"La piaga di Roma è la sua classe dirigente", dice Alda Fendi
La cultura, la bellezza, i restauri e il ruolo delle grandi famiglie in città: “Non si può soltanto prendere”
Roma. “Gli imprenditori che con Roma si sono arricchiti – e penso soprattutto a quelli nel ramo dell’edilizia – dovrebbero restituire qualcosa alla città. E invece non lo fanno, prendono e basta. Ce ne fosse mai stato uno che abbia sovvenzionato un museo, uno spazio espositivo o finanziato un restauro. Cosa che invece fanno, a Roma, gli imprenditori stranieri. Poi, certo, le lungaggini e le difficoltà burocratiche scoraggiano molto…”.
Alda Fendi è la più giovane delle cinque sorelle che hanno fatto la storia della moda italiana. Dopo la vendita della maison a Lvmh nel 2001, Alda ha deciso di buttarsi anima e corpo in quello che l’appassiona di più: il mondo dell’arte. Così è nata la Fondazione Alda Fendi Esperimenti che, nel corso degli anni, ha realizzato spettacoli teatrali ed eventi culturali che hanno coinvolto, gratuitamente, migliaia di romani. Ultima sua creatura è Palazzo Rhinoceros: luogo d’arte e di ristoro con appartamenti nel cuore della Capitale sul modello del “Passages” di Parigi. Qui fino al 10 marzo si potrà ammirare L’Adolescente di Michelangelo, prestato dall’Hermitage di San Pietroburgo. Con il restauro del palazzo ad opera di Jean Noveau e le luci di Vittorio Storaro a illuminare l’Arco di Giano, si è data nuova vita a un angolo del centro di Roma completamente dimenticato.
Ma torniamo ai privati. “A volte le persone mi guardano come fossi pazza. ‘Ma chi te lo fa fare?’, mi dicono. Fare mecenatismo in Italia, e a Roma, è sempre più difficile. Ci vuole coraggio, altruismo, tempo e umiltà. E poi c’è lo Stato che ogni anno taglia i fondi per la cultura. Ma proprio per questo, perché non si può fare affidamento sulla politica, che sono i privati a doversi rimboccare le maniche, specialmente quelli che devono il proprio successo a questa città. Invece mi sembra sempre di essere sola a combattere in nome della cultura. Ma è proprio sull’arte che Roma deve puntare. Su cos’altro se no?”, dice.
Alda Fendi ama Roma di un amore assoluto, incondizionato. “Io la difendo sempre, mi piace anche con i suoi difetti, le buche e tutto il resto. Il degrado ora ha raggiunto livelli di guardia, Roma però sa risorgere sempre: è come una nobildonna decaduta, ma pur sempre nobile. Ed è una città cui tutto il mondo guarda. I migliori designer e architetti smaniano per venire a lavorare qui. Tutti vorrebbero lasciare il loro segno in questo luogo magico. E invece si arranca. E lo sa perché? Perché spesso sono i romani stessi, a partire dalla sua classe dirigente, a non amare la città e a non capirne l’immenso valore. Forse pensano di amministrare un’anonima città di provincia e non la Capitale che tutto il mondo ci invidia”.
Alda Fendi è abituata al bello. Ogni sua casa, da quella di Capalbio a quella di Palmarola, fino a Parigi, è concepita come un’installazione artistica. Quella romana, con un affaccio mozzafiato sul Lungotevere, nella sua essenzialità riempita di luce, ospita opere di Janis Kounellis e David Gerstein. “Quando devo presentare qualche mio progetto in città l’interlocuzione migliore è con la Soprintendenza, non con la Regione o il Campidoglio. Il livello degli amministratori cittadini è sempre piuttosto basso: non hanno idee e nemmeno il senso dell’eleganza. Promettono molto e mantengono poco. Compreso Walter Veltroni, che sulla cultura ci puntava. Trovo la sindaca Virginia Raggi una persona interessata e curiosa, ma finisce lì: la sensazione è che si sia trovata in un ruolo molto più grande di lei, non alla sua portata. Manca una visione. Dove si vuole portare la città nei prossimi 20 anni? Anche se poi governare Roma è complicato per tutti”, osserva Alda Fendi.
Ecco, appunto, su cosa puntare per il futuro? “Su arte e cultura, perché quello che avviene qui ha un immediato rimbalzo internazionale. Solo se la città riesce a essere una vetrina culturale di alto livello si riusciranno ad attrarre capitali e investimenti con cui fare molte cose. Ma per questo bisogna mettere le persone giuste nei posti chiave. Le competenze sono importanti. Certo, se poi all’Unesco si manda Lino Banfi… Ma come si fa?”. E poi? “Bisogna investire sui giovani, che sono un patrimonio incredibile. Sono preparati, hanno voglia di fare e potrebbero essere la nostra marcia in più. E invece li si chiude un ghetto o li si lascia emigrare dove possono esprimersi e realizzarsi: a Milano, Londra, New York…”.
Da pochi giorni si sono concluse le sfilate di alta moda, quest’anno ospitate in una nuova location: il Bus District di Prati, una vecchia rimessa degli autobus reinventata come spazio post industriale. “Ogni tanto in città si accende una luce. Per un paio d’anni il Guido Reni District è stato un motore di aggregazione. Poi, però, la luce si spegne. Invece bisogna continuare: il riutilizzo di questi spazi può diventare una nuova spina dorsale dell’universo culturale, dal centro alla periferia”, sostiene Alda Fendi. Poi bisogna vedere quali sono le proposte. “Spesso a Roma – dal teatro alle mostre – l’offerta è mediocre, scontata. L’arte, invece, deve essere sempre anticonvenzionale e innovativa. Per questo motivo, con la Fondazione, ora siamo alla ricerca di artisti provenienti dai Paesi in guerra, come la Siria. È dai luoghi dove c’è sofferenza che adesso, a livello artistico, arrivano le cose più interessanti”.
Roma Capoccia - Odo romani far festa