dall’Europa, ma soltanto ieri il presidente americano Joe Biden ha parlato al telefono con il primo ministro Modi e ha assicurato l’aiuto dell’America. Il problema è soprattutto nel blocco delle esportazioni statunitense, sia dei materiali grezzi per produrre i vaccini sia delle 60 milioni di dosi di vaccino AstraZeneca attualmente inutilizzate nei magazzini americani perché ancora in attesa di approvazione. Secondo il Nikkei, Washington avrebbe mobilitato uno “strike team” per aiutare l’India, autorizzando anche l’esportazione dei materiali che servono al Serum Institute of India per produrre il vaccino. Sulle dosi  pronte di AstraZeneca, Biden ha già detto che le distribuirà, ma non si sa ancorabene come e a chi.

 

La vicenda indiana è diventata una questione politica globale. Nei giorni scorsi il tabloid cinese in lingua inglese Global Times ha criticato l’America per non aver prestato soccorso all’India per tempo, nonostante il paese sia considerato un alleato strategico. A metà marzo Biden aveva lanciato la prima riunione del Quad, l’alleanza strategica tra America, India, Australia e Giappone, con il chiaro obiettivo di contenere la Cina. Delhi e Pechino sono ai ferri cortissimi, ed è anche per questo che adesso il governo di Pechino sta cavalcando l’emergenza indiana per criticare Washington. Ieri il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha detto di voler espandere l’esportazione dei vaccini cinesi in tutto il sud-est asiatico – cioè negli stessi paesi dove avrebbe dovuto operare il Quad – e di essere pronto ad aiutare nel programma di vaccinazioni anche il rivale indiano. L’ex ministro degli Esteri Kanwal Sibal ha detto ieri al South China Morning Post che “la Cina sta sottolineando il fatto che l’India è in ginocchio chiedendo aiuto per i contagi”, perché “c’è sempre un’agenda nascosta dietro all’impegno di Pechino in certe questioni. La Cina vuole far vedere all’India che l’America non è un partner affidabile”. 


Pubblicamente il governo di Delhi non vuole accettare l’aiuto cinese, neanche per l’importazione di quei componenti grezzi che servono alla produzione dei vaccini. Dall’altro lato, però, molte aziende private cinesi stanno inviando aiuti all’India: ossigeno, mascherine, test. Quando un paese è in crisi, la Cina vede un’opportunità.  

 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.