Il caso

Le parole di Salvini su Putin imbarazzano il governo. Il cordone di Meloni e Tajani

Simone Canettieri

La posizione del leader della Lega sulle elezioni russe stride con quella di Palazzo Chigi. C'è chi si domanda: "Quale debito deve saldare Matteo?". Oggi la premier alle Camere

“Come ci muoviamo?”. Con una certa dose di premonizione Giorgia Meloni e Antonio Tajani, già domenica pomeriggio, avevano iniziato a parlare delle elezioni in Russia e dello scontato successo di Vladimir Putin. La premier era al Cairo, il ministro degli Esteri a Roma. I due hanno avuto fitti contatti per analizzare la situazione a Mosca e soprattutto per come commentarla. Per cercare cioè di tenere unito il governo, nonostante Matteo Salvini. Chiamasi riduzione del danno. Il leader della Lega e vicepremier, puntuale come un orologio svizzero, alle 11 di ieri mattina infatti si è esibito in una dichiarazione che spaccherà per tutto il giorno Palazzo Chigi. Tra imbarazzi e lingue morse. Silenzi e commenti: “Il caso sta montando, ma non ci faremo trascinare in questa polemica: la posizione di Meloni è nota”. Sicché il Salvini in festa per la rielezione di Putin non sorprende nessuno quando dice che “in Russia hanno votato, ne prendiamo atto. Quando un popolo vota ha sempre sempre ragione, le elezioni fanno sempre bene sia quando uno le vince sia quando uno le perde: prendiamo atto del voto sperando in un 2024 di pace”. Sono parole che provocano polemiche in Italia, ma anche a Bruxelles, quelle di Salvini. Perché dopo nemmeno un’ora proprio Tajani dice l’opposto. Meloni in serata tenta di essere diplomatica (e laconica): “La posizione del governo è molto chiara, il centro destra è  una maggioranza molto coesa”. Ma in realtà ormai la più scontata delle frittate è fatta. 


Il leader di Forza Italia e titolare della Farnesina a margine di un vertice a Bruxelles, e sempre dopo essersi consultato con Meloni, va da un’altra parte: “Le elezioni non sono state libere né regolari e hanno riguardato anche territori ucraini occupati illegalmente. Continuiamo a lavorare per una pace giusta che porti la Russia a terminare la guerra di aggressione all’Ucraina nel rispetto del diritto internazionale”. E le parole di Salvini? “Il ministro degli Esteri sono io”. Meloni resta “in modalità zen”. A mandarle il lunedì di traverso non sono tanto le praterie che le opposizioni trovano per attaccarla, ma anche la vicinanza con il Consiglio europeo di giovedì e venerdì prossimi.  


Quando incontrerà gli altri capi di stato e di governo. Gli stessi che con lei hanno sottoscritto una dichiarazione abbastanza netta sulla riconferma di Putin. La nota dei 27, in sostanza, dice che il Consiglio europeo non riconosce le elezioni che si sono svolte nei territori occupati dell’Ucraina. Ma non arriva a tanto per quelle svoltesi in territorio russo. Per queste, però,  il comunicato stampa dice che “non raggiungono standard di democraticità e libertà accettabili”.
Tra i corridoi di Palazzo Chigi e della Farnesina c’è chi si guarda interdetto davanti alle parole del leader della Lega. A qualcuno sfuggono commenti anche insolenti. Tipo: chissà quale debito di riconoscenza deve pagare, Matteo, per dire queste parole. Anche “Ore 11”, il blindatissimo mattinale sfornato da Palazzo Chigi e da Via della Scrofa sotto la regia del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, preferisce non mettere il tema fra gli spunti del giorno, concentrandosi su altro. Come ad esempio il campo largo franato in Basilicata. Imbarazzo totale. Tanto che nessuno di Fratelli d’Italia parla o commenta per non aumentare lo iato con Salvini. Tacciono perfino i ministri più in prima linea come Guido Crosetto. Il viceministro degli Esteri, di FdI, Edmondo Cirielli, spiega che non segue il dossier perché lui si occupa di “Africa, Asia centrale, Caucaso e cooperazione”.  Le opposizioni – con il Pd in testa e il M5S in silenzio, ma anche questa non è una notizia – attaccano Meloni. E’ l’antipasto di quanto si vedrà oggi in Senato, dove è attesa la premier nel pomeriggio per le consuete comunicazioni in vista del Consiglio. Le chiederanno se condivide le parole di Salvini, uno dei suoi due vice. La risposta è scontata: no. Clima non proprio dei migliori, insomma. Anche se dall’osservatorio di Palazzo Chigi, in questo snervante conto alla rovescia verso le europee, provano a leggere i segnali positivi. Uno di questi arriva dalle parole di Marine Le Pen pronunciate alla fine della settimana scorsa davanti all’Assemblea nazionale, a proposito dell’accordo bilaterale firmato da Parigi e Kyiv. La leader del Rassemblement national ha ribadito con forza “il rispetto e il sostegno alla nazione ucraina aggredita dalla Russia”. E alla fine i suoi 87 parlamentari si sono solo astenuti. Un segnale che i consiglieri di Meloni hanno letto di buon occhio perché allontana Le Pen (e il suo elettorato) da Salvini. Sono piccole cose, ma servono anche queste nel giorno  della rielezione dell’autocrate per la quinta volta. Meloni alla fine non commenterà. Quattro anni fa invece disse così. Un po’ alla Salvini: “Complimenti a Vladimir Putin per la sua quarta elezione a presidente della Federazione russa. La volontà del popolo in queste elezioni russe appare inequivocabile”.
 

Di più su questi argomenti:
  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.