l'esodo
Il Kazakistan accoglie i cittadini in fuga dalla guerra di Putin
Tokayev sta registrando il maggior numero di arrivi dalla Russia: dal 21 settembre circa centomila persone della Federazione sono scappate ad Astana. È una questione umanitaria, dicono nel paese
Milano. Dopo essersi ridotto a seguito del boom iniziato subito dopo il 24 febbraio, il flusso di cittadini russi in fuga verso l’Asia centrale ha ripreso vigore a partire dallo scorso 21 settembre. L’annuncio della mobilitazione “parziale” ordinata da Putin per continuare ad alimentare di uomini l’invasione dell’Ucraina ha infatti spinto decine di migliaia di persone ad abbandonare la Federazione. Molti russi hanno deciso di dirigersi verso sud, raggiungendo le repubbliche centro asiatiche, con ricadute sociali e potenzialmente politiche sulle fragili realtà locali difficilmente prevedibili. Il Kazakistan è il paese che sta registrando il maggior numero di arrivi dalla Russia. A pesare in tal senso è sia la vicinanza geografica al paese, sia il fatto che il Kazakistan fa parte dell’Unione economica eurasiatica, appartenenza che rende possibile per i cittadini russi entrare sul territorio kazaco senza necessità di un visto. I numeri comunicati dal ministero dell’Interno di Astana confermano il trend: dal 21 settembre circa centomila cittadini della Federazione sono entrati nel paese, con un flusso in uscita, probabilmente verso Uzbekistan e Kirghizistan, di quasi 65 mila persone.
Una situazione che sta mettendo in difficoltà le infrastrutture locali, al punto che un cinema della città di Uralsk (vicina al confine con la Russia) ha deciso di offrire riparo per la notte nelle proprie sale a chi non ha un alloggio. L’impatto più forte al momento sembra essere quello sul settore immobiliare: da alcune indagini preliminari emerge infatti come il costo per affittare un appartamento stia salendo in media tra il 15 e il 35 per cento nelle aree più vicine al confine, con un parallelo aumento dei costi per gli alloggi alberghieri. I due principali centri del paese, Astana e Almaty, sembrano per ora meno interessati dal fenomeno, ma non è detto che la situazione non cambi rapidamente anche lì. A rimarcare ancora una volta la crescente distanza con il Cremlino, il presidente kazaco Tokayev nei giorni scorsi ha sottolineato la volontà del suo governo di assistere con ogni mezzo i cittadini russi in fuga da “una condizione disperata”, e di voler dialogare con la Russia per affrontare il problema. Nel suo ultimo discorso ha anche definito il conflitto in Ucraina una “guerra su larga scala” e ribadito ancora una volta l’importanza di salvaguardare l’integrità nazionale del Kazakistan: “Si tratta di una questione politica e umanitaria”.
Quella sugli alloggi è una pressione che sta interessando anche il Kirghizistan, la più povera delle cinque repubbliche regionali e quindi la più fragile a sollecitazioni di questo tipo. Dalla capitale nazionale, Bishkek, stanno arrivando numerose testimonianze di inquilini sfrattati da proprietari di casa attratti dalla possibilità di affittare i propri immobili ai russi giunti del paese al doppio del prezzo solitamente richiesto. La migrazione dalla Russia sta causando grattacapi anche in Tagikistan, paese protagonista nelle ultime settimane di duri scontri proprio con il confinante Kirghizistan e il cui leader, Rahmon, ha mostrato di non voler allontanarsi di un passo dall’alleato Putin. Nei giorni scorsi, il principale istituto di credito del paese ha fatto sapere di non accettare più carte di credito russe del circuito di pagamento Mir, una decisione presa poco prima anche dall’Uzbekistan e dal Kazakistan. Ragione ufficiale, malfunzionamenti tecnici. In realtà, l’arrivo di centinaia di cittadini russi sta causando problemi di liquidità. Se la situazione sul terreno è potenzialmente esplosiva, i dati appena pubblicati dalla Banca europea per la Ricostruzione e lo sviluppo (Bers) mostrano una regione, quello centro asiatica, più resiliente di quanto si potrebbe pensare. Nonostante le turbolenze geopolitiche, infatti, l’istituto prevede una crescita complessiva del pil delle repubbliche dell’area pari al 4,3 per cento nel 2022 e al 4,9 per cento nel 2023, grazie soprattutto agli alti prezzi delle materie prime e al ritorno delle rimesse inviate dalla Russia dai lavoratori migranti verso la regione. Il fronte economico sembra quindi in miglioramento, ma avanzare una previsione sul fronte (geo)politico e sociale è molto meno semplice.
l'editoriale dell'elefantino