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editoriali

Non toccate quei brevetti

Redazione

La pandemia si sconfigge difendendo i profitti delle case farmaceutiche

I capigruppo 5 stelle hanno inviato ai partiti una lettera per sollecitare un appello a Mario Draghi:  dovrebbe promuovere nella Ue, nel Wto e nel G20 la “sospensione temporanea” dei brevetti delle case farmaceutiche sui vaccini anti Covid, mentre in Italia si chiede l’obbligo alla produzione anche senza consenso pur “dietro equo compenso”. Questo in nome del “diritto alla salute di tutti contro la logica del profitto di Big Pharma”.

 

 

L’iniziativa segue l’appello alla sospensione dei brevetti del Comitato italiano guidato da Vittorio Agnoletto, medico e attivista no global, e in Europa da No profit on Pandemic. Il tutto mentre Pfizer diffonde un bilancio record: 15 miliardi di dollari di ricavi nel primo trimestre 2021 (più 44 per cento) e oltre 70 attesi a fine anno, più 16. Ma è sensato metterla così? Per l’azienda simbolo americana la performance deriva dal vaccino solo per un terzo, a fronte di uno sforzo nella ricerca senza precedenti, come per le altre aziende alcune delle quali sono meno sicure del successo. I risultati vanno poi a finanziare produzioni incerte o in perdita come la medicina di base da un lato, le regole più stringenti delle autorità, e relative cause, su filiere come gli oppioidi e le sperimentazioni antitumorali.

 

Anthony Fauci, virologo “in chief” della Casa Bianca, afferma che la cancellazione dei brevetti potrebbe indurre le case a non impegnarsi contro una prossima eventuale pandemia, concentrandosi su medicinali non di massa e più redditizi. Joe Biden, che come gli altri leader mondiali ha comprato i vaccini con soldi pubblici, ha le stesse perplessità pur dovendo fronteggiare gli appelli di 100 congressisti e svariati governi. Inoltre regimi come Cina e Russia potrebbero imporre vaccini di stato come strumento di geopolitica. Un ragionevole compromesso starebbe nell’impegno dell’occidente a rifornire aree povere e ad alto rischio come India e Sudafrica. Diversamente non sarebbe molto differente, equiparando il diritto all’istruzione a quello alla salute, costringere autori ed editori a pubblicare gratis.