Foto di Mikhail Metzel, Sputnik, Kremlin Pool Photo via AP, via LaPresse 

l'intervista

Cosa succede se Putin perde gli amici dell'Asia centrale

Davide Cancarini

Temur Umarov, osservatore internazionale, sostiene che prima di tutto si dovrà monitorare il Kazakistan, in rottura con la Russia. Ma anche l'Uzbekistan e il Tagikistan potrebbero diventare attori della marginalizzazione del presidente russo

Nella migliore tradizione dell’eterogenesi dei fini, quando il presidente russo Vladimir Putin ha ordinato l’invasione dell’Ucraina non si aspettava certo che tra le conseguenze vi sarebbe stata la perdita di un alleato di ferro appartenente a tutt’altra regione come il Kazakistan. Una ricaduta che ha sorpreso anche molti osservatori internazionali, tra cui Temur Umarov, Fellow al Carnegie Endowment for International Peace, che il Foglio ha sentito per un confronto sulla nuova realtà geopolitica centro asiatica.

 

“Senza dubbio il cambiamento nell’atteggiamento in politica estera del Kazakistan è arrivato pressoché inatteso. La situazione attuale rappresenta un nuovo capitolo nella relazione tra la Russia e la regione e il Kazakistan in particolare”, ha commentato il ricercatore. D’altronde è sempre più evidente come il leader kazako Qasym-Jomart Tokaev non consideri più la Russia un partner affidabile e stia cercando di diversificare le proprie relazioni, in direzione della Cina e di altri potenziali partner economici e politici. “Rimane ovviamente una parte formale di relazione, ma quella più strettamente di partnership tra Mosca e Astana è stata ormai messa in secondo piano, per esplicita volontà della parte kazaka”, continua Umarov, che aggiunge, “d’altro canto la perdita di influenza della Russia nella regione non è iniziata con l’invasione dell’Ucraina, ma data almeno dalla fine dell’Unione sovietica, un trend che il Cremlino non ha mai realmente cercato di invertire. E ora è troppo tardi, anche se Mosca rimane un attore importante nell’area”.

 

Anche per ragioni di propaganda interna, Putin non può però certo abbassare la testa senza perlomeno tentare di mantenere uno status di grande potenza in Asia Centrale. Una sensazione confermata da Umarov: “dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, il presidente russo ha frequentato la regione con una continuità mai riscontrata in passato, visitando tutte le repubbliche dell’area con l’eccezione del Kirghizistan”. Una frenesia messa in campo avendo in testa un obiettivo minimo, ossia cercare perlomeno di mantenere lo status quo attuale. 

 

Il tentativo del Kazakistan di rimanere il più possibile neutrale rispetto alla situazione ucraina per evitare di essere associato alla Russia, trova meno riscontri nella strategia dell’altro gigante regionale, l’Uzbekistan. “Tashkent ha puntato molto sui rapporti con Mosca, anche per il legame tra il leader uzbeko Shavkat  Mirziyoyev e oligarchi come Alisher Usmanov, diventato nel corso del tempo molto influente nel paese”, sottolinea il ricercatore, notando anche che “prima dell’invasione, l’Uzbekistan era per esempio pronto a diventare membro dell’Unione economica eurasiatica, un progetto al momento accantonato. Difficile dire come si comporterà in futuro il paese, perché nella nomenklatura si riscontrano posizioni differenti e non è al momento possibile dire quale prevarrà”.

 

Umarov concorda poi con l’idea che il colpo di teatro orchestrato dal leader tagiko Emomali Rahmon – che durante il recente summit di Astana ha attaccato con enfasi Putin criticando la sua politica regionale – sia stato legato alla volontà di alzare la posta e far pesare il proprio ruolo di alleato per ottenere maggiore attenzione da Mosca in termini di investimenti ed equipaggiamento militare. Arrivando alla domanda che più sta agitando gli osservatori e le più attente cancellerie internazionali, ossia quale attore potrebbe avvantaggiarsi dal declino relativo della Russia in Asia Centrale, Umarov crede che “nessun paese otterrà davvero dei benefici dalla situazione attuale” e che sia necessario prima di tutto guardare alla nuova realtà da una prospettiva centro asiatica, prima che internazionale.

 

“Le repubbliche della regione, perlomeno alcune, hanno capito sia che la loro integrità territoriale non è un dato di fatto sia che devono iniziare a ragionare in un’ottica di definitivo affrancamento da Mosca”. “Sarà importante continuare a monitorare innanzitutto il Kazakistan, in prima fila sul fronte dell’allontanamento dal Cremlino”, conclude il ricercatore.

Di più su questi argomenti: