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l'editoriale del direttore

Parlarsi da avversari: in Italia si può, in Europa no. Le coccole alle feste di partito fotografano una felice anomalia

Claudio Cerasa

Ad Atreju, la festa che Fratelli d'Italia organizza a Roma da anni, si verifica un fatto che nei paesi sparsi per l'Europa non c'è: la capacità dei partiti di litigare in modo feroce, ma di mantenere un filo di dialogo, sia dentro che fuori il Parlamento

Questo articolo nasce da una telefonata sorprendente che chi sta scrivendo ha ricevuto due giorni fa. Dall’altra parte del telefono c’era Tom Kington, mitico corrispondente dall’Italia del Times di Londra, che incuriosito dal fittissimo programma di Atreju, la convention un po’ politica e un po’ pop che Fratelli d’Italia organizza da anni a Roma, in attesa di organizzarla un giorno magari direttamente a Sanremo, ci ha chiamato per capire qualcosa in più su Atreju (che Michele Serra giustamente suggerisce di pronunciare alla romana, A-Trejuuu). E tra una domanda e l’altra, Kington ha notato un dettaglio interessante. In Inghilterra sarebbe semplicemente “inconcepibile” immaginare di vedere il leader del principale partito di governo impegnato a invitare tutti i suoi rivali alla convention del suo partito. Come è possibile che in Italia sia normale? Kington, in effetti, non ha tutti i torti. Provate voi a immaginare la scena di uno Starmer che invita a una convention del Labour un Farage (e viceversa). Provate voi a immaginare un Sánchez che invita a una convention dei socialisti spagnoli un Abascal (e viceversa). Provate voi a immaginare un Macron che invita a una convention di Renaissance un Bardella (e viceversa). Provate voi a immaginare il leader di uno dei partiti che governano la Germania invitare uno dei leader dell’AfD (e viceversa). La festa di Fratelli d’Italia, da questo punto di vista, fotografa un’anomalia felice del nostro paese, che non riguarda solo il partito di Meloni ma un tratto speciale e trasversale della nostra vita politica: la capacità dei partiti di litigare in modo feroce, anche molto feroce, ma di mantenere un filo di dialogo, sia dentro il Parlamento sia fuori dall’Aula, a dimostrazione del fatto che gli estremismi che vi sono in giro per l’Europa, in Italia, per fortuna non trovano repliche all’altezza di questa parola (dall’inizio della legislatura a oggi il Pd ha votato con la maggioranza in un voto finale 71 volte, il M5s 40 volte, alla faccia della torsione autoritaria). Atreju, in fondo, finora ha fatto discutere più per l’assenza di un leader, Elly Schlein, che per la presenza degli altri leader dell’opposizione, come Giuseppe Conte. E non si tratta solo di un fatto magistralmente notato ieri sulla Stampa da Mattia Feltri, ovvero il desiderio di Meloni di tuffarsi nel mainstream.

 

 

Ma si tratta anche di un fatto diverso, che ci permette di cogliere un elemento essenziale del carattere italiano: la capacità della politica di saper smussare i propri angoli e di saper trovare, a volte anche in nome della lotta contro l’antipolitica, delle occasioni di confronto e di discussione, provando a stemperare con una mano ciò che l’altra mano aveva invece contribuito a fomentare. Se sostieni che la destra sia fascista e poi ci vai a dialogare significa che in fondo stai dicendo ai tuoi elettori non prendeteci sul serio quando esageriamo con le nostre affermazioni. Se sostieni che il campo largo sia una costola di Hamas e poi inviti i leader del campo largo alla tua festa significa che in fondo stai dicendo ai tuoi elettori non prendeteci sempre sul serio quando esageriamo con le nostre affermazioni. Se sostieni che i magistrati stiano esondando dalle proprie funzioni e poi inviti quei magistrati a dialogare con te significa che non consideri quei magistrati necessariamente dei pazzi criminali (e viceversa). Nel caso specifico, poi, il cortocircuito è particolarmente significativo, se si ragiona attorno alla festa di Atreju, perché in fondo a dare una lezione di pluralismo sono i dirigenti di un partito che ogni giorno vengono accusati da molti talk-show poco pluralisti di essere una minaccia per il pluralismo. E dunque una modesta proposta: se la tv pubblica vuole trovare un modo efficace per smentire la retorica ostile su Tele Meloni, forse mandare in diretta i dibattiti pluralisti di Atreju potrebbe essere un buon servizio per fotografare la felice eccezione italiana, dove i politici, anche quelli che si odiano di più, in fondo si trattano da avversari, non da nemici. 

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.