Se aggrediti, cadremmo

Inchiesta sulla capacità di difesa italiana. Mancano carri armati, artiglieria e anti-aerea

Gianluca De Rosa

L'Italia è lontana dalla spesa del 2 per cento del pil per la difesa, non ha alcuna deterrenza militare. I numeri, i rischi e le prospettive

 Se domani la Russia invadesse l’Italia non saremmo in grado di reagire a dovere. Mancano carri armati, artiglieria, munizioni. Lo scenario di una aggressione è   irrealistico, ma rende bene l’idea del perché gli ambienti militari spingono da mesi affinché anche l’Italia faccia un salto in avanti negli investimenti per raggiungere una capacità di deterrenza reale e credibile, come hanno fatto i paesi scandinavi e dell’Europa orientale sin dal 2014, ma anche Germania, Francia e Spagna dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Il nostro paese è ancora lontano dal raggiungimento di quel 2 per cento del pil di spesa per la difesa che l’accordo firmato dai paesi della Nato nel 2014 prevedeva fosse raggiunto quest’anno e, invece, sarà (pare) acquisito nel 2028.  Anche l’Italia deve fare la sua parte  per costruire un solido deterrente a uno scenario da incubo: un attacco russo ai paesi baltici che porterebbe gli altri membri della Nato e dell’Unione europea a intervenire. 


 Spiega Alessandro Marrone, responsabile Difesa dell’Istituto Affari internazionali: “Tutti i paesi europei stanno rivedendo il loro strumento militare per passare da una fase di peacekeeping a un rafforzamento in grado di scoraggiare un attacco russo, per farlo bisogna essere pronti a una guerra su larga scala”. Ma cosa manca all’Italia? I problemi principali riguardano l’esercito.  Basta guardare un dato per rendere l’idea. L’Italia possiede solo 200 carri armati Ariete, mezzi risalenti agli anni 80. Solo meno della metà sono operativi a causa della mancanza di pezzi di ricambio. Per questo l’Italia ha firmato un accordo con la Germania per la produzione nel nostro paese di carri armati Leopard 2, circa 300, ma la fornitura è spalmata in oltre un decennio e non interamente finanziata. “Il discorso – dice Marrone – va allargato in generale alle brigate pesanti, quelle che impiegano carri armati e altri mezzi corrazzati. Dal 1991 a oggi queste brigate sono state definanziate perché nelle missioni di peackeeping si prediligeva l’uso di mezzi su ruote, più leggeri e veloci”. Anche per quanto riguarda l’artiglieria e le munizioni l’Italia è in difficoltà. Tutto era già  sottodimensionato. Inoltre, gran parte di quello che c’era è stato donato a Kyiv per continuare la guerra. Per dare un’idea del fatto che sia necessario fare di più basta guardare al bilancio del 2023. L’Italia ha speso per munizioni 78 milioni, su un budget totale per la difesa di oltre 27 miliardi. Per fare un paragone, nello stesso anno il fabbisogno di munizioni in Ucraina è stato di un miliardo. In questo caso il problema riguarda anche la scarsa capacità produttiva.


A questo si aggiunge una questione per quello che riguarda i sistemi anti-aerei. L’Italia adotta il dispositivo Samp-t di produzione italo-francese. Ma dispone solo di cinque batterie, quelle che servivano quando i rischi erano assai più limitati. Uno in Kuwait per proteggere le missioni internazionali, uno a protezione del territorio nazionale, uno usato per difendere le esercitazioni Nato, uno in manutenzione, un ultimo era in Slovacchia, ma è rientrato per il G7 in Puglia e, come anticipato da questo giornale, potrebbe essere inviato in Ucraina. Spiega ancora Marrone dello Iai: “Quella dei sistemi anti-aereo è una grossa criticità  perché sono un numero davvero esiguo: negli anni 90 e 2000 ci si era tarati su una minaccia molto limitata, di decine di missili, mentre la guerra in Ucraina, ma anche l’attacco dell’Iran a Israele, mostrano quanto possa essere necessario difendersi in un brevissimo lasso temporale da attacchi massicci di centinaia  di ordigni che vengono usati simultaneamente proprio per saturare  la capacità della difesa anti-aerea”. Un accordo per una fornitura di sistemi Samp-T di nuova generazione  c’è, ma al ministero sono preoccupati perché potrebbero volerci almeno tre anni. A questo si aggiunge la necessità di dotare l’esercito di tecnologie in grado di interferire nello spettro elettromagnetico per il contrasto di droni e munizioni intelligenti.


La situazione va meglio per quanto riguarda mare e cielo. “La Marina e l’Aereonautica – spiega ancora Marrone dello Iai – si trovano in una situazione migliore dell’Esercito perché in un’ottica di interventi di proiezione nel Mediterraneo allargato negli ultimi anni sono stati fatti diversi investimenti”. L’aereonautica dispone di caccia eurofighter, degli F-35 e degli elicotteri, tutti mezzi avanzati e adeguati per un conflitto. Anche la Marina ha la portaerei Cavour, le fregate multimissione, quattro sottomarini e altri in cantiere. “Un problema – dice Marrone – riguarda la quantità dei missili a disposizione delle  navi, i numeri sono classificati, ma c’è scarsità”. 


C’è infine una questione di numeri. Mancano i militari. Nel 2012 il governo Monti approvò una norma che prevedeva la progressiva riduzione delle forze armate da 190 a 150mila unità. Questa scadenza, grazie allo sforzo dell’ex ministro della Difesa Lorenzo Guerini, è stata rinviata al 2034 e il numero alzato a 160 mila. Ma non si escludono ulteriori rinvii. Inoltre il governo dovrebbe creare una riserva ausiliaria di almeno 10 mila riservisti.