La fine della cucina italiana
Se non sei più nemmeno capace di buttare “du’ spaghi” nell’acqua bollente, non sei più un uomo, sei un’ameba
La fine della cucina italiana. Il cibo non è l’argomento né principale né secondario dell’ultimo libro di Guido Maria Brera: in “La fine del tempo” (La nave di Teseo), romanzo di colore noir ambientato nel mondo della finanza, si parla soprattutto di finanza. Con toni bladerunneriani, houellebecquiani: “Deformante è l’effetto dei flussi di capitale sul mondo. Quando scorrono impetuosi, è lì che brillano le luci delle metropoli. Invece deperisce e muore nell’abbandono, nel buio e nel silenzio, ciò da cui si allontanano”. Si capisce che l’autore, scrittore e beato lui finanziere, usa i personaggi per esprimere il proprio pensiero: “L’immigrazione è deflativa per definizione”, i tassi a zero spingono i fondi “a investire in attività nuove che sfruttano le tecnologie più all’avanguardia e costringono intere nazioni alla deindustrializzazione”. Fra le attività nuove elencate da Brera c’è il food delivery, i pasti a domicilio. Eccoci alla fine della cucina italiana. Forse pure alla fine dell’umanità italiana: se non sei più nemmeno capace di buttare “du’ spaghi” nell’acqua bollente, non sei più un uomo, sei un’ameba. Un’ameba culturale che coerentemente ordina “cinese a domicilio”, “sushi a domicilio”, “kebab a domicilio”… Per non ridursi a protozoi, si legga Guido Maria Brera e si faccia lo sforzo di accendere il gas sotto la pentola.