Disallineati a Samarcanda

Cina e Russia invitano tutti in Uzbekistan per il vertice della Shanghai Cooperation Organization, che vorrebbe essere l'alternativa a G20 e Nato. Una mappa dei paesi, dall'Egitto all'Iran, in cerca di un posto e di qualche scambio

Giulia Pompili

“Contenere l’America” era lo slogan del patto russo-cinese tra Eltsin e Jiang. Non è cambiato granché

Quando nel 1996  Boris Eltsin arrivò a Shanghai, era la prima volta che un leader russo visitava la città  dal 1989. L’ultima volta c’era stato Mikhail Gorbaciov, il padre della Perestroika, considerato dai cinesi anche il padre del fallimento dell’Unione sovietica. Ma in sette anni le relazioni tra Mosca e Pechino erano di nuovo cambiate. Alla leadership del Partito comunista cinese, e quindi alla presidenza del paese asiatico, era arrivato Jiang Zemin, che ai tempi di Gorbaciov era soltanto il capo locale di partito.  Eltsin restò impressionato dallo sviluppo di Shanghai, e il Summit che aveva organizzato per lui Jiang Zemin serviva soprattutto a ricostruire i rapporti tra Russia e Cina in chiave antioccidentale. Già allora si parlava di un “nuovo ordine mondiale”. In quei giorni di fine aprile del 1996, a Shanghai, i capi di stato di Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan firmarono, insieme con i leader di Russia e Cina, un trattato di sicurezza da applicare ai rispettivi confini, e soprattutto una nuova piattaforma di dialogo e partnership da far riunire periodicamente. Era nato lo Shanghai Five, che poi, cinque anni dopo, si sarebbe trasformato nella Shanghai Cooperation Organization, la Sco, che oggi è la più grande organizzazione regionale per copertura geografica e popolazione coinvolta. 
Esattamente un anno dopo la fondazione degli Shanghai Five, il presidente Jiang Zemin volò a Mosca, e la relazione personale con Eltsin si rafforzò ancora di più.  Eltsin apprezzava il fatto che Jiang parlasse russo – aveva lavorato a lungo negli anni Cinquanta come ingegnere nell’industria automobilistica sovietica –  e i due erano pure uniti (lo disse esplicitamente Jiang, una volta) dall’amore per i nipoti. E quindi nell’aprile del 1997, venticinque anni fa, alla prima giornata di un viaggio che sarebbe durato cinque giorni, Russia e Cina pubblicarono la prima “Dichiarazione congiunta sul mondo multipolare e l’istituzione di un nuovo ordine internazionale”.  Per capire il summit della  Shanghai Cooperation Organization che si terrà domani a Samarcanda, in Uzbekistan, bisogna partire da lì. Dal 1997, l’anno in cui la Nato inizia a parlare con i paesi del gruppo di Visegrád, l’anno in cui l’Ungheria decide di tenere un referendum su un eventuale ingresso di Budapest nel Patto atlantico: il ricordo dei carri armati sovietici nel centro città era ancora molto vivo, ma a far paura era stata soprattutto – guarda caso – un’altra guerra russa,  la Prima guerra cecena. Al referendum ungherese vinse  per l’83,5 per cento il sì all’ingresso e Ungheria, Repubblica ceca e Polonia entreranno ufficialmente nella Nato due anni dopo. Il 1997 è pure l’anno del pensiero magico di Vladimir Putin, che qualche mese fa, prima della guerra in Ucraina, voleva che la Nato tornasse allo spirito del ’97, prima che la paura della sua belligeranza spingesse altri paesi a voler aderire al Patto atlantico. “Contenere l’America” era lo slogan del patto russo-cinese tra  Eltsin e Jiang, l’ordine mondiale alternativo a guida russo-cinese è all’ordine del giorno del Summit Sco di domani – al quale parteciperanno in presenza sia Vladimir Putin sia Xi Jinping, al suo primo viaggio all’estero dall’inizio della pandemia. 

Kazakistan
E’ il paese dove farà tappa Xi Jinping prima di volare a Samarcanda. E’ una visita significativa – è dalla capitale kazaka che Xi lanciò il grande progetto della Via della Seta – e piena di risvolti anche per la Sco di domani. Perché il presidente Tokayev è chiamato “il cinese”, e sin dalle proteste (sedate dai russi) del gennaio 2022, il Kazakistan si trova in una posizione scomoda: ha rifiutato di appoggiare la guerra di Putin in Ucraina, e quando la Russia per rappresaglia ha provato a bloccare il passaggio del petrolio kazako destinato all’export, è intervenuta la Cina. 

India 
A Samarcanda, domani, ci sarà pure il primo ministro Narendra Modi. Se ne parla da decenni, ma è forse arrivato davvero il momento della centralità dell’India nelle relazioni internazionali: il prossimo anno sarà il paese che ospiterà sia la Sco sia il G20, trasformandosi nel non allineato dei non allineati. I giornali indiani nei giorni scorsi scrivevano: ecco perché abbiamo fatto bene a restare “strategicamente autonomi” sulla guerra in Ucraina. Perché giovedì scorso le truppe cinesi hanno iniziato a “disimpegnarsi in modo coordinato” dall’area di confine di Gogra-Hot Springs, cioè il “punto di pattugliamento 15”, una delle aree più pericolose del mondo per i rischi di una guerra. Gli ottimi rapporti di New Delhi con la Russia hanno permesso all’India di continuare ad acquistare materie prime a basso costo, e dopo una crisi diplomatica storica a riaprire un dialogo con Pechino. Il nuovo ordine mondiale multipolare piace parecchio a Modi. 

Pakistan
Il bilaterale fra Putin e Xi non è l’unico che tutti aspettano a Samarcanda. E’ probabile che Modi e il primo ministro pakistano Shehbaz Sharif si incontrino durante il vertice, e se si concretizzasse, sarebbe il primo incontro tra i due leader. Il Pakistan è ufficialmente membro effettivo del gruppo dei non allineati, difende Mosca alle Nazioni Unite e partecipa alle sue esercitazioni militari. Ma come spesso succede, la sua è una posizione ben più che ambigua. Nelle ultime settimane si parla sempre più spesso di pacchi di proiettili di artiglieria a lunga gittata prodotti dalle Pakistan Ordnance Factories e arrivati alle Forze di Difesa ucraine, e di un volo dell’Aeronautica del Regno Unito che per settimane, per due volte al giorno, ha fatto un ponte aereo con Cipro e Romania per prelevare forniture militari da una base aerea in Pakistan. 

Iran
“Non andare a New York, vai a Samarcanda”, titolava qualche settimana fa Javan, il quotidiano iraniano vicino ai pasdaran. Il messaggio era per il presidente Ebrahim Raisi: meglio disertare l’Assemblea generale dell’Onu che si apre questo mese e rivolgersi ai propri veri alleati anti imperialisti della Sco, dove l’Iran esordisce quest’anno come paese membro. Dopo il vertice di Teheran dello scorso luglio con russi e turchi – “Teheran è un ponte per la pace in Ucraina”, predicava la stampa iraniana – il regime degli ayatollah e Mosca sono sempre più partner strategici. Gli americani hanno assicurato che un eventuale deal sul nucleare non intaccherà gli scambi commerciali fra russi e iraniani ed è arrivato l’accordo per la vendita di droni iraniani ai russi, già impiegati in Ucraina. Anche le relazioni commerciali fra Iran e Cina sono sempre più forti. I due paesi hanno siglato un accordo di cooperazione lo scorso anno. Gli scambi commerciali quest’anno sono saliti a oltre 8 miliardi di dollari. Il petrolio iraniano poi non è mai costato così poco ai cinesi, al punto che Iran e Russia sono diventati competitor sul mercato di Pechino, dove vendono a sconto il proprio greggio. Effetti collaterali delle sanzioni.

Turchia
Il grande arbitro della guerra in Ucraina, paese Nato ma anche partner della Sco dal 2013, la Turchia vanta relazioni commerciali sempre più intense con la Russia. Le importazioni di petrolio russo sono raddoppiate quest’anno e negli ultimi quattro mesi il valore dei prodotti turchi esportati a Mosca è salito del 46 per cento. Dati che fanno dubitare le diplomazie occidentali della terzietà di Ankara. I commerci con la Cina hanno superato quelli con gli Stati Uniti (25 miliardi di dollari contro 21) e gli investimenti diretti cinesi hanno raggiunto i 3,5 miliardi di dollari. Una ventata di aria fresca per l’economia turca che attraversa una grave crisi economica e valutaria. 

Egitto
Entro la fine del mese, i turisti russi in visita in Egitto potranno pagare in rubli invece che in dollari. E’ una misura di grande importanza per il turismo del paese, che proprio nei russi vede la principale risorsa per il settore. L’altra partita sull’asse Cairo-Mosca si gioca sul fronte delle armi dove il valore degli scambi è sempre più in ascesa. Tanto che un recente (e controverso) report del Congresso degli Stati Uniti ha suggerito di chiudere un occhio sugli abusi del regime egiziano in tema di diritti umani in cambio di una riduzione degli accordi militari con la Russia. Dal lato delle relazioni con la Cina, i due paesi hanno avviato da tempo progetti di investimenti congiunti che fanno del Cairo uno degli snodi della Via della Seta cinese.  I presupposti per Pechino sono eccellenti: da otto anni, la Cina è il principale partner commerciale dell’Egitto con un interscambio che nel 2021 è salito a oltre 20 miliardi di dollari.

Afghanistan
Non è un paese membro, ha soltanto il ruolo di osservatore, ma l’Afghanistan è il nucleo attorno al quale la diplomazia asiatica si muove sin dalla costituzione della Sco, che aveva come obiettivo una risposta coordinata al terrorismo e al traffico di droga. Dopo il ritiro dell’America e il ritorno dei talebani nel paese, è soprattutto la Cina a essersi intestata un dialogo diretto con Kabul – o attraverso il suo alleato di ferro, il Pakistan. Il diplomatico cinese Zhang Ming, segretario generale della Sco, ha detto qualche giorno fa alla Cgtn che vari paesi membri hanno fornito assistenza all’Afghanistan, e che “sulla questione siamo tutti concordi e attendiamo con ansia che l’Afghanistan diventi un paese indipendente, pacifico, neutrale e democratico”. Secondo diversi analisti la guerra in Ucraina è stata una benedizione per i talebani, che hanno consolidato il potere e ricevuto attenzioni diplomatiche mentre l’occidente era distratto, ma non è ancora alla fase finale, quella del riconoscimento formale. Mentre Mosca non ha molti soldi da investire nell’area – soprattutto per mettere in sicurezza la crisi umanitaria e i confini afghani – è a Pechino che si rivolgono i talebani. 

Arabia Saudita e Qatar
Come l’Egitto, anche i due paesi del Golfo saranno invitati quest’anno come partner di dialogo. Al Forum economico di San Pietroburgo, un paio di mesi fa, il ministro saudita dell’Energia aveva detto che le relazioni tra il Regno e la Russia “sono calde come il clima di Riad”. Per l’Arabia Saudita la guerra in Ucraina e il dialogo Sco servono  come leva diplomatica antioccidentale, e naturalmente per tenere stabile il mercato del petrolio. Allo stesso tempo, mentre gli investimenti all’estero della Via della Seta cinese, nella prima metà del 2022, sono diminuiti dell’11,7 per cento, e in paesi come Egitto, Sri Lanka e Russia il flusso di soldi cinesi è precipitato, il principale beneficiario della Via della Seta è diventata l’Arabia Saudita. Il Qatar ha un approccio molto più vicino a quello indiano, e continua a parlare di neutralità: “Non vogliamo scegliere tra America e Cina”, ha detto in un’intervista a News Arabia il ministro degli Esteri di Doha una settimana fa: “Riforniamo sia l’Asia che l’Europa e non abbiamo dato priorità a uno rispetto all’altro. Ci atteniamo ai nostri contratti e vogliamo aiutare tutti i nostri amici”. 

(ha collaborato Luca Gambardella)
 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.