Virginia Raggi (foto LaPresse)

Le nuove regole capitoline sul commercio sono criminogene

Luciano Capone

l regolamento della Raggi non è soltanto illiberale (e comico) ma fa pure aumentare l’arbitrio della burocrazia

Roma. Nelle condizioni in cui si trova la Capitale, il decoro urbano è davvero un’emergenza. Per questo ci si aspetterebbe che l’amministrazione comunale si occupasse sul serio delle buche stradali che producono danni, incidenti e anche vittime, della pulizia delle strade ricolme di rifiuti e dei parchi completamente abbandonanti (basta farsi un giro a Colle Oppio, una piazza di spaccio a due passi dal Colosseo), della potatura degli alberi che precipitano su auto e persone, degli autobus che si infiammano ed esplodono, degli animali – siano essi gabbiani, topi o cinghiali – che invadono la città. E invece no. Il problema sono le sale biliardo e chi vende arancini (o arancine) e patatine fritte. Che da questo momento saranno banditi dal centro. Perché secondo la giunta Raggi nella Città storica la “pressione antropica tale da compromettere la sostenibilità ambientale del territorio” sarebbe aumentata proprio per l’elevata presenza di alcune tipologie di attività commerciali. E’ come se i turisti affluissero da tutti i continenti nel centro storico non per visitare la “Città eterna” e le sue bellezze uniche al mondo, ma per mangiare i supplì. E per questo è stato appena approvato il “Regolamento per l’esercizio delle attività commerciali ed artigianali nel territorio della Città Storica”, che avrebbe lo scopo di ridurre la “pressione antropica” stabilisce in maniera minuziosa cosa è permesso e cosa è proibito. Ad esempio sono vietati: Depositi e magazzini non funzionalmente collegati con esercizi al dettaglio esistenti in zona, sale per videogiochi e biliardi, autofficine, discount, compro oro, “centri massaggi che non siano abbinati ad attività di estetica”, “laboratori che effettuino in via esclusiva o prevalente la preparazione e vendita di alimenti caratterizzati dalla cottura finale mediante friggitrice” (quindi niente patatine fritte e arancini) e, per finire, qualunque cosa significhi, “vendita di qualsiasi tipologia di oggetto che raffiguri immagini contrarie alla pubblica decenza ed al decoro”. Sono invece tutelate erboristerie, ciclofficine, “vendita di prodotti provvisti esclusivamente del marchio di certificazione di commercio equo e solidale”, “vendita di prodotti ecologici e biologici”. Naturalmente molte di queste cose entrano in conflitto: che succede se il supplì “caratterizzato dalla cottura finale mediante friggitrice” è un “prodotto biologico”? E se il laboratorio frigge “prodotti provvisti del marchio di certificazione di commercio equo e solidale”?

 

Naturalmente, oltre a tutti questi divieti, il regolamento prevede altrettante deroghe: “Possono essere presentate, in via eccezionale, proposte commerciali… per l’apertura di attività commerciali e artigianali in deroga” al regolamento, “previa verifica effettuata da una Commissione Tecnica” approvata dalla giunta.

 

C’è chi, come l’Istituto Bruno Leoni, attento alle libertà civili ed economiche, ha subito evidenziato i profili di dubbia legittimità del regolamento “specie laddove le mode e le preferenze del momento o di una ideologia politica siano usate come criterio di selezione”. Ma c’è un’altra questione, che riguarda l’applicazione e le ricadute concrete di questa iper-regolamentazione, che anziché migliorare il decoro urbano alimenterà l’arbitrio dei controllori, provocando nel migliore dei casi oppressione burocratica e nel peggiore fenomeni corruttivi. Un esempio di cosa possa innescare questo meccanismo, già operante, lo si è visto con Mercato Centrale, il grande spazio enogastronomico d’eccellenza all’interno della stazione Termini, chiuso a gennaio dall’Asl perché faceva vedere alla clientela, migliaia di viaggiatori e turisti, come si puliscono i carciofi. Una cosa, che a norma di chissà quale regolamento, è severamente proibita. Fuori dal Mercato Centrale, nelle strade attorno alla stazione, il decoro urbano non è migliorato. Il degrado è totale.

Di più su questi argomenti:
  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali