L'addio a Casaleggio

Le due facce della coscienza grillina

Maurizio Crippa
Appunti sul funerale cristiano del guru esoterico Casaleggio, e sul suo popolo che però non c’era – di Maurizio Crippa

L’applauso ha accompagnato tutto il percorso della bara di Gianroberto Casaleggio fra gli archi a sesto acuto di Santa Maria delle Grazie, basilica milanese. E’ proseguito anche quando il feretro era già posato, e dietro alla bara erano infine entrati Beppe Grillo e tutto il direttorio – Alessandro Di Battista, Luigi Di Maio, Roberto Fico, Carla Ruocco, Carlo Sibilia – e si erano messi lì zitti e seduti sulla prima panca, stretti stretti. Un applauso interminabile, ma composto e d’inconsueta sobrietà, per occasioni come queste, che copriva il Canone di Pachelbel suonato dall’organo. Solo la famiglia e gli intimi attorno al compianto e al priore dei domenicani – che da secoli reggono la basilica: grandi predicatori, c’è chi viene a messa qui apposta per sentirli –  a parlare del senso della resurrezione. Aveva effettivamente qualcosa di bizzarro, eppure non di insincero, il funerale cristiano nella magnifica basilica rinascimentale per il guru che credeva in Gaia e forse negli Ufo, col suo esoterismo naïf orecchiato da Gurdjieff e dai romanzi Urania. Ma che, come tutti gli esoterici, aveva soprattutto una stella polare: la distinzione fra l’élite degli iniziati e i dormienti da risvegliare e da guidare. Sosteneva che nella Nuova èra tutte le religioni sarebbero sparite. E invece era lì, funerale religioso privato, tutt’altro che un gesto politico o una celebrazione laica. Anche se lui, quelle letture scelte, le avrebbe forse interpretate in chiave vagamente esoterica. Prima Corinzi: “Ecco io vi annunzio un mistero: noi tutti, certo, moriremo, ma tutti saremo trasformati, in un istante”.

 

Intanto fuori si andavano assiepando i militanti. Non proprio migliaia, poche bandiere. Quelli che all’arrivo hanno fischiato il vicesegretario del Pd Guerini e all’uscita – appena uscito il feretro – si sono messi a gridare “Onestà!” con Di Maio a incitarli. Ed è stata l’unica parola che si è sentita dalla folla. L’unico concetto: “Onestà”. Nient’altro. Dentro invece un funerale così educato, o semplicemente tradizionale. Col divieto persino delle foto con lo smartphone. Con la maggior parte delle persone che risponde al prete, che dà il segno della pace, che fa la Comunione. Cose che capitano raramente a matrimoni e funerali. Ma che fanno pensare: o erano tutti parenti, o quella media e piccola borghesia non giovanissima che riempiva le navate – se è una rappresentanza attendibile del MoVimento – è una base sociale su cui bisognerebbe riflettere, e forse modificare qualche idea in proposito. Arriva Umberto Bossi, uno che il popolo l’ha sempre fiutato: “C’era qualcosa di simile tra noi, l’intuizione che non si può far politica da solo”. Eppure non era il funerale di un capopopolo, e il popolo non c’era. Al massimo un elettorato d’opinione. Non erano i funerali di Togliatti, i funerali di Berlinguer. Quelli furono riti di passaggio, fondativi, segnarono un partito e una generazione.

 

Daniele Manca del Corriere ha raccontato di un recente incontro casuale con Casaleggio: “Non si trovava a disagio in quel ristorante affollato di Milano, un mese fa. Un ristorante del centro, comune, dove si mangia in tavoloni assieme a sconosciuti; ci si doveva, per alcune cose, servire da soli: lui si muoveva lentamente. I silenzi erano aumentati. Lo sguardo era il solito, quello un po’ fisso, di chi riflette attentamente sulle parole e sui concetti. Ma uno sguardo che si prolungava. Le persone attorno lo guardavano. Lo riconoscevano. Non sembrava infastidito”. Forse il ristorante “comune” l’abbiamo individuato, ma di certo Manca ha colto qualcosa dell’uomo, e qualcosa della sua creatura che il funerale di giovedì mattina a Santa Maria delle Grazie ha fatto balenare. Un addio è un momento triste, non è il momento del vaffa. Ci vuole dignità. Ma quella vista fuori dalla chiesa – davanti alla facciata rinascimentale, ma in fondo, nemmeno due chilometri, già si vede l’esoscheletro della Torre di Zaha Hadid – non era esattamente l’espressione di un popolo, di una tribù che lotta. Di una qualsiasi coscienza di classe. In quei dieci minuti attoniti, ogni tanto si alzava un grido solitario rivolto al direttorio che stazionava lì in mezzo al sagrato: “Non mollate!”. Come fosse un messaggio lanciato nella bottiglia della rete, seguìto da un applauso che sembrava una condivisione su Facebook.

 

Non il popolo di Bossi, non la classe operaia ferita. Un che di piccolo-borghese, di classe media educata, persino milanese. Però milanese come lo era Casaleggio: di nascita e di passaggio, ma con un piede sempre lontano, ben fisso nel fondovalle del Canavese dove aveva la residenza e il suo luogo dell’anima. Lui, con la ditta e l’ufficio a due passi dai mondi della finanza e dei salotti buoni. Ma schivo, sconosciuto, invisibile a quel mondo estraneo. Lui interprete, in fondo, di un qualunquismo da Uomo qualunque così poco milanese. Lui, l’inventore di un movimento di senza volto, di senza storia e senza ideologia portati però al 25 per cento grazie alla convinzione che uno vale uno, che l’élite è corrotta e solo rimanendone fuori si può trovare la salvezza (ancora giovedì Grillo: “Giù il cappello, signori. Rendete omaggio! Di uomini così ne campano uno ogni cento anni”).

 

Quello di giovedì è stato un momento sincero e sentito, e persino composto anche sul sagrato, nella decina di minuti in cui Grillo e i suoi hanno accompagato la partenza dell’auto funebre rispondendo ogni tanto al richiamo dei militanti. Ma non aveva il tono grave, definitivo, di un rito di passaggio verso l’età adulta, quel passaggio che solo il lutto può dare. Tant’è che il rito di passaggio – hanno subito battuto le agenzie – s’è consumato con una birra al Bar Magenta, a suo modo un tempio di culto popolare, con un po’ di militanti: “Lui avrebbe voluto così”, che non fa esattamente l’urlo della rivoluzione. E forse quella mancanza di epopea, di tragicità , palesatesi giovedì spiega qualcosa del grillismo e della religione politica fondata da Casaleggio. Una ideologia che nasce a Milano, che da Milano assorbe un certo humus antipolitico (l’omaggio di Bossi: “Casaleggio vedeva in internet strumenti per collegare la politica alla gente e noi abbiamo inventato i gazebo”), ma che a Milano ha attecchito, finora, solo relativamente, con una forza d’urto ridotta: alle scorse Europee, i grillini si erano fermati al 14 per cento. Percentuale da borghesia silenziosa, non da rivoluzione.

 

(Nella prima cappella della navata di destra c’è una Madonna tardogotica. Non la guardava nessuno, ma ha gli occhi bellissimi, un po’ perplessi).

  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"