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Roma Capoccia

L'Ancien Regime in testa: ecco ritornate le antiche cappellerie romane

Roberto Carvelli

In questi giorni di alternanza tra il caldo e il freddo, nella capitale rispuntano i cappelli. "Stanno vivendo una nuova stagione di rinascita" ci dice maria dall'Antica Cappelleria dell’Urbe Lombardi. Voci dalle botteghe

L’inverno a Roma si annuncia tardivo e, peraltro, ostinatamente balbuziente nella linea freddo-caldo. A Gregorovius nelle sue Passeggiate per l’Italia non sfugge questo vantaggio climatico e ne coglie il lato attrattivo “Roma è durante l’inverno, un albergo di tutte le nazioni; i forestieri vi portano tutte le lingue e v’introducono tutte le letterature”. Eppure, esiste, soprattutto per i romani ben abituati a serie storiche miti salvo giubilei di neve, un ordinario vento di freddo pungente e di conseguenza la necessità di coprirsi anche tra gli ombrosi vicoli romani o nelle piazze larghe ed esposte. Ecco allora in questi giorni ritornare in auge l’Ancien Regime delle cappellerie romane che si dibattono tra il blasone della sigla “bottega storica” e l’olio di ricino della dimenticanza che i romani somministrano da sempre al loro passato più recente (a quello più antico lasciano il vantaggio pacificante della rovina). Prima che sia troppo caldo o purghe della dimenticanza, un possibile giro alla scoperta di alcune botteghe può partire da Porta Pia, a via Ancona per la precisione, e la Cappelleria Fulgor una bottega artigiana annunciata da un cappello con fiore e font anni 70 dove, oltre alla vendita, i cappelli venivano già dalla fondazione nel 1936 restaurati e tuttora, con strumenti artigianali in legno realizzati alla fine dell’800. Al banco c’è la Signora Lina Martin ma per anni i suoi genitori: il signor Dante, il cappellaio, e la signora Lidia, la guarnitrice.
 

Dopo la Fulgor prendiamo la rotta dell’Antica Cappelleria dell’Urbe Lombardi, a due passi dalla Basilica di Santa Maria Maggiore dal 1925 con intatti i suoi arredi inizio 900 compresi i camellotti, le forme che tengono i cappelli dal lato diritto, “al contrario si rovinerebbero le falde” mi spiega Maria, da trent’anni dietro al banco. La famiglia Lombardi vendeva cappelli già dal 1890, in realtà, in un locale che si trovava sotto i portici di piazza Vittorio, angolo con via dello Statuto.
 

Per Maria “dopo Peaky Blinders, il cappello sta vivendo una nuova stagione di rinascita. La marca in questo caso è spesso la Stetson. Chiaramente chi entra qui sa cosa vale e cosa no. Poi, certo, c’è chi inorridisce quando vede un Borsalino a trecento euro ma non sa che dietro c’è una lavorazione di sei settimane almeno di lavoro artigianale oltre alla materia prima di qualità superiore”. Mi spiega che “un marchio come il toscano di Montevarchi Panizza riesce a creare un rapporto qualità-prezzo invidiabile”. Ma se vuoi un cappello a poco prezzo forse è meglio continuare a comprarlo alla bancarella.
 

Se “il giro cappelli” deve finire – saltandone qualcuna come la storica cappelleria in via degli Scipioni o Velia a via Firenze dal 1922 –, la morte sua potrebbe essere Troncarelli in via della Cuccagna. Oggi al banco c’è Andrea Troncarelli, figlio di Fulvio che l’aveva rilanciata dal dopo guerra ai giorni nostri. Ricordi Andrea ne ha un bel po’: “certo io sono il figlio del figlio del figlio”. La genealogia – che qui segna il 1857 come data antesignana - in questi casi è spesso ingiusta perché, se qualcosa prosegue, è sempre merito, e non si dice, di chi viene dopo. “All’inizio, c’era – racconta l’ultimo Troncarelli “un negozio nell’allora piazza Montanara”. Per quanto riguarda la clientela illustre Troncarelli ne ha un bel po’ da dire da Jack Nicholson e Mick Jagger. “Da ragazzino – prosegue – ricordo che veniva spesso Fellini a comprare i suoi grandi borsalini a tese larghe”. Il mondo, sembrerebbero dirci questi negozi, non si ferma per una dimenticanza e riparte di slancio con un semplice ricordo.

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