Foto Mauro Scrobogna /LaPresse

Cattivi scienziati

Vaccini, cosa vuol dire protezione al 90 per cento

Enrico Bucci

Positivi dopo il vaccino: a volte succede. Non abbassare la guardia e leggere i numeri

Il 14 marzo, più di un mese dopo aver ricevuto la seconda dose di un vaccino Covid-19, il 55enne Rajinder Verma è risultato positivo alla malattia. Due giorni prima, Verma aveva sviluppato la febbre, un leggero raffreddore e la tosse. “Non sono più così giovane, quindi pensavo di essere solo esausto e di aver sviluppato un raffreddore a causa del cambio di stagione”, ha detto. In qualità di membro del personale di un’istituzione sanitaria, Verma era stato vaccinato con la sua prima dose il 16 gennaio e la seconda dose di richiamo il 13 febbraio. “Mai avrei immaginato che sarei risultato positivo”, ha detto. “Non dopo quel vaccino di sicuro. Nessuno ci ha nemmeno detto che è possibile risultare positivi dopo essere stati vaccinati”.

 

Questa storia si è svolta in India, quindi si potrebbe pensare che i vaccini adoperati in quel paese siano meno efficaci; in realtà, tuttavia, l’India utilizza per esempio su larga scala anche la versione locale del vaccino Astra Zeneca. Inoltre, e questo è il punto cruciale, casi simili stanno affiorando ovunque – anche nel nostro paese. Cosa sta succedendo? I vaccini non funzionano? In realtà, ciò di cui non ci si rende conto è innanzitutto che le alte percentuali di protezione di cui si discute quotidianamente si riferiscono alla protezione dalle forme sintomatiche della malattia, e particolarmente da quelle cliniche. La protezione dalla reinfezione, in genere, è verificata su una percentuale più bassa – anche se sufficiente ad abbattere nella popolazione la circolazione virale, agendo in modo significativo sul famoso Rt. Il secondo punto, da non sottovalutare, è che sviluppare un’immunità che garantisca la protezione ottenuta nei trial clinici richiede un tempo non trascurabile e due dosi del vaccino; molti, invece, non mantengono una cautela adeguata dopo la prima dose, esponendosi al rischio di infezione in misura maggiore.

 

Infine arriviamo al punto più importante di tutti, quello che si fa più fatica a comprendere, e che quindi bisogna continuamente spiegare daccapo. Il numero di casi che si sviluppano in una popolazione di vaccinati con un vaccino che, poniamo, protegge al 90 per cento, non è uguale al 10 per cento dei vaccinati, ma al 10 per cento dei casi che si sviluppano in un gruppo di eguale dimensione, non vaccinato. Se un virus circola molto, e poniamo che quindi si verifichino 1.000 casi nel gruppo dei non vaccinati, se ne troveranno 100 fra i vaccinati (ricordiamo, a parità di dimensione dei gruppi paragonati). Se invece circola poco, e per esempio si verificano solo 10 casi tra i non vaccinati, allora tra i vaccinati si osserverà un caso.

 

Questo ha una conseguenza importante sulla percezione dei casi di infezione tra i vaccinati: poiché nel nostro paese la circolazione virale è molto diversa da regione a regione, si avranno, per ogni 100 vaccinati, un numero di infezioni molto diverse poniamo in zone a circolazione virale diverse. In Lombardia o in Piemonte, ad esempio, e specialmente nei luoghi di quelle regioni in cui vi è più alta pressione epidemica, si osserveranno ogni 100 vaccinati un numero molto maggiore di infezioni che, poniamo, in Sardegna, dove il virus circola molto di meno. Questo porterà a sospettare di lotti scadenti in certi luoghi, di incidenti vari, di comportamenti sbagliati; ma prima di prendere in considerazione anomalie di questo tipo, sarà bene fare due semplici conti, paragonando la distribuzione dei casi tra vaccinati e non vaccinati, non il numero dei casi tra i vaccinati nei diversi posti considerati; così, forse, scopriremo l’ennesimo bias percettivo dei nostri cervelli paleolitici, per dirla con le parole del mio amico psicologo Luca Pezzullo.

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