Saffo sulla rupe di Leucate, di Miquel i Selva

Roma Capoccia

Ottanta poetesse per Cristina Campo, al Teatro Basilica

Andrea Venanzoni

Il prossimo 29 aprile cade il centenario della nascita di una autrice dimenticata, troppo raffinata e “imperdonabile” per lo sciocco chiacchiericcio dell’oggi. Un incontro e un volume ne riscoprono la bellezza di fiamma e di silenzio

“Inutile, del resto, implorare il silenzio degli sciocchi: è già ottenuto, quando si scrive in un modo che li tiene, come una lunga invisibile lancia, lontani”. In questa frase di Guido Ceronetti c’è il senso più vero del perché il mondo culturale e quello istituzionale abbiano preferito dimenticare per via la lezione della gioia e della bellezza di cui Cristina Campo, di cui ricorre il prossimo 29 aprile il centenario della nascita, e su cui avremo modo di tornare, fu massima e appartata Vestale. Troppo raffinata, cantrice d’infinito in bianca maglia d’ortiche, troppo imperdonabile per lo sciocco chiacchiericcio dell’oggi. Persi dietro chimere d’asfalto e di impegno sociale, già liquidato da Nicolás Gómez Dávila “impegno civile? Roba da prostitute”, gli intellettualini del contingente trascolorano nel senso ultimo della loro inconsistenza, mentre alcuni, alcuni che definiremo “amici postumi di Cristina Campo” , ricorrendo alla meravigliosa definizione già usata da Alessandro Spina, sanno trarre lezione dalla poetica della “filatrice d’inesprimibile”, nata Vittoria Guerrini, a Bologna, il 29 aprile del 1923 e vissuta a Firenze e, per larga parte della propria esistenza, a Roma.

 

Lunedì 17 aprile, alle ore 19, presso il Teatro Basilica, in piazza Porta San Giovanni 10, Claudia Della Seta, Sofia Diaz e Daniela Giovanetti colloquieranno su Cristina Campo, partendo dal volume: “Ottanta poetesse per Cristina Campo” (Magog, 2023), nell’ambito del ciclo di incontri curati da Fabrizia Sabbatini e Davide Brullo ‘Ho scelto l’oppio: storie di donne estreme”, che ha già visto figurare altre personalità incredibili come Marina Cvetaeva. L’incontro di lunedì 17 aprile reca un semplice ma doveroso titolo: “Per i 100 anni di Cristina Campo”. Nella sua laconica essenzialità, è gesto di liturgica riparazione per il silenzio, non claustrale ma indifferente, di istituzioni cittadine e culturali incapaci persino di apporre una targa, almeno per nettarsi la coscienza davanti lo scorrere tetro e volgare di una città impaludata e nel cui cuore, pure, Cristina Campo per quasi ventidue anni della sua purtroppo breve esistenza irradiò gioia e bellezza. Il volume, quindi.

 

Curato da Davide Brullo e Giorgio Anelli, uscito in questo centenario per i meritori tipi di Magog riprende l’originaria idea, germinata in seno alla Gherardo Casini editore nel 1953 e per cui Cristina Campo ebbe modo di redigere una scheda di lettura, una proposta editoriale, per compilare, con quella grazia celestina che sempre la contraddistinse e con devozione da anacoreta del deserto, un libro contenente i versi di ottanta poetesse. Una attenzione ellittica e sacrale per il divino femminile, e su cui pure cade voto di silenzio di tutto un mondo che, oggi e forse soprattutto oggi, si isterizza al sentir solo mera ipotesi di violazione delle quote rosa. E in verità, fece assai più Cristina Campo per le donne con il nitore di arabeschi e versi perfetti, per la sua attenzione levigata per parole cesellate, piuttosto che cento altre battaglie. Ma questa, come usa dirsi, è altra storia.

 

In quella antologia, poi non più realizzata, avrebbe trovato cittadinanza un cosmo in apparenza eterogeneo ma avvinto dal sacro fuoco di un lirismo intransigente e traboccante di grazia – frammenti poetici originanti dal Giappone medievale e noterelle e missive di dame del Settecento francese, santità e perdizione, versi della Grecia classica e dell’Italia rinascimentale. Di quel progetto rimase la lista, stilata dalla Campo, dentro cui vediamo figurare Simone Weil, Caterina da Siena, Jane Austin, Saffo, Anna Comnena, e i traduttori suoi amici (Traverso, Luzi, Gabriella Bemporad, Remo Fasani, Giorgio Orelli, Raissa Naldi) che radunò in vista della realizzazione del progetto che pur annunciato, come detto, non si concretizzò e che oggi Magog colma, tributando in questo centenario il dovuto omaggio a una poetessa che nel verso ‘due mondi – e io vengo dall’altro’ (tratti dallo struggente “Diario Bizantino”) espresse la verità di una bellezza nutrita di fiamma e silenzio.

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