L'intervista

"La Difesa non è più un tema di nicchia. Ecco le priorità". Parla Cavo Dragone

Nicolò Zambelli

"Oggi le forze armate hanno bisogno di personale altamente specializzato. È importante disporre di forze di riserva credibili e di meccanismi che rafforzino la resilienza complessiva del paese"

Di Nato non vuole più parlare, ma di esercito sì. "Oggi le forze armate hanno bisogno di personale altamente specializzato, che sappia operare sistemi complessi e integrarsi in contesti multinazionali. Le priorità? Prontezza, interoperabilità e capacità di rispondere in tempi rapidi". Il presidente del comitato militare dell'Alleanza atlantica, Giuseppe Cavo Dragone, preferisce non aggiungere altro dopo aver detto al Financial Times che la Nato sta valutando di agire in modo più aggressivo e preventivo nei confronti della Russia. E rispondendo al Foglio riflette sullo stato della Difesa in Italia.
 

L'ammiraglio fa una premessa: "Non commento le scelte politiche o legislative di un singolo paese alleato", dice quando gli chiediamo delle parole del ministro Guido Crosetto, che la settimana scorsa ha annunciato un disegno di legge da portare in Parlamento. Ma aggiunge: "Posso però confermare come, negli ultimi anni, lo scenario di sicurezza sia cambiato radicalmente e ciò debba indurre tutti a una riflessione seria e costruttiva su organizzazione, regole e capacità delle forze armate, attraverso l'Alleanza".
 

A proposito delle priorità, da dove è opportuno iniziare? "Serve un adeguamento tecnologico continuo, ma soprattutto personale ben formato o riqualificato per la difesa moderna", dice Cavo Dragone. "È importante – continua – disporre di forze di riserva credibili e di meccanismi che rafforzino la resilienza complessiva del paese. Il numero complessivo dei militari e i modelli organizzativi rimangono comunque una scelta nazionale".
 

Il ministro Crosetto ha sottolineato l'importanza di essere protetti anche sul fronte della cybersicurezza. "Sappiamo che tutti gli alleati si confrontano oggi con forme di guerra ibrida e cyber minacce molto sofisticate. La cybersicurezza non è mai un obiettivo raggiunto una volta per tutte, ma un processo continuo di adattamento". Per proteggerci allora cosa serve? "Servono investimenti in tecnologie, ma anche in procedure, formazione del personale, cooperazione pubblico-privato e cultura della sicurezza digitale".
 

Se l'obiettivo di Crosetto è attrarre nuove risorse, quale può essere la strategia? "Un dato di fatto, in molti paesi, è la carenza di vocazioni verso la carriera militare", spiega Cavo Dragone. "Per attrarre queste figure, si stanno sperimentando soluzioni diverse: percorsi di carriera più flessibili, possibilità di maggiore osmosi con il settore civile, programmi di formazione congiunta con mondo accademico e industria".
 

Ci sono elementi più importanti di altri? "Serve comunicare meglio il senso di scopo", dice l'ammiraglio. Cambia la concezione di lavorare nelle forze armate: "Lavorare nella Difesa significa contribuire alla sicurezza collettiva, non solo ‘fare il militare'. Condizioni di lavoro moderne e crescita professionale sono altre leve importanti". C'è infatti una grossa concorrenza nel settore privato. "Quel settore è il principale ‘concorrente' per questi profili", ammonisce. E aggiunge: "Tutto ciò, e questo è un punto davvero importante, senza trascurare la specificità della professione del militare: rischiosa e fatta di grandi sacrifici. Questo deve essere coerentemente riconosciuto, anche in termini retributivi".
 

Sta cambiando la percezione di quanto è importante avere gli strumenti per difendersi? "Dopo anni in cui la Difesa era percepita come un tema quasi ‘di nicchia', oggi c'è una maggiore consapevolezza delle minacce", dice Cavo Dragone. Si va verso una nuova direzione, da noi come in Europa". Quale? "Ogni paese sceglie gli strumenti più adatti alla propria storia e società, ma la direzione di fondo è verso una maggiore consapevolezza nella necessità di preparazione alla Difesa".
 

Anche alla luce delle sue dichiarazioni di ieri al Financial Times, secondo lei sarà necessario un ritorno alla leva obbligatoria "tradizionale"? "Il modello di leva obbligatoria che molti ricordano appartiene a un'epoca in cui le esigenze operative, ma non solo, erano diverse", dice l'Ammiraglio. "Le priorità oggi sono cambiate. Per questo, in vari paesi si discute non tanto di ‘tornare al passato', quanto di forme moderne di servizio: su base volontaria, più brevi, magari con opportuni richiami periodici, orientate alla creazione di riserve preparate". Le scelte le faranno i singoli paesi, dice. "Ma ciò che conta è che qualsiasi modello garantisca qualità dell'addestramento, prontezza e sostenibilità nel tempo. È chiaro che il dibattito attuale rifletta esigenze reali di sicurezza, che vanno affrontate con un approccio responsabile e adeguato ai nostri tempi".

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