Torre Maura blues

La rivolta popolare, le polemiche sull’odio razziale e un sindaco che brancola (altro che piano Rom)

Marianna Rizzini

Roma. Il pane destinato alla cena dei rom calpestato al grido di “zingari dovete morire di fame” e lasciato sull’asfalto, le fiamme appiccate ai cassonetti, un camper distrutto, un presidio lungo una notte e un giorno: a Torre Maura, periferia est, è andata in scena la rivolta degli abitanti del quartiere (con alcuni esponenti delle organizzazioni di estrema destra, Forza Nuova e CasaPound) contro il trasferimento nella zona di settantasette rom (di cui 33 minori), prima residenti in un vicino centro di accoglienza (ora chiuso) e poi spostati nell’ex clinica nei pressi di via dei Codirossoni, sotto la gestione di una cooperativa che ha vinto un bando europeo lanciato dal Comune.

 

Per una beffa del destino, la rivolta di Torre Maura avviene a una settimana dall’incontro tra Virginia Raggi e Papa Francesco, quello in cui, sotto lo sguardo concorde del sindaco, il Pontefice aveva definito Roma “faro di civiltà e maestra di accoglienza”. Tempo cinque giorni, “l’accoglienza” evocata lascia il posto ad altre parole: emergenza sociale, intolleranza, esasperazione, rabbia (intanto la Procura ha aperto un fascicolo di indagine, ipotizzando i reati di danneggiamento e minacce aggravate dall’odio razziale). E mentre il ministro dell’Interno Matteo Salvini, con cui Virginia Raggi a lungo ha duettato in tema di sicurezza (vedi ruspe per i Casamonica), dice “basta sprecare soldi per chi non fa niente, l’obiettivo è campi rom zero”, il sindaco – che di fatto ha assecondato il volere dei residenti e degli esponenti della destra in rivolta, annunciando il ricollocamento dei rom in altre strutture entro sette giorni – assicura che non ci saranno “cedimenti all’odio… sono intervenuta per tutelare vite umane”, attaccata dal centrosinistra (il Pd romano chiede le sue dimissioni) e dalla destra (Giorgia Meloni, da Fratelli d’Italia, la schernisce: “Ma non era il sindaco delle periferie?”).

 

Al di là delle dichiarazioni, l’impressione (non rassicurante), è quella di un sindaco ostaggio di pulsioni contrapposte e delle tensioni conseguenti; un sindaco che ha inseguito Salvini sulla “law and order” ma strizzando l’occhio al solidarismo e procedendo in un giorno-per-giorno che rende la città sempre più povera nella logistica, nell’animo e nella cultura (dice il deputato di + Europa Riccardo Magi, radicale, ex consigliere comunale: “I fatti di Torre Maura sono frutto di scelte politiche fallimentari, basta con la politica dei ghetti”). E si può certo tirare a campare, fino a quando la piazza non prende il sopravvento e non si reagisce accontentandola, dando l’idea di essere molto, ma molto indietro lungo la strada dell’attuazione del promesso “piano Rom”, definito da Beppe Grillo, altra beffa del destino, “un capolavoro da applausi”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.