Alessio D'Amato, assessore alla Sanità del Lazio (LaPresse)

Roma Capoccia

Boom boom D'Amato, l'assessore che ogni tanto la spara grossa

Simone Canettieri

L’ultima: le cure a pagamento per No vax, poi la retromarcia. “La mia era una provocazione". Vizi e virtù del campione del sistema Lazio

Quando l’Italia si è accorta di lui, sembrava un Gallera che ce l’aveva fatta. In Lombardia il suo omologo sparava gaffe e petardi fino a farsi dimissionare, mentre lui no. Era il fulgido esempio di un assessore regionale alla Sanità de sinistra che in piena pandemia parlava poco e non sbagliava un colpo. Pugno duro (il sinistro, in quanto è un ex comunista), poche chiacchiere con i giornali e regia minuziosa di una macchina anti-Covid che funzionava (e funziona) alla meraviglia. Poi, però, Alessio D’Amato, tra un’ondata e l’altra, a furia di voler essere davanti a tutti sta arrivando alla meta - l’immunità di gregge nel Lazio – affaticato. Un po’ stanchino. 

 

Martedì ha rilasciato al Messaggero un’intervista esplosiva: “I no vax che contraggono il Covid e finiscono nelle terapie intensive degli ospedali del Lazio dovranno pagare i ricoveri”. Una bomba. Al punto che la giornalista del quotidiano romano gli aveva chiesto davanti a una simile affermazione: scusi, assessore, ma è una provocazione? Risposta: “No, ci stiamo lavorando”. Parole che hanno scatenato un dibattito sul servizio sanitario nazionale, squarciando un velo anche fuori dall’Italia. Poi però ieri mattina l’assessore D’Amato ha dovuto smentire l’incontenibile quasi leader D’Amato: “La mia era una provocazione – ha detto l’assessore a Rai Radio 1 - che intende far riflettere sui costi sociali ed economici che noi dobbiamo sostenere. Il problema è il virus, il vaccino la soluzione. Conti alla mano, un giorno in terapia intensiva nel Lazio costa 1.500 euro circa”. Giustissimo, ma perché allora inoltrarsi fra i pendii scoscesi della boutade giornaliere dove sono caduti  prima di lui fior di virologi, esperti e pseudo santoni? 

 

L’assessore – che bazzicò Rifondazione e i Comunisti italiani e che ora sogna di succedere a Nicola Zingaretti alla guida della regione Lazio – negli ultimi mesi è stato un mattatore assoluto. Una certezza. Un titolo vivente per i quotidiani alla ricerca della notizia forte in piena estate. D’Amato ha fatto una battaglia solitaria (smentita dall’Ema) per portare il vaccino  Sputnik in Italia. Poi ha lanciato gli open day Astrazeneca per i ragazzi, salvo trovarsi a dover gestire, praticamente, lo stop al vaccino fortemente sconsigliato per gli under sessanta. L’assessore ha polemizzato, senza timor di pennacchio, con il generale Francesco Figliuolo sulle dosi fantasma attribuite al Lazio, ma mai arrivate. E poi, mai domo, se l’è presa con il numero uno della Figc per la festa degli Europei a Roma parlando di “effetto Gravina” sul boom di nuovi contagiati

 

E più D’Amato parlava e più rilasciava interviste e più diventava come quegli oracoli a cui tutto si può chiedere: “Certo, questa la so. Io farei così”.  La gioia di tutti i cronisti.
A ferragosto c’è il rave nelle campagne Viterbese? “Semplice: vanno usati idranti e Canadair”, interviene D’Amato, nelle vesti di responsabile della Protezione civile, prendendo in contropiede anche i leghisti più duri. Poi siccome ha una proiezione nazionale, ma è schierato a sinistra nel frattempo, l’assessore polemizza con Giorgia Meloni e Matteo Salvini. Puntuale, sempre. Colpo su colpo. Una sicurezza che è figlia dei risultati ineccepibili raggiunti: il Lazio è la regione regina nelle vaccinazioni, è davanti a tutti. E quindi incasso e sparo: boom! D’Amato si muove in totale autonomia, ma gode della stima del suo presidente, Nicola Zingaretti, cauto per natura. Il governatore lo lascia parlare e mai lo censura, né lo corregge. Anche perché a fare le retromarce ci pensa da solo, D’Amato. Come la storia delle cure a pagamento per i no vax.  Un eccesso di generosità, un sintomo di stanchezza dopo una lunga corsa per mettere in sicurezza il Lazio. O forse la voglia di prenotarsi già la candidatura a governatore, quando speriamo il Covid sarà solo un brutto ricordo. Sparate comprese.

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.