Claude Monet, "Disgelo sulla Senna" (LaPresse) 

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Nichilismo e gregarismo nella fila per la mostra di Monet

Camillo Langone

Federico Zeri scrisse che la sua arte “esclude qualsiasi rapporto d’ordine metafisico”. La cattedrale di Rouen gli serviva per certi giochi di luce: poteva usare una cuccia per cani, sarebbe cambiato poco. Praticamente un tecnico luci

Mi si faccia analizzare ancora il successo della mostra di Monet a Palazzo Reale, Milano. È qualcosa di più melanconico del solito. Perché non è dovuto soltanto al gregarismo, l’animalesco fenomeno che porta le masse a fare la fila per le mostre, poniamo, di Caravaggio e Ligabue: il primo era un mezzo fotografo, il secondo uno scemo intero, ma alla realtà erano interessati, almeno. Con Monet al gregarismo si aggiunge il nichilismo siccome l’impressionista alla realtà non era interessato, della realtà era un parassita. Federico Zeri scrisse che la sua arte “esclude qualsiasi rapporto d’ordine metafisico”. La cattedrale di Rouen gli serviva per certi giochi di luce: poteva usare una cuccia per cani, sarebbe cambiato poco. “La luce era il suo tema principale”, dice David Hockney. Insomma Monet era un tecnico luci, disinteressato ai soggetti che infatti disincarnava, derubandoli di ogni valore tattile. E che cos’è il nichilismo? La svalutazione dei valori. E allora che cos’è la fila alla mostra di Monet? Qualcosa che rientra nella definizione del gran polacco Ceslaw Milosz: il nichilismo come “segno del riconoscimento delle menti ordinarie”.

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).